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Il legame intimo tra madre surrogata e figlio

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di Ranieri Bizzarri

Una delle storie più tragiche della Seconda Guerra Mondiale è avvenuta in Olanda nei mesi a cavallo tra il 1944 e il 1945. Dopo lo sbarco in Normandia, durante l’estate del 1944 gli alleati liberarono molti territori in direzione Est, comprese vaste zone del sud dell’Olanda. Strategicamente, gli Alleati cercavano un corridoio per penetrare in Germania da Nord, creandovi un saliente ed una testa di ponte oltre il Reno (operazione Market-Garden). Sfortunatamente, gli Alleati non furono in grado di liberare la porzione Nord-occidentale dell’Olanda, un ampio territorio comprendente anche Amsterdam. In seguito ad uno sciopero ferroviario promosso dal governo olandese in esilio, i tedeschi risposero con un embargo di forniture alimentari a tutta l’Olanda occidentale. L’embargo durò due mesi circa, dalla fine di Settembre agli inizi di Novembre del 1944. Tuttavia, la fine dell’embargo coincise con l’inizio di un inverno durissimo per condizioni climatiche e con una serie di operazioni difensive tedesche che distrussero terra coltivabile. Gli approvvigionamenti alimentari rimasero estremamente scarsi. Era iniziata la famosa “carestia olandese del 1944” (Hongerwinter, l’inverno della fame). Quasi 20000 persone morirono di fame. La razione media per persona nel Febbraio 1945 ammontava a circa 545 Kcal/giorno, meno di ¼ del fabbisogno medio di un essere umano. La carestia finì effettivamente solo con la liberazione da parte degli Alleati, nel Maggio 1945.

Questa storia è nota. Ma assai meno noto è che questa carestia -tragica nei suoi effetti- ha avuto ed ha ancora ripercussioni sulla popolazione olandese. Infatti, è stato ampiamente documentato che gli effetti della fame e restrizione calorica sulle donne gestanti durante l’Hongerwinter si sono “trasmessi” ai figli e persino alle generazioni successive in termini di predisposizione a disfunzioni metaboliche, problemi cardiocircolatori e disturbi psicopatologici. La carestia olandese è stata un drammatico e indesiderabile “esperimento” capace di mostrare l’importanza della trasmissione epigenetica nella riproduzione.

Sono partito da questa storia drammatica per sottolineare un punto che è a mio avviso assente nella discussione pubblica italiana, e in parte internazionale, sul tema della maternità surrogata. Mi si consenta un’ultima digressione scientifica, necessaria per capire di cosa si tratta. Tutti noi abbiamo ormai un’idea di cosa sia la trasmissione genetica: nel processo di fecondazione metà del patrimonio genetico della madre si fonde con metà del patrimonio genetico del padre, in entrambi casi rappresentati da un certo numero di lunghi filamenti di DNA (cromosomi). Ogni cromosoma contiene sequenze di DNA che codificano per proteine, molecole che nelle nostre cellule svolgono la maggior parte delle azioni di rilievo e sono responsabili per la quasi totalità dei nostri caratteri fisici (inclusi quelli del sistema nervoso, piattaforma per i caratteri psichici). Tralascio la rilevanza del processo di ricombinazione genica attraverso la fecondazione, che meriterebbe ben più spazio, e vengo al punto: il nostro DNA non contiene solo sequenze codificanti per proteine ma anche “sequenze di controllo”. Queste sequenze di controllo regolano come/dove/quante di queste proteine debbano essere prodotte e quindi, in ultima analisi, regolano il nostro metabolismo e la vita stessa. Ognuna delle cellule del nostro organismo ha lo stesso patrimonio genetico, ovvero lo stesso manuale di istruzioni. Tuttavia, alcune cellule diventano fegato ed altre neuroni, perché solo parte del manuale viene letto e regolato; le altre parti rimangono “sigillate”. Ma la cosa più straordinaria è che una cellula fegato, quando si divide, dà nuovamente luogo a due cellule fegato. Il che significa che nel processo riproduttivo della divisione cellulare gli “elementi di regolazione” (in genere modifiche chimiche del DNA) vengono trasmessi alle cellule figlie dalla cellula madre. Si parla di trasmissione epigenetica, ovvero ereditabilità di certi caratteri (che gli scienziati chiamano fenotipo) di tipo non genetico. Come è facile immaginare, la regolazione della trascrizione e la trasmissione epigenetica sono una straordinaria forma di interazione tra ambiente esterno (ad esempio Amsterdam devastata dalla carestia) e le nostre cellule. L’epigenetica fornisce un elemento di fondamentale plasticità biologica nell’esistenza di un organismo, con conseguenze sulla sua fisiologia e sopravvivenza. Non stupisce quindi che la carestia olandese abbia avuto terribili effetti sui figli (e i nipoti!) delle donne incinte nei mesi tra il 1944 ed il 1945. Sebbene molti meccanismi epigenetici siano noti, le conseguenze epigenetiche dell’interazione tra ambiente e cellule di un organismo sono ancora largamente ignote.

Ed eccomi al punto. Siamo abituati a legare i concetti di maternità e paternità ad aspetti genetici. Per esempio, una persona può individuare un proprio genitore “biologico” tramite un esame genetico; e da questo ne discendono conseguenze, ad esempio di tipo legale. Tuttavia -per quanto nella vita corrente possa avere modesta o nulla rilevanza sulla crescita individuale e sociale di una persona- il legame genetico non può essere considerato l’unico aspetto biologico che lega il figlio ai genitori. La trasmissione epigenetica a livello di gameti (spermatozoo e cellula uovo) è ancora un argomento di ricerca e discussione, ed è pertanto non chiarissimo quale sia il legame epigenetico col padre biologico. Ma il legame epigenetico con la madre, come anche terribilmente visibile negli effetti della carestia olandese, è incontrovertibile. 9 mesi di gestazione dell’embrione che diventa feto sono una eternità temporale in cui tutti i programmi di sviluppo cellulare si vanno ad esplicare (da una cellula diventiamo organismi fatti da milioni di cellule organizzate in famiglie molto diverse). L’influenza del “grembo” della madre, e dell’ambiente in cui la madre vive, non potrebbe essere più rilevante. L’evidenza scientifica indica che i fattori epigenetici (e anche fenomeni complicati come il microchimerismo, che possiamo tralasciare in questa discussione) creano legami biologici intimi tra la gestante e l’embrione/feto.

Lo ripeto: legami biologici intimi. Questo naturalmente vale anche per la maternità surrogata, laddove la “gestante” non ha legami genetici con la bambina o bambino a cui darà luce. Nel 2013 Loike e Fischbach hanno giustamente affermato che le madri surrogate stabiliscono una stretta connessione biologica con il feto che portano in grembo, una connessione che perdura per decenni [e forse per sempre, nota mia]”.

Chiudo con le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere questo articolo, invero non conclusivo. Volevo senz’altro approfittare di un tema etico per fare un po’ di divulgazione scientifica. Ma l’obiettivo principale è diverso. Mi è stato spiegato da persone assai competenti che identificare la maternità surrogata come “reato universale” da parte dell’Unione Europea sotto la spinta delle destre è solo un’operazione demagogica priva di reali possibilità di applicazione. Ne sono convinto. Inoltre, sono un uomo di sinistra riformista che crede nei diritti della persona e nella loro evoluzione nel tempo. Non posso non notare, tuttavia, che la discussione etica sulla maternità surrogata ha sinora riguardato solo la questione del potenziale sfruttamento economico e l’accertamento della volontarietà. Sono ovviamente temi delicatissimi e -poiché ho quasi nulla competenza in merito- evito di aggiungere un parere poco informato. Ma -per quanto fondata- mi sembra una classica discussione “strutturalista” amatissima dalla sinistra corbiniana e radicale: i fatti (in questo caso il profilo etico della maternità surrogata) non “esistono” indipendentemente da una loro interpretazione strumentale. Per meglio dire, serve solo stabilire se una donna e le sue decisioni siano o meno “indipendenti” dalla struttura sociale in cui è inserita, nell’idea che se la libertà è acclarata, tutto è eticamente lecito.

Da pragmatico riformista e ricercatore, credo che i risultati scientifici vadano presi con estrema serietà nel definire questioni etiche e la loro legislazione. Per questo, sono obiettivamente sconcertato dall’assenza dal dibattito del tema del profondo (e intimo) legame biologico tra madre surrogata e figlio. Non è solo una questione di tipo psicologico: il legame tra una madre e il proprio figlio ha precise basi biologiche ed evolutive.

Sento parlare di una estemporanea proposta parlamentare di +Europa per legalizzare la maternità surrogata anche in Italia. Questo si somma al ben noto disagio interno al PD su questo tema. Consiglierei le forze politiche di centrosinistra di evitare atti dimostrativi e un dibattito povero culturalmente, capace solo di peggiorare la comprensione di problemi molto importanti da parte dei cittadini. L’estate è già torrida di suo ed è meglio non aumentare il disagio con una sensazione di spaesamento di fronte alla crescente superficialità dell’universo progressista.