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Il covid fa crollare la speranza di vita, passo indietro di 10 anni

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AGI – Speranza di vita che crolla, diseguaglianze che aumentano, un sistema economico colpito “in forme e intensità allarmanti e imprevedibili”. Dal rapporto dell’Istat sul Benessere equo e sostenibile, spiega il presidente dell’istituto, Gian Carlo Blangiardo, “emerge un Paese in grande difficoltà che, tuttavia, mantiene in vita riserve di speranza”. le ferite della pandemia necessiteranno di tempo prima di essere rimarginate

Crolla la speranza di vita

“L’evoluzione positiva della speranza di vita alla nascita tra il 2010 e il 2019, pur con evidenti disuguaglianze geografiche e di genere, è stata duramente frenata dal Covid-19 che ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nel decennio”. Il dato passa dagli 81,7 anni del 2010 agli 83,2 del 2019 prima di crollare a 82,3 anni nel 2020. In particolare, nel Nord la speranza di vita passa da 82,1 anni nel 2010 a 83,6 nel 2019, per scendere nuovamente a 82 anni nel 2020. Nel Centro passa da 81,9 nel 2010 a 83,1 anni nel 2020 e nel Mezzogiorno da 81,1 a 82,2 anni, con perdite meno consistenti nell’ultimo anno (rispettivamente -0,5 e -0,3 anni). “È un arretramento non ancora concluso, e che richiederà tempo per essere pienamente recuperato”, sottolinea l’Istat.

Con la dad aumenta diseguaglianza, l’8% degli alunni è escluso

“In Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell’ultimo decennio, non si è ancora in grado di offrire a tutti i giovani le stesse opportunità per un’educazione adeguata. Il livello di istruzione e di competenze che i giovani riescono a raggiungere dipende ancora in larga misura dall’estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio in cui si vive. La pandemia del 2020, con la conseguente chiusura degli istituti scolastici e universitari e lo spostamento verso la didattica a distanza, o integrata, ha acuito le disuguaglianze”. L’8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza e non ha preso parte alle video-lezioni con il gruppo classe. Tale quota sale al 23% tra gli alunni con disabilità.

Pochi laureati, aumenta il divario con l’Europa

Il divario con l’Europa sull’istruzione continua ad ampliarsi: nel secondo trimestre 2020 il 62,6% delle persone di 25-64 anni ha almeno il diploma superiore (54,8% nel 2010); tale quota è inferiore alla media europea di 16 punti percentuali. Tra i giovani di 30-34 anni il 27,9% ha un titolo universitario o terziario (19,8% nel 2010) contro il 42,1% della media Ue27.

Il sistema economico è stato colpito in modo allarmante

“Lo scoppio della pandemia ha colpito il sistema economico italiano in forme e intensità allarmanti e imprevedibili. Il crollo dei livelli di attività economica ha avuto effetti negativi sul reddito, sul potere d’acquisto e soprattutto sulla spesa per consumo. L’aumento della povertà si è concentrato su alcuni segmenti di popolazione e su alcuni territori”. La stima preliminare per il 2020 identifica oltre 5,6 milioni di individui in condizione di povertà assoluta in Italia, con un’incidenza media pari al 9,4%, dal 7,7% del 2019: si tratta dei valori più elevati dal 2005. La povertà cresce soprattutto al Nord, area particolarmente colpita dalla pandemia, dove la percentuale di poveri assoluti passa dal 6,8% al 9,4% degli individui; più contenuta, invece, la crescita al Centro (dal 5,6% al 6,7% degli individui) e nel Mezzogiorno (dal 10,1% all’11,1%). Colpisce, inoltre, prevalentemente le famiglie con bambini e ragazzi: l’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale di oltre due punti percentuali (da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005) per un totale di 1 milione e 346mila bambini e ragazzi poveri, 209mila in più rispetto all’anno precedente.

Migliora la soddisfazione di vita, ma cala la fiducia nel futuro

Nel 2020, meno della metà della popolazione (44,5%) esprime un voto tra 8 e 10 sulla soddisfazione della propria vita, in leggero aumento rispetto all’anno precedente (43,2%). S mantengono le differenze territoriali, con una maggiore percentuale di soddisfatti per la propria vita al Nord (48,4%), quasi quattro punti percentuali in più della media nazionale, e livelli più bassi al Centro e nel Mezzogiorno (rispettivamente, 43% e 40%). La situazione critica determinata nel Paese dall’epidemia da Covid-19 ha avuto un impatto negativo sulle prospettive future. Dopo anni di aumento, nel 2020 scende al 28,9% la percentuale di persone che prevedono un miglioramento della propria situazione nei prossimi cinque anni (30,1% nel 2019). Contemporaneamente aumenta al Nord e al Centro, dopo anni di riduzione, la quota di quanti ritengono che la propria situazione peggiorerà nei prossimi cinque anni (13,3% al Nord, un punto percentuale in più rispetto al 2019, 14% al Centro, +1,5 punti percentuali).

Una famiglia su 3 senza computer e accesso a Internet

La diffusione dell’Ict tra le famiglie e gli individui si è accresciuta significativamente nel 2020, portando al 69,2% la quota di utenti regolari di Internet (era 43,9% nel 2010).Restano tuttavia ancora indietro le donne (65,8%), i più anziani (44% per la classe di età 65-74; 12,9% per gli ultrasettantacinquenni) e chi vive nel Mezzogiorno, con uno scarto di 9 punti percentuali rispetto ai residenti nel Centro-nord (72,3%). Nel 2020 un terzo delle famiglie italiane non dispone di computer e accesso a Internet da casa. Le differenze sono molto accentuate guardando il titolo di studio: dal 7,2% delle famiglie in cui almeno un componente è laureato si passa al 68,3% di quelle in cui in cui il titolo più elevato è la licenza media. Non dispongono di connessione a Internet e pc il 12,6% delle famiglie in cui è presente almeno un minore e il 70% delle famiglie composte da soli anziani. Aumenta lo svantaggio delle famiglie del Mezzogiorno: nel 2020 il gap rispetto alle famiglie del Nord è di 10 punti percentuali, 3 in più rispetto al 2010.

In quanti temono di perdere il posto di lavoro

La percentuale di lavoratori che si percepiscono come fortemente vulnerabili registra una inversione di tendenza rispetto alla tendenza di costante diminuzione degli ultimi anni: nel secondo trimestre 2020 è pari al 7,8% (+1,9 punti rispetto al secondo trimestre 2019, + 400mila). Sono in tutto quasi 1 milione e 800 mila gli occupati che temono fortemente di perdere il lavoro senza avere la possibilità di sostituirlo. Nel secondo trimestre 2020, l’emergenza sanitaria ha comportato in Italia un forte calo del numero di occupati: sono 788 mila in meno (tra i 20-64 anni) rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente; il tasso di occupazione (sempre 20-64 anni) scende al 62%, in diminuzione di 2 punti percentuali. In dieci anni i divari con l’Europa per i tassi di occupazione si sono ulteriormente allargati e sono particolarmente evidenti per le donne. Nel 2010, il tasso di occupazione delle donne di 20-64 anni in Italia era di 11,5 punti più basso rispetto alla media europea, e nel 2020 il distacco arriva a circa 14 punti in meno.

Sempre meno posti in ospedale

Tra il 2010 e il 2018 il numero di posti di letto in ospedale è sceso in media dell’1,8% all’anno fino ad attestarsi a 3,49, tra ordinari e in day hospital, ogni 1.000 abitanti. Si riducono anche i posti letto nei reparti a elevata intensità assistenziale tra il 2010 e il 2018 (da 3,51 per 10mila abitanti a 3,04) e si assiste a una crescita costante del tasso di mobilità per motivi di cura dalle regioni meridionali e dal Centro tra il 2010 e il 2019 (da 9,2 a 10,9 ogni 100 dimissioni di residenti nel Mezzogiorno, da 7,4 a 9 nel Centro). 

Nel 2019 sono circa 241.000 i medici (tra specialisti e di base) e i pediatri di libera scelta che svolgono la loro attività nel sistema sanitario italiano pubblico e privato. Con quattro medici ogni 1.000 residenti, il nostro Paese si colloca ai primi posti in Europa ma i medici sono mediamente più “anziani” rispetto ai colleghi di altri Paesi europei (un medico su due ha più di 55 anni). La situazione del personale infermieristico non è altrettanto favorevole, infatti l’Italia è agli ultimi posti in Europa per dotazione di infermieri, circa 6 ogni 1.000 residenti. Nel 2020, un cittadino su 10 ha dichiarato di aver rinunciato, negli ultimi 12 mesi, a prestazioni sanitarie per difficoltà di accesso, pur avendone bisogno. Il forte aumento (6,3% nel 2019) è certamente straordinario: oltre il 50% di chi rinuncia riferisce infatti motivazioni legate alla pandemia da Covid-19.

Source: agi


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