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Il ‘Governo del Primo Ministro’? Era già nella Tesi 1 dell’Ulivo

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di Enrico Morando

Ora che il testo della riforma costituzionale è stato licenziato per l’Aula del Senato, ci rivolgiamo a voi, soprattutto in nome del fatto che un modello di premierato con sistema elettorale decidente e norme europee sulla forma di governo è stata la base di riferimento tradizionale delle forze che si collocano nel centro-sinistra, in particolare con la Tesi 1 dell’Ulivo del 1996, successivamente trasformati in precisi articolati nella Bicamerale D’Alema rispettivamente da parte dei parlamentari Salvi (per il centrosinistra di Governo), Cossutta e Bertinotti (per Rifondazione Comunista). Non sarebbe quindi né coerente né comprensibile negare che una riforma sia necessaria, che essa debba essere approvata da una larga maggioranza del Parlamento, ben aldilà di quella che sostiene il Governo; e che il modello neoparlamentare del “Governo del Primo Ministro” sia la soluzione che ben corrisponda alle esigenze del Paese e ai principi della nostra Costituzione.

Il testo che la Commissione ha consegnato all’Aula non è frutto di una larga intesa e – pur muovendosi verso il “Governo del Primo Ministro”- presenta a nostro avviso limiti e contraddizioni seri, tali da dovere e potere essere superati già nel lavoro dell’Aula del Senato e, comunque, nel corso dell’esame alla Camera. Con una lettera che contiene le nostre proposte sui punti controversi di maggiore rilievo, ci siamo rivolti ai gruppi di maggioranza perché essa non operi, al Senato, per l’approvazione del testo così come è uscito dalla Commissione. E, soprattutto, perché non cerchi, alla Camera, la forzatura di una lettura conforme, estendendo alla Costituzione la logica già in sé sbagliata del monocameralismo alternato, ma si dichiari e si dimostri aperta all’introduzione di significative modifiche al testo licenziato dal Senato.

Con lo stesso spirito, Vi chiediamo di essere aperti a concorrere ad elaborare, a presentare e a votare emendamenti che adottino – sui punti cruciali della designazione/elezione del Primo Ministro, sulla legge elettorale e sulla elezione del Presidente della Repubblica – soluzioni diverse e più adeguate rispetto a quelle adottate nel testo oggi all’esame dell’Aula del Senato.

Per non limitarci agli auspici, abbiamo lavorato alla definizione di due emendamenti fondamentali, il cui testo si trova in allegato a questa lettera. Per definirli, abbiamo fatto amplissimo ricorso alle già citate elaborazioni delle forze di centrosinistra, e all’audizione in Commissione bicamerale del professor Augusto Barbera sul modello del “Governo del Primo Ministro”.

Nel corso dei lavori della Commissione, al Senato, voi gruppi di opposizione avete sostenuto che la soluzione adottata dalla maggioranza in tema di “elezione” del Presidente del Consiglio e del Parlamento tenda a fuoriuscire dal modello neoparlamentare, poiché sarebbe l’elezione del primo a “trascinare” la composizione del secondo. Anche alla luce di questa critica, ci siamo impegnati nella ricerca di una soluzione – quella in allegato per l’articolo 92 – che ricostruisce l’equilibrio tra fonte di legittimazione del Parlamento e intervento degli elettori nella scelta del Governo. Lo abbiamo fatto affrontando anche il tema del voto degli italiani all’estero. Un tema solo apparentemente tecnico: se quasi 5 milioni di elettori scelgono in tutto soltanto 12 parlamentari, una “elezione diretta” che faccia riferimento solo ai voti e non ai seggi dà luogo ad una contraddizione insanabile. Una difficoltà che – oggi aggirata attraverso il rinvio alla legge elettorale che verrà – è destinata a scoppiare comunque, quando il combinato disposto di riforma costituzionale e legge elettorale proponesse un contrasto insanabile tra numero dei voti e numero dei seggi.

Queste nostre proposte dimostrano che esistono soluzioni ragionevoli per i problemi aperti. Per di più, tratte dall’immane lavoro di studio, elaborazione e proposta di entrambi gli schieramenti che competono per il governo del Paese. Ci preoccupa che, invece di far leva su questo comune patrimonio di elaborazione, il confronto tra le principali forze politiche stia già scivolando verso l’appello alla mobilitazione referendaria, da entrambe le parti. Non è questa la strada suggerita dalla nostra Costituzione, che privilegia – per la sua riforma – l’intesa larga.