In un’intervista all’AGI, Vincenzo Semeraro racconta del rapporto d’affetto con la ragazza che si è tolta la vita a 27 anni, lasciando una lettera d’amore al fidanzato
Una ragazza si uccide in carcere, il magistrato che doveva occuparsi del suo recupero chiede “scusa perché ho fallito” al suo funerale attraverso una lettera. E’ prima di tutto una storia di affetto quella tra il giudice di Sorveglianza Vincenzo Semeraro e Donatella, la detenuta di 27 anni che ha inalato troppo gas il 2 agosto nel carcere di Montorio.
“Io a Donatella volevo particolarmente bene” ripete più volte durante l’intervista all’AGI, “mi sarebbe piaciuto anche andare al funerale ma avevo paura della reazione di chi gli è vicino, della rabbia”.
Donatella era “bella, fragilissima” e innamorata di Leo. E’ raro che le ultime parole di chi si ammazza dietro le sbarre trapelino. Lei invece aveva voluto lasciare una lettera, troppo intensa perché non uscisse dal buio della prigionia.
“Leo, amore mio. Mi dispiace. Sei la cosa più bella che mi poteva capitare e per la prima volta in vita mia penso e so cosa vuol dire amare qualcuno ma ho paura di tutto, di perderti e non lo sopporterei. Perdonami amore mio, sii forte”.
“Nella casa circondariale di Verona in media ci sono una quarantine di recluse. Quando vado in carcere è facile parlare con tutte in una giornata. Donatella la conoscevo da quando aveva 21 anni, entrava e usciva. La sua è una storia di dipendenza dalle droghe e di un vissuto personale molto complicato”.
Non è stato semplice, racconta, darle fiducia e riceverne. “Aveva un carattere particolare, era fragilissima e aveva molta paura di manifestare la sua fragilità. Ma ce l’abbiamo fatta a capirci e l’anno scorso l’ho mandata in una comunità di recupero. Forse non ha trovato l’ambiente giusto, non lo so. Di certo, era una persona tossica e quindi malata e le persone malate in carcere non ci devono stare. Il sistema è sbagliato. Il carcere non cura la malattia”.
Ma questa riflessione non attenua quelle che definisce le sue “colpe”. “Io ho sbagliato se è finita così ed era un mio dovere morale scrivere quel foglio che al funerale ha letto una ex detenuta, che era molto amica di Donatella. La conosco anche io, ogni tanto mi scrive e l’ha fatto anche questa volta, per sfogarsi, dopo il suicidio”.
Il giudice vorrebbe che Donatella “squarciasse un velo. Non si parla mai di chi si toglie la vita in carcere, sono solo numeri. Ma lei era giovane, bella e la lettera al fidanzato ha toccato tutti. Vorrei che a partire da lei si rifletta sull’enorme numero di suicidi in carcere e sul sistema che non li impedisce”.
“Io le volevo bene davvero – ancora ripete -. Anche noi magistrati a volte ci leghiamo di più ad alcune persone che ad altre. Non sono riuscito a fare quello che volevo ma mi impegnerò, anche per lei, a non sbagliare ancora. E’ una promessa”.
Fonte: AGI