Dopo la sentenza che l’ha assolta con formula piena dall’accusa di aver estorto 216 mila euro allo storico presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, minacciando che l’avrebbe accusato di molestie sessuali — aveva denunciato lui nel 2018 —, Giovanna Venturini, che è stata per anni la sua segretaria, ha ancora addosso la tensione del momento in cui venerdì scorso il giudice Alessandro Arturi ha letto il dispositivo che si somma a tutta quella accumulata dal 2010, da quando questa storia ha preso inizio. Il giudice le ha anche restituito il denaro che le era stato sequestrato, donatole da Sangalli con un atto notarile.
Che anni sono stati?
«Devastanti. Hanno cambiato profondamente la mia persona, tuttavia in questo mio calvario ho sempre avuto fiducia piena nella giustizia e questo mi ha dato la forza per andare avanti».
Non è stata delusa.
«Per questo ringrazio il giudice Arturi che, attraverso la sua attenta analisi degli atti, ha emesso un’assoluzione “perché il fatto non sussiste”».
A fine 2010 il rapporto professionale con il presidente si interrompe perché, come ha denunciato lei, vuole sfuggire alle sue molestie sessuali.
«Come ho sempre affermato, ho avuto verso Sangalli rispetto e stima fino al momento in cui il suo comportamento nei miei confronti è cambiato diventando molesto».
Per anni, però, non ha detto nulla, neppure ai suoi familiari. Perché?
«L’ho detto anche al giudice facendo dichiarazioni spontanee: fosse stato per me questa storia sarebbe morta con me, me la sarei portata nella bara sottoterra. Purtroppo, quando la notizia ha cominciato a circolare a fine 2017 tra i vertici della Confederazione, sono stata costretta a radunare la mia famiglia per dire tutto. Non ho mai voluto fare scandali, l’unica cosa che ho chiesto in Confcommercio è stato di aiutarmi a cambiare posto. Punto. Non ho mai chiesto altro, i soldi mi furono proposti da Francesco Rivolta (ex direttore generale, anche lui assolto dopo una richiesta di 5 anni di carcere) che mi disse che il presidente Sangalli voleva chiedere scusa, risarcire e che se ne sarebbe addirittura andato».
Quando Sangalli l’ha querelata, ha temuto che la giustizia potesse non crederle?
«Di pensieri ce ne sono stati tanti. Quando sono stata iscritta nel registro degli indagati è stata una cosa da morire».
La prima volta, immagino. «La prima e l’ultima». Qual era il suo stato d’animo mentre il giudice si apprestava a leggere la sentenza?
«Sapevo di dipendere dal giudizio di un’altra persona, ma sapevo anche che sarei stata aiutata, supportata. Ho anche tanta fede. Aspettavo quel momento sperando che tutto finisse nel modo in cui io avevo sempre voluto. Nell’ultimo periodo, ogni volta che entravo a piazzale Clodio (il nome con cui viene indicato il palazzo di giustizia di Roma, ndr) per me era un colpo al cuore, qualcosa di devastante. Mi chiedevo: “Io non ho fatto nulla, non ho mai chiesto nulla, perché dovrei essere condannata?”».
Ha pregato?
«Io prego da sempre e l’ho fatto anche prima della sentenza. Alla lettura del dispositivo, a fianco del mio avvocato Paolo Gallinelli, avevo il crocifisso tra le mani. Quando ho capito di essere stata assolta sono scoppiata in lacrime per la sensazione di liberazione da una spada di Damocle che per tre anni e mezzo è stata sopra la mia testa. Poi mi hanno fatto sedere su una sedia, credo che qualcuno mi abbia dato un po’ di acqua».
Quanto ha contato per lei la sua famiglia?
«Tutto. Non c’è stato un momento in cui i nostri affetti e la nostra unione hanno traballato. Pur con il dolore, l’ansia e lo sgomento, i miei mi sono stati sempre vicini. Di fronte a loro ho sempre cercato di essere forte, sorridente, anche se dentro di me c’era la devastazione e provavo dolori lancinanti perché dovevo affrontare una situazione allucinate».
Ora, vita nuova?
«Questa sentenza da oggi restituisce la vita a me e alla mia famiglia. Venerdì sera abbiano fatto un timido brindisi. Ci siamo guardati negli occhi, tante lacrime, abbracci profondi».
Se pensa a Sangalli, cosa le viene in mente?
«Mi faccia un’altra domanda…».
Fonte: Corriere della sera