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Il disastro della Exxon Valdez

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Sono passati esattamente 34 anni da uno dei disastri ambientali più grandi di sempre. Era il 24 marzo del 1989 quando la Exxon Valdez, una superpetroliera, si incagliò nello stretto di Prince William, in Alaska, disperdendo nelle acque del mare ben 40,9 milioni di litri di petrolio. Cos’ha comportato questo immenso disastro?

A causa dei ritardi negli sforzi avvenuti per contenere la fuoriuscita, ma anche a causa dei forti venti e delle correnti marine, la fuoriuscita ha interessato oltre 1300 miglia di costa (circa 2000 chilometri). Nonostante gli sforzi di pulizia, a cui contribuirono migliaia di volontari, le perdite di petrolio sterminarono gran parte della fauna selvatica autoctona, tra cui salmoni, aringhe, lontre marine, aquile calve e orche.

Quest’accaduto rese lampante la necessità di creare delle misure di protezione e prevenzione adeguate. Nel 1990, quindi, proprio in risposta all’incidente della Exxon Valdez, il Congresso degli Stati Uniti approvò l’Oil Pollution Act: la legge creò delle specifiche procedure per rispondere a future fuoriuscite di petrolio, stabilendo le responsabilità legali delle parti e fissando un calendario allo scopo di bandire le petroliere monoscafo, come la Exxon, dalle acque statunitensi entro il 2015.

Ma che fine fece la superpetroliera Exxon Valdex? Si potrebbe pensare che, visti gli accadimenti, venne subito dismessa! In realtà fu riparata e rimessa in servizio, ma ad una condizione: una clausola dell’Oil Pollution Act, infatti, le proibiva di rientrare nello stretto di Prince William. Riprese il suo servizio con un nuovo nome, divene la Exxon Mediterranean, e lavorò nel Mar Mediterraneo fino a quando le navi a scafo singolo non vennero definitivamente bandite anche dalle acque europee. Nel 2008 fu convertita da una società di Hong Kong in una nave da trasporto di minerali e nel 2012, con il nome di Oriental Nicety, fu venduta per essere demolita ad Alang, in India.