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di Antonello Longo

direttore@quotidianocontribuenti.com

C’è molta più politica di quanto ci si poteva aspettare nel governo Draghi, composto da 15 politici e 8 tecnici. O, meglio, ci sono molti esponenti di partito, dosati con un bilancino che ricorda tanto il celebre “manuale Cencelli” della prima Repubblica.

Quattro ministri al Movimento cinque stelle, che conserva gli esteri con Di Maio; tre ciascuno a PD e Lega che hanno inserito i “numeri due” delle rispettive gerarchie, Orlando e Giorgetti; tre anche a Forza Italia, che riporta nel governo, dopo dieci anni, Brunetta e Gelmini; uno ciascuno a LEU, che ha ottenuto la conferma di Speranza alla Salute e a Italia viva, che ha confermato la sola Bonetti in un ministero fondamentale nel titolo, “pari opportunità”, ma purtroppo di secondo piano nella realtà politica, restano fuori i colonnelli renziani Bellanova, Boschi e Rosato.

Con tutta probabilità questo dosaggio col bilancino sarà ancora più evidente per la schiera dei sottosegretari.

È un governo a trazione maschile, le donne sono 8 su 23, un terzo, segno evidente della difficoltà delle classi dirigenti di passare dalle parole ai fatti nel rimuovere le ingiuste e controproducenti barriere che ancora ostacolano la piena affermazione delle figure femminili.

Ed è un governo a trazione nordista, e questa ci sembra una contraddizione molto grave se si pensa che una delle missioni principali del piano Next Generation Eu è proprio quella di alleviare gli squilibri territoriali. A fronte di nove ministri provenienti dalla Lombardia ci sono soltanto quattro ministri meridionali, due campani (il napoletano Di Maio e la salermitana Carfagna) e due nativi di Potenza (Lamorgese e Speranza). Il ministero del Sud passa dalle mani preparate e competenti di Giuseppe Provenzano, al profilo più marcatamente politico della forzista Mara Carfagna. Possiamo dire, parafrasando il capolavoro di Carlo Levi, che… il nuovo governo si è fermato a Eboli!

Se i due governi guidati da Giuseppe Conte hanno avuto un limite evidente nella scarsa omogeneità tra le forze politiche che li componevano, col governo Draghi siamo di fronte ad una torre di Babele, con sei partiti diversi che fin qui hanno parlato linguaggi opposti e si apprestano, alle elezioni amministrative della prossima primavera, a scontrasi, territorio per territorio, in blocchi contrapposti.

Si può dire che questo è un governo di unità nazionale, che, così come richiesto dal Presidente Mattarella, non c’è una vera e propria maggioranza politica, che una larghissima base parlamentare metterà al riparo l’esecutivo da fughe, all’indietro o in avanti, dell’una o dell’altra componente, ma determinati nodi, presto o tardi, non potranno non venire al pettine e l’idea che un fritto misto di questo genere possa arrivare fino alla fine della legislatura appare, in questo momento, quantomeno azzardata.

Tuttavia ciò che più conta, qui ed ora, è fronteggiare con misure straordinarie le tre drammatiche emergenze del Paese, sanitaria, economica e sociale, e approntare in modo efficace il Recovery Plan italiano. E su questo punto ciò che salta immediatamente all’occhio è che Draghi riserva la gestione del Recovery e la tenuta dei rapporti con l’Unione Europea soltanto a se stesso ed a tecnici di sua fiducia. E questi tecnici vengono da ambienti ben determinati: Daniele Franco, nuovo ministro dell’economia, viene dalla scrivania di direttore generale della Banca d’Italia (e prima Ragioniere generale dello Stato); Vittorio Colao, cui è stata affidata l’innovazione tecnologica e  transizione digitale, da super-manager della telefonia; al nuovo ministero della transizione ecologica, che racchiuderà tutte le competenze relative all’ambiente, è andato Roberto Cingolani, fisico di chiara fama e manager di Leonardo, l’ex Finmeccanica, società partecipata dallo Stato, grande azienda che si occupa di tecnologie aerospaziali, sistemi radar e apparecchiature militari.

Anche gli altri tecnici si occuperanno di ministeri in qualche modo legati al Recovery Fund: Enrico Giovannini alle infrastrutture, Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale, alla giustizia e due accademici, già rettori delle rispettive università, Cristina Messa e Patrizio Bianchi, rispettivamente all’università ed alla scuola.

Governo europeista, certo. In definitiva, se i lineamenti politici del nuovo esecutivo non sono delineati, lo è invece, nettamente, il retroterra ideologico: il pensiero unico dominante, liberista e neo-liberale. È su questo terreno che, nel perimetro dell’emergenza e in nome del pragmatismo, si accostano le tende la destra sociale e la sinistra (vagamente) riformista.

Comunque si pensi, dobbiamo augurare loro buon lavoro ed alla nostra povera Italia buona fortuna.


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