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Il festival di Berlino

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L’Internationale Filmfestspiele Berlin, presto conosciuto come Berlinale, fu istituito nel 1951 su iniziativa politico-culturale degli Stati Uniti e dell’Alleanza occidentale, con l’obiettivo di elaborare una rassicurante immagine di ripresa sia della città, tormentata dalle conseguenze del disastro bellico, sia dell’industria cinematografica tedesca, in crisi profonda anche a causa dell’esodo di grandi personalità avvenuto nel periodo nazista.

Presieduto da Oscar Martay, consulente cinematografico del Dipartimento di Stato americano, si formò, nell’ottobre del 1950, un comitato promotore misto, composto da rappresentanti dell’industria cinematografica, distributori, produttori, esponenti della municipalità berlinese. Si fissò per il 6 giugno del 1951 la data di apertura del Festival, la cui direzione fu affidata ad Alfred Bauer, che sarebbe rimasto in carica fino al 1976. Per i primi tre anni il Festival non fu un’istituzione permanente; solo nell’ottobre del 1953 il senato berlinese decretò ufficialmente un finanziamento annuale. Dal 1956, con fondi aggiuntivi municipali e nazionali e con il riconoscimento da parte della FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films), il Festival assunse una fisionomia stabile, per diventare con il tempo, insieme al Festival di Cannes e alla Mostra del cinema di Venezia, uno dei tre appuntamenti annuali più importanti nel panorama mondiale dei festival cinematografici. Il clima della guerra fredda in cui nacque e si sviluppò il Festival determinò una forte contraddizione nella sua politica culturale, che risultava ambivalente visto il rilievo dato alle ragioni dell’industria (con particolare riguardo agli interessi della cinematografia statunitense), e la sempre più accentuata apertura manifestata nei confronti delle diversità culturali e delle cinematografie del Terzo mondo. La fisionomia del Festival si è modellata proprio su queste due esigenze divergenti, via via riflesse nel programma e nelle sezioni: fornire una cassa di risonanza ai grandi film americani e nello stesso tempo dare spazio e visibilità alle cinematografie emergenti, alle tendenze del giovane cinema, ai film e agli autori dei Paesi non allineati con il blocco politico-culturale dell’Occidente.

Nelle linee programmatiche figuravano, secondo quanto enunciato nello statuto, due ambizioni di base: quella di “documentare dinanzi a un vasto pubblico i progressi dell’arte cinematografica”, segnalandone sviluppi e tendenze, e quella di “far convenire a Berlino, quale punto di incontro, personalità e professionisti del cinema per un proficuo scambio di idee su tutti i problemi d’attualità interessanti l’industria del film”. L’articolo II dello statuto dichiarava altresì l’intento di “contribuire alla comprensione e all’amicizia tra i popoli delle differenti nazioni”. Nonostante ciò, le prime edizioni furono caratterizzate da una serie di limitazioni. In primo luogo, sulla base di un regolamento votato a maggioranza, fu ricusata la partecipazione dei Paesi del blocco sovietico e dell’Europa dell’Est e fu sospesa la decisione a proposito di Giappone, Turchia e Portogallo, compromettendo così il carattere pienamente internazionale della manifestazione. In secondo luogo, l’impostazione organizzativa non prevedeva criteri rigorosi di selezione, ma configurava una formula più vicina alla mostra-mercato, con l’ammissione di film già noti nei Paesi d’origine o già presentati in altre rassegne. Infine, i conflitti di competenze tra l’associazione delle industrie cinematografiche tedesche, il senato di Berlino Ovest e il governo federale, nel tentativo di orientare la politica culturale del Festival, crearono un clima di litigiosità e di polemiche interne che caratterizzò a lungo la manifestazione. L’accusa, avanzata anche dalla stampa, di subalternità rispetto all’industria di Hollywood, che ha spesso usato il Festival come trampolino di lancio europeo per i propri film, è stata ricorrente nella storia della Berlinale. Ma in quegli anni lo scarso rilievo dei film tedeschi e il tiepido interesse del pubblico nei loro confronti erano un dato di fatto. Per potenziare la visibilità del cinema tedesco si decise allora di istituire, come parte integrante del Festival, una ‘fiera del film’ gestita dalle rappresentanze industriali berlinesi. Fu anche nominato un comitato di selezione ad hoc per i film tedeschi. Si fece coincidere, in seguito, l’assegnazione del Premio del cinema tedesco, diventato poi Premio federale per il cinema, con l’apertura del Festival, coincidenza che si sarebbe protratta fino al 1978.

LA BERLINALE PONTE CULTURALE TRA EST E OVEST

In piena attività nell’epoca in cui le tensioni della guerra fredda si estendevano fino ai rapporti cinematografici fra Ovest ed Est, il Festival si impose per la sua collocazione al centro dello scenario internazionale, acquistando un ruolo di spartiacque fra universi contrapposti ed esibendo la capacità di cogliere il mutamento fino a configurarsi come un ‘ponte’ artistico fra due mondi in conflitto ma non più irrimediabilmente separati. Negli anni Settanta una revisione del regolamento fece cadere le preclusioni verso le cinematografie dell’Est. Il Festival venne così ad assumere la funzione storica di servire alla distensione e alla Ostpolitik dei socialdemocratici tedeschi, pur se nel 1970 la giuria non assegnò i premi a seguito del caso politico aperto dal film O.K. di Michael Verhoeven accusato di antiamericanismo. Il 1972 fu il primo anno che vide la presenza di una delegazione ufficiale di URSS, DDR e Cecoslovacchia. Finalmente, nell’edizione del 1974, il ghiaccio fu rotto dalla partecipazione di un film sovietico fuori concorso, S toboj i bez tebja (1974, Con te e senza di te) diretto da Rodion R. Nachapetov, vicenda ambientata in una fattoria collettivizzata. Nel 1975 furono selezionati film provenienti da tutti i Paesi socialisti, a eccezione dell’Albania ma compresa la Cina, la cui cinematografia avrebbe trovato nel corso degli anni Novanta una grande notorietà al Festival. Il primo film della Repubblica Democratica Tedesca a essere proiettato fu, in quello stesso anno, una storia ambientata in un ghetto ebreo-polacco nel 1944, Jakob der Lügner (1974) di Frank Beyer (regista che sarebbe stato poi chiamato nel 1993 a presiedere la giuria della Berlinale), al cui attore protagonista (Vlastimil Brodský) fu assegnato nel 1975 un Orso d’argento. Il disgelo culturale proseguì negli anni Settanta con il nuovo corso impresso dal direttore succeduto a Bauer, Wolf Donner, che promosse un allargamento della rappresentanza dei Paesi socialisti e, nel 1977, una retrospettiva su Lenin e la Rivoluzione nel cinema sovietico e una piccola personale del regista tedesco orientale Konrad Wolf. Il primo Orso d’oro per un film tedesco orientale fu ottenuto, nel 1985, da Die Frau und der Fremde diretto da Rainer Simon. Gli anni Ottanta videro nel Festival un banco di prova della perestrojka culturale, con la partecipazione dei nuovi quadri del cinema sovietico, registi come Elem G. Klimov, Gleb A. Panfilov, Aleksandr N. Sokurov. Nell’edizione del 1987 Tema (1979) di Panfilov vinse l’Orso d’oro, si scoprì un cineasta singolare come Sergej Paradžanov con Legenda o Suramskoj kreposti (1984; La leggenda della Fortezza di Suram) e venne presentato un documentario sulla tragedia di Černobyl′.

STRUTTURA, SEZIONI, PREMI, GIURIE

Fino al 1977 il Festival si svolse tra giugno e luglio, ma dal 1978 fu spostato a febbraio-marzo, sia per evitare la concorrenza con l’appuntamento primaverile del Festival di Cannes e con quello autunnale della Mostra del cinema di Venezia, sia per diventare la prima importante manifestazione cinematografica dell’anno, così da soddisfare le richieste insistenti dei compratori e degli addetti ai lavori di una maggiore visibilità delle opere presentate. Nel succedersi delle edizioni, il Festival si andò strutturando in sezioni autonome e permanenti, che si affiancarono ai due nuclei di partenza, il Wettbewerb, la sezione competitiva, e la collaterale Filmmesse, che testimoniava di una politica culturale attenta alle ragioni economiche dell’industria cinematografica, e che nel 1978 fu resa indipendente, aperta al pubblico, e trasferita presso l’Ente autonomo delle fiere, mostre e congressi, per prendere infine il nome di European Film Market.

La ventata di rinnovamento del Sessantotto evidenziò la necessità di affiancare a sezioni che tenessero presenti gli interessi dell’industria una sezione che adottasse un criterio più rigorosamente qualitativo, e che fosse centrata sui giovani autori e sulle nuove tendenze: nel 1971 nacque così l’Internationale Forum des Jungen Films, evento parallelo e con svolgimento autonomo, destinato ad assumere altrettanto rilievo della sezione ufficiale. Il pubblico aumentò allora notevolmente e poté diversificarsi, acquisendo una componente più spregiudicata e aperta al nuovo. Il Forum fu configurato dal suo curatore, Ulrich Gregor, come il veicolo ideale della seconda anima del Festival, quella attenta alle cinematografie emergenti del Terzo mondo, alle diversità culturali e alla sperimentazione di nuovi linguaggi. Parte integrante dei suoi programmi furono le incursioni nelle cinematografie extraeuropee (africana, indiana, latinoamericana), i film sperimentali, il cinema militante, il nuovo documentarismo, i percorsi tematico-critici. La sezione ospitò, fra l’altro, il documentario-evento Shoah di Claude Lanzmann sull’Olocausto (1985, presentato nell’edizione del 1986). Sotto la direzione di W. Donner fu poi istituita la sezione Neue deutsche Filme, dedicata alle novità della cinematografia tedesca. Fin dagli anni Settanta, inoltre, si accompagnò alla sezione ufficiale anche una informativa fuori competizione, che fu poi riorganizzata e nel 1986 prese il nome di Panorama. Sotto la direzione prima di Manfred Salzgeber e, dal 1993, di Wieland Speck, Panorama ha focalizzato il suo interesse dapprima sui film dell’area latina e mediterranea e sulla produzione dei Paesi dell’Est, poi, a partire dagli anni Novanta, sul cinema indipendente e sul documentario. Punto di forza consolidatosi negli anni è stata la sezione Retrospektive, che dal 1977 viene organizzata in collaborazione con la Deutsche Kinemathek. Nelle varie edizioni si sono succeduti sia omaggi ad attrici (Marlene Dietrich, Asta Nielsen), produttori (Hal Roach), registi (Fred Zinnemann, Billy Wilder, Georg Wilhelm Pabst, William Wyler, Curtis Bernhardt), sia retrospettive tematiche, come quella sugli effetti speciali (1985), o quella sul colore (1988). Nel 1978 è stato poi istituito il Kinderfilmfest, piccolo festival nel festival dedicato al cinema per ragazzi in collaborazione con il Landesbildstelle Berlin. La fisionomia del Festival è dunque il risultato della proficua competitività tra le varie sezioni, che hanno contribuito, nella loro dialettica, a definire e ad arricchire l’offerta culturale della manifestazione.

La giuria della prima edizione era interamente tedesca; ne facevano parte dirigenti delle industrie cinematografiche, critici, giornalisti, rappresentanti del mondo dello spettacolo. Nella successiva edizione del 1952 non venne nominata una giuria, ma i premi furono assegnati dal pubblico, con il sistema del voto su un modulo da consegnare al termine della proiezione: una formula che voleva accentuare il coinvolgimento della città e della pubblica opinione, oltre a servire come termometro dei gusti del pubblico per produttori ed esercenti, e che durò fino al 1956. Fin da allora la denominazione dei riconoscimenti fu Orso d’oro (Goldener Bär), Orso d’argento (Silberner Bär) e di bronzo (Bronzener Bär, eliminato nel 1956), e, solo per l’edizione del 1951, si differenziarono quattro generi: drammatico, commedia, film poliziesco o d’avventura, film musicale, oltre all’area del documentario, del film scientifico e del cortometraggio, che dal 1956 ebbe una giuria autonoma. Nel 1953 fu designata una prima giuria internazionale, composta dai delegati dei Paesi rappresentati alla manifestazione, con il compito di assegnare il premio speciale del Senato di Berlino; del 1956 è invece la prima giuria internazionale del Festival, presieduta da Marcel Carné. Nel 1986 fu istituita la giuria formata solo da ragazzi per la sezione Kinderfilmfest e fu creato il riconoscimento della Berlinale Kamera, da assegnare a personalità di chiara fama: Giulietta Masina, F. Zinnemann, Gina Lollobrigida e Sidney Pollack furono i primi insigniti del premio.

SVILUPPO STORICO

Durante gli anni Cinquanta il Festival fu caratterizzato, oltre che dalla necessità di un consolidamento economico che ne permettesse una gestione più stabile e continuativa, dalla ricerca di un riconoscimento internazionale, che permettesse fra l’altro di far riguadagnare alla Germania devastata dalla guerra un’immagine allo stesso tempo di prestigio e di rassicurazione democratica. Ma si trattava anche di contemperare le aspettative popolari di mondanità e divismo con l’esigenza di promuovere un cinema di più difficile comprensione. In questo senso, nel 1957 suscitarono diverso clamore la partecipazione di divi come Errol Flynn e Henry Fonda, e, al contempo, l’ammissione al concorso di un film come Jonas di Ottomar Domnick, opera tedesca di carattere sperimentale scritta da H.M. Enzensberger, un’esplorazione psicoanalitica delle relazioni umane ritenuta dalla critica ostica e velleitaria. Del resto, fino al 1957, anno in cui fu eliminato il premio del pubblico, si era manifestata tra le preferenze di quest’ultimo e quelle della critica una divaricazione di orientamento che aveva visto spesso il verdetto popolare optare per opere di intrattenimento che favorissero l’evasione dai traumi postbellici.

Nel 1951 il pubblico aveva scelto lo statunitense Cinderella (1950; Cenerentola) di Wilfred Jackson, Hamilton Luske e Clyde Geronimi, prodotto dalla Walt Disney. Fu un’elezione comprensibile: il Festival era appena nato, il clima era positivo, e il lungo cartone animato era certamente l’opera più seducente per l’atmosfera di ottimismo e serenità che sapeva creare, soprattutto in una città che aveva a lungo sofferto per la guerra e che era tormentata da nuovi contrasti ideologici, politici e territoriali. La giuria premiò invece come miglior film drammatico lo svizzero Die Vier im Jeep (Quattro in una jeep) di Leopold Lindtberg, forte di un significativo messaggio di solidarietà pacifica. Tra i film selezionati figurava anche il drammatico Cristo proibito di Curzio Malaparte (unico film diretto dallo scrittore), opera problematica di indubbio interesse contenutistico e formale, cui fu assegnato il premio Città di Berlino. All’Orso d’oro per il britannico Hobson’s choice (Hobson il tiranno) di David Lean, nel 1954 il pubblico affiancò il premio conferito a Pane, amore e fantasia (1953) di Luigi Comencini, per la calda comunicativa (da ‘commedia dell’arte’, scrissero i giornali tedeschi) che i suoi personaggi sapevano esprimere. Il rinnovamento del panorama cinematografico degli anni Sessanta non mancò di essere registrato dal Festival, negli intenti ‒ dichiarati dal direttore Bauer ‒ di una maggiore apertura al giovane cinema e alla giovane critica e in un progetto di riforma che prevedeva fra l’altro un comitato di selezione ristretto e qualificato, con la partecipazione di critici ed esperti. Nel 1965 fece molto rumore l’esclusione dal concorso di Nicht versöhnt (1964-65; Non riconciliati) di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, che venne proiettato nella sezione informativa seguito da un dibattito sulle nuove strutture narrative nel film, ma l’Orso d’oro fu assegnato ad Alphaville (Agente Lemmy Caution ‒ Missione Alphaville) diretto da Jean-Luc Godard, che segnava una tappa fondamentale della Nouvelle vague. Anche alla Berlinale arrivò poi la contestazione del Sessantotto, e in un dibattito sulle sorti del Festival gli studenti universitari proposero di rivoluzionarne completamente il carattere: niente concorso e niente premi, partecipazione libera al di là della rappresentatività per Paesi, i filmmakers al centro e i produttori emarginati, distinzione netta tra film d’arte e film commerciale.Alla fine degli anni Settanta un passaggio cruciale fu rappresentato dalla breve direzione (dal 1976 al 1979) di W. Donner, ex direttore della testata “Die Zeit”, che si accinse a cambiare l’immagine del Festival rivitalizzando il carattere della manifestazione e orientandola a un pubblico giovane e più sofisticato. Sua preoccupazione fu anche la promozione internazionale della produzione tedesca contemporanea: trovò così adeguata rappresentazione la nuova generazione di registe tedesche (Margarethe von Trotta, Helke Sander, Jutta Brückner), e nel 1978 fu presentato il controverso film collettivo Deutschland im Herbst (1977-78; Germania in Autunno), undici episodi sulla lotta armata, che fu accusato di simpatizzare con il terrorismo. Nel 1995 invece è stato proiettato Hades di Herbert Achternbusch, film realizzato in Germania sulle atrocità naziste. Nel 1980 fu nominato direttore Moritz de Hadeln, ex documentarista ed ex direttore del Festival di Locarno, presto accusato di attuare una politica di promozione delle majors statunitensi. Direttore fino al 2001, de Hadeln ha confermato la funzione della Berlinale come punto di incontro tra diverse concezioni del cinema, in un contesto europeo nuovo, allargato a Est. Nel corso degli anni Ottanta, ma soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino, nel momento in cui il mutamento degli equilibri internazionali rese storicamente superata la funzione di ponte fra l’Occidente e l’Europa dell’Est, il Festival rinnovò la sua vocazione volta a offrire un’importante ribalta a quei popoli e a quei Paesi in cerca di identità, e ai conflitti emergenti tra Nord e Sud del mondo. Un vero e proprio evento da questo punto di vista fu rappresentato, nel 1988, dall’assegnazione dell’Orso d’oro al film cinese Hong gaoliang (1987; Sorgo rosso) diretto da Zhang Yimou: per la prima volta, infatti, nella storia del cinema mondiale la Cina conquistava il massimo premio in un festival cinematografico. Un exploit che ha avviato una stagione densa di riconoscimenti alle cinematografie non occidentali. A partire dal mese di maggio 2001 è stato nominato direttore del F. di B. Dieter Kosslick.

 

Fonte: Treccani.it