Dal 5 novembre Jordan Bardella è diventato il nuovo presidente del Rassemblement national. Eletto dall’organo di partito con percentuali bulgare (85% dei voti), proprio su queste colonne avevamo anticipato l’esito scontato della sfida tra il delfino di Marine Le Pen e Louis Aliot, sindaco di Perpignan. Vittoria scontata per diversi fattori: Bardella è stato presidente ad interim del partito dall’inizio della campagna elettorale per le passate presidenziali, ruolo che arriva dopo un decennio di fedeltà assoluta alla leader dell’estrema destra che ora può concentrarsi esclusivamente sull’azione parlamentare del Rassemblement.
Nei fatti, Marine Le Pen cerca di riconquistare l’immagine di capopopolo sovranista – temporaneamente diluita in un tentativo di istituzionalizzazione che per l’ennesima volta si è rivelato fallimentare – tornando ad alzare la voce tra gli scranni dell’Assemblea nazionale e nel frattempo affida l’incarico di presidente a un esponente noto per le sue posizioni estreme, dalla teoria del complotto sulla sostituzione etnica a una vicinanza non troppo velata alle istanze del polemista Zemmour. Chi teme un’ulteriore radicalizzazione del Rassemblement può consolarsi con le dichiarazioni del neopresidente: l’impostazione lepenista non è messa in discussione e Marine Le Pen resta la candidata dichiarata per le consultazioni del 2027. Con queste premesse, l’unico traguardo a cui può aspirare la presidenza Bardella è un’ulteriore marginalizzazione del Rn. La sostanza non cambia.
Discorso simile si può fare per i gollisti, alle prese con le primarie di dicembre dopo il disastro firmato Valérie Pécresse. Ridimensionati dagli appuntamenti elettorali di aprile e giugno, gli eredi di Sarkozy si trovano schiacciati tra il partito di governo e l’opposizione lepenista che hanno occupato i principali spazi politici di riferimento per Les Républicains. La scelta tra responsabilità governativa e ritorno alla piazza è esplicitata dai tre candidati che si sfideranno questo dicembre: Eric Ciotti, il quale ha dichiarato in passato che in un eventuale ballottaggio Zemmour-Macron avrebbe votato per il primo, rappresenta l’area più a destra del mondo gollista che sfida il moderato Retailleau – fautore di un conservatorismo classico “meno tasse e più sicurezza” – e l’outsider Aurélien Pradié, il più progressista dei tre che seguendo l’impostazione del suo mentore Xavier Bertrand vuole «cambiare tutto: il nome, la sede, l’organizzazione e il messaggio stesso del partito». Le grandi manovre repubblicane si scontrano con l’indifferenza generale che accompagna il voto delle primarie. Gollisti e lepenisti si trovano così costretti a porsi la stessa domanda: c’è vita a destra di Emmanuel Macron?
FONTE: LA RAGIONE
Di Antonio Pellegrino