di Francesco Gallo Mazzeo*
Unmei no okai ito. È una bella espressione giapponese che vuol dire il filo rosso del destino. Ogni persona è legata, dalla nascita a un filo rosso, che prefigura il suo destino; come dire che si tratta di un quid indistruttibile, di cui non si può prescindere, di cui non si può fare a meno Un filo rosso, che collega l’anima visibile della vita, con la propria gemella, invisibile, diffusa, impalpabile.
Sempre più stiamo imparando a non disprezzare le intuizioni originare della sapienza, immettendole, come poesie nella scienza, in specie da quando la fisica quantistica ci sta tramutando tutti in ambigui astrologi, sciamani e sacerdoti, di un umore di fondo, che non è risposta magica e miracolistica, ma apertura dell’enigma ad una risposta che chiama domanda, in una sequenza infinita che rende sempre più necessaria la razionalità, nel momento in cui, sempre più, ne rivela l’insufficienza, perché ciò che ci attraversa, ci circonda, ci condiziona, è materia oscura, energia oscura, di cui sappiamo solo di non saperne niente.
Non sappiamo cosa sia il sè, quella che viene chiamata la seity, una connessione tra religioso, psicologico e filosofico. Non sappiamo cosa sia la nostra stessa intelligenza, che porta alla coscienza e all’autocoscienza, che non può essere macchinismo o algoritmo e quindi non può essere eguagliato da nessun artificio, che può essere conoscente ma non cosciente, che può essere analitico, ma non poetico.
È vero, esiste uno iato tra quanti credono che tutto sia casualità e quanti sostengono che ci sia un disegno originario, che fa in modo che la macchina dell’universo sia costruita su una dualità maschile femminile, che ha il suo archetipo nell’uroboro, che era uno e noi sappiamo che siamo uno moltiplicato, perché in ogni nostra cellula c’è tutto: ogni nostra cellula contiene l’intero genoma dell’uovo fecondato, per cui l’essenza, l’evoluzione, portano a conoscere e a conoscersi (e la possiamo definire potere divino).
Per cui nessuno ci supererà, tranne ciò che è già superiore. Ha scritto Borges: Torre di Babele e superbia, luna contemplata dai Caldei, sabbie innumerevoli del Gange, Chuang- Tzu e la farfalla che sogna: sono servite tutte queste cose perché le nostre mani si incontrassero”. “Lungo il corso delle generazioni gli uomini eressero la notte e compresero il giorno. Quelle generazioni non sono finite, continuano, tuttora. Un giorno forse avremo una teoria che ci aiuti a conoscere l’ignoto che abita in noi stessi”.
“È questo mirabile, questo immortale istinto del bello, che ci fa considerare la terra e i suoi spettacoli come una corrispondenza, come una corrispondenza del cielo”… la sete di tutto ciò ch’è oltre, è la prova della nostra immortalità”. (Charles Baudelaire). Grazie a Irriducibile (il libro) di Federico Faggin.
Irriducibile, il nuovo libro di Federico Faggin
*Professore emerito ABA di Roma. Docente di linguistica applicata ai nuovi linguaggi inventivi delle arti visive in Pantheon Institute Design & Technology di Roma e Milano