AGI – Ora che anche Andrea Marcucci, capogruppo Pd al Senato, ammette che quella dell’intergruppo Pd-M5s-Leu a Palazzo Madama è una sua iniziativa, Nicola Zingaretti chiede una moratoria alle polemiche: “Non cavalcherei troppo questo tema anche perché io ho preso un partito che era marginale e sconfitto – dice, riferendosi al dopo voto delle politiche 2018 che vide il Pd fermarsi al minimo storico del 18% – ed ora è di nuovo centrale, con una rete di alleanze”.
Una stoccata diretta a Matteo Renzi che da segretario pagò con le dimissioni la sconfitta alle urne. È stato proprio Renzi ad accusare il suo ex partito di aver messo da parte i gazebo, per seguire la linea Zingaretti-Bettini.
È proprio all’esponente dem, molto vicino al segretario, che il leader di Italia Viva attribuisce la paternità dell’intergruppo, visto come il seme di una alleanza strutturale fra le tre forze del centro sinistra. Bettini smentisce pubblicamente, riferendo di avere saputo dell’iniziativa solo dalle agenzie di stampa e, poco dopo, le parole di Marcucci confermano la ricostruzione spazzando il campo dai sospetti.
Anche perchè Marcucci è senatore di Base Riformista, l’area che guarda a Lotti e Guerini, e da sempre contrario all’alleanza con i 5 stelle. Difficile, quindi, che una sua iniziativa possa mirare a rinsaldare l’asse.
L’obiettivo dell’intergruppo è dunque un altro, più circoscritto: evitare una emorragia dal Movimento 5 stelle al Senato. A dimostrare che l’esperimento è destinato ad essere circoscritto a Palazzo Madama – viene fatto notare da fonti parlamentari dem – c’è il fatto che nulla del genere è nato alla Camera dove M5s sembra riuscire a tenere sotto controllo i malumori scaturiti dalla nuova maggioranza che va emergendo.
Che il tentativo sia andato a buon fine, poi, è tutto da dimostrare: a votare contro la fiducia a Draghi – ed essere conseguentemente espulsi dal Movimento – sono stati 15 senatori. Tanti, troppi. Anche perché il numero totale dei senatori dell’intergruppo scende a 116, uno solo in più di quelli del centrodestra, e al netto dei 6 assenti di ieri.
Fonti parlamentari dem, alla luce di tutto ciò, considerano “un fallimento” l’esperimento di Palazzo Madama, tanto da rendere “improbabile la riproposizione dello stesso schema alla Camera”. In ogni caso, la linea di Zingaretti è chiara ed è quella certificata da numerosi voti in direzione: “Un Pd forte e alleanze vincenti” da scegliere di volta in volta valorizzando i territori. In altre parole, nessuna alleanza o candidatura verrà calata dall’alto.
Questo vale anche per Roma, dove nelle ultime ore si fa sempre più insistentemente il nome dell’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. “Sceglieranno i romani – ribadisce il segretario del Pd – Nelle città costruiremo alleanze larghe. Nel lavoro parlamentare se c’è un coordinamento, non accenderei troppi casi politici su questo. Un partito come il Pd deve avere una sua identità, ma anche preoccuparsi di essere insieme agli altri”.
Vedi: Il flop dell'intergruppo Pd-M5s-Leu a Palazzo Madama
Fonte: politica agi