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I sintomi della celiachia: come capire se si è celiaci 

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La diagnosi di celiachia, lo ricordiamo, va sempre fatta dal medico. Ma ci sono segnali d’allarme che possono indirizzare verso il riconoscimento di questa condizione, che si manifesta soprattutto nei bambini ma che, a volte, può comparire anche negli adulti.

In termini generali la celiachia, o morbo celiaco, è scatenata da un complesso proteico estraneo all’organismo, quello del glutine, presente in molti cereali come il frumento, l’orzo, la segale e l’avena, ma riconosce la sua genesi in un’alterazione autoimmune. In pratica, quindi, l’organismo, sbagliando, si scatena contro il glutine che normalmente non crea alcun problema. Colpisce prevalentemente l’intestino tenue, cioè quella lunga matassa di anse intestinali entro cui avviene la maggior parte dell’assorbimento dei cibi. La malattia è quindi legata all’intolleranza al glutine presente in cibi e bevande contenenti molti (ma non tutti) i cereali.

Del tutto tollerabili sono, invece, le farine e gli alimenti a base di mais, riso, sorgo e soia, perché non contengono elementi nocivi per le persone affette da celiachia. Un ruolo importante è giocato dalla predisposizione immunologica dell’individuo che rappresenta l’elemento fondamentale per la comparsa dei sintomi.

Infatti, la celiachia è una patologia multifattoriale che colpisce persone geneticamente predisposte, la cui insorgenza può essere, inoltre, legata ad alcuni fattori, come un’infezione intestinale da rotavirus nel corso dell’infanzia, o altre infezioni gastroenteriche o alla gravidanza.

Che cosa è il glutine e perché causa celiachia

Il glutine è una massa reticolare, elastica e porosa, che rappresenta la struttura principale di un impasto per la panificazione cui, in sostanza, garantisce l’elasticità. Deriva da un insieme di proteine che compongono il grano, l’orzo, la segale e diversi altri cereali, appartenenti alla famiglia delle graminacee. L’unione delle proteine che compongono il glutine è definita prolamine. Le prolamine contengono un aminoacido (la prolina) poco digeribile che, in alcuni individui particolarmente sensibili, può arrivare a scatenare una vasta gamma di reazioni. L’ingestione di un alimento contenente glutine porta, quindi, l’organismo delle persone predisposte a riconoscerlo come un elemento estraneo e avvia un serie di attività che nei casi più gravi possono distruggere la mucosa intestinale (è quanto accade nella celiachia), oppure in quelli più lievi dare qualche fastidio a carico della digestione e del ritmo intestinale. In entrambi i casi, i sintomi generalmente regrediscono con una dieta temporanea priva di glutine.

Come nasce e si sviluppa la celiachia

Alla base della malattia ci sono due elementi: uno esterno, il glutine, e l’altro correlato alla predisposizione genetica a sviluppare intolleranza nei confronti della componente alimentare. Il glutine raggruppa una famiglia di proteine vegetali, le poliammine, contenute nel frumento (gliadine), nell’orzo (ordeine), nella segale (secaline) e probabilmente nell’avena, sotto forma di avenine. Queste proteine hanno uno scarso valore nutritivo perché mancano di aminoacidi essenziali, quelli che il corpo non riesce a produrre da solo ma deve trarre dagli alimenti, come lisina e triptofano. Tuttavia, il glutine è fondamentale per la panificazione perché conferisce alla farina, dopo miscelazione con acqua, la capacità di formare un impasto compatto ed elastico.  Sul fronte del sistema immunitario dell’individuo, si è visto che alcuni frammenti dell’alfa-gliadina (una particolare proteina) sarebbero in grado di innescare le risposte immunologiche che portano ai sintomi. Ciò avverrebbe però solo in presenza di specifiche caratteristiche genetiche, che spiegano anche la particolare distribuzione nella stessa famiglia della celiachia. Si sa, infatti, che la malattia si manifesta nel 75 per cento dei gemelli identici e compare, anche se magari senza dare alcun segno, nell’8-10 per cento dei familiari di primo grado di persone colpite. In chi soffre di celiachia, infatti, è stata dimostrata la presenza di specifici antigeni, cioè composti in grado di reagire agli stimoli esterni. In parole povere, negli individui predisposti, il contatto con il glutine mobilita i linfociti, scatenando una reazione difensiva simile a quella che avviene in caso di infezione batterica.  Solo che in questi pazienti la reazione autoimmune non si scatena verso un elemento esterno, ma nei confronti della mucosa intestinale. Il glutine, quindi, innesca la malattia e soprattutto, se non viene sospeso l’apporto esogeno della sostanza, ne consente anche il mantenimento nel tempo.

Quali sono i primi sintomi della celiachia

A volte la celiachia può essere del tutto silente. In altre situazioni può determinare segni e sintomi che tendono a manifestarsi lontani dall’apparato digerente, dove la patologia trae origine, con disturbi che possono interessare la pelle o altre aree.

Inoltre, la patologia può avere manifestazioni in parte diverse nei bambini e negli adulti.

I sintomi più tipici della forma classica di celiachia, che si manifesta a distanza di settimane o mesi dallo svezzamento con i primi cereali, compaiono in un periodo di tempo che va dalle due settimane ai dieci mesi dall’introduzione dei cereali. I sintomi si manifestano gradualmente ma tendono a progredire e aggravarsi. In generale, essi tendono a colpire l’intestino con diarrea cronica, steatorrea, cioè perdita di grassi non assorbiti con le feci, inappetenza e vomito, con rallentamento nella crescita dei più piccoli.

Più in generale, la patologia si può presentare con quadri abbastanza aspecifici: chi ne soffre può mostrare gonfiore e tensione addominale, una digestione lenta e problematica, dolori addominali ricorrenti, diarrea o anche stitichezza con feci molto voluminose. Nei bambini, in particolare, possono essere presenti anche altri problemi, come vomito, pallore, forte dolore addominale.

I sintomi extra-intestinali della celiachia

Molto spesso la celiachia non compare però nella sua forma classica, con disturbi prevalentemente intestinali. E questo può condurre a un ritardo nella diagnosi clinica. Le forme atipiche, probabilmente legate a un minor danno strutturale della mucosa dell’ileo e del tenue, sono di norma caratterizzate da un esordio più tardivo. Cioè dopo il secondo anno di vita. I sintomi in questo caso interessano altri apparati con disturbi che spesso fanno ipotizzare una possibile componente psicologica alla base del ridotto processo di accrescimento. Si tratta di problemi cutanei (alopecia e a volte, dermatite recidivante con lesioni ponfoidi pruriginose localizzate a ginocchia, gomiti, natiche e caviglie), ipoplasia dello smalto dentale con debolezza dei denti, stomatiti e afte ricorrenti e a volte crisi epilettiche. Infine, non va sottovalutato il rischio di forme silenti di celiachia, che possono essere ipotizzate nei familiari di primo grado dei malati.

Cosa succede in chi soffre di celiachia

La celiachia porta all’appiattimento dei villi intestinali, i sottili “filuzzi” che si trovano nell’intestino tenue e hanno il compito di aumentare la superficie “assimilante” del tubo digerente. Questo elemento può essere individuato grazie ad un esame microscopico effettuato grazie a una biopsia, cioè a un piccolo campione della mucosa intestinale. Da tale campione può essere rilevato un assembramento anomalo di linfociti, plasmacellule, granulociti, mastociti e altre cellule del sistema immunitario negli strati più profondi del villo. I suddetti elementi intervengono nella reazione anomala del sistema immunitario contro il glutine, parimenti a quanto accade nei processi caratteristici di una allergia.

Questo spiega perché il morbo celiaco venga in qualche modo equiparato a una sorta di allergia alimentare. Il danno del villo intestinale, che si trova in particolare nell’ileo, conduce, quindi, ad un quadro di malassorbimento generalizzato, per cui chi è colpito dalla malattia non riesce a trattenere gran parte dei principi nutritivi che trova negli alimenti. Si tratta quasi di una sorta di “digiuno”, anche se si mangia normalmente, in cui, oltre a una carenza energetica, si instaura anche un deficit di elementi essenziali come vitamine, ferro (con conseguente anemia), calcio (con possibile comparsa di osteoporosi) e altre carenze di oligoelementi.

La diagnosi della celiachia

Il medico sospetta la celiachia visitando il soggetto, e incontrando i problemi sopracitati. Ma non sempre si arriva a capire che si tratta proprio di morbo celiaco. L’elemento chiave della diagnosi nell’adulto rimane la biopsia intestinale. In caso di appiattimento dei villi e instaurazione di una dieta priva di glutine, un successivo controllo a dodici mesi può consentire di verificare il nuovo sviluppo dei villi intestinali, con normalizzazione del quadro. Il livello di compromissione intestinale può anche essere valutato attraverso prove di provocazione, che prevedono la reintroduzione del glutine, con conseguente controllo dei test di assorbimento. In particolare, il monitoraggio di alcuni indici specifici, come i valori del ferro dei grassi e delle proteine nel sangue può essere utile per valutare l’entità del malassorbimento. Nel sospetto clinico di celiachia e mentre il soggetto sta facendo una dieta contenente glutine va effettuata la ricerca di anticorpi anti-transglutaminasi IgA nel sangue e il dosaggio delle immunoglobuline IgA totali. Se il test risulta positivo si fa un secondo prelievo per gli anticorpi anti-endomisio IgA. Per avere un’ulteriore certezza si possono fare anche i test genetici. La positività di questi esami in un bambino sintomatico è sufficiente per fare diagnosi di celiachia.  In aggiunta possono essere effettuate indagini particolari, come il test allo xilosio (esame che consente di valutare una particolare difficoltà nell’assorbimento degli zuccheri), in grado di definire più specificamente il malassorbimento.

Si può essere “allergici” al glutine senza celiachia?

Secondo le ultime ricerche, esisterebbe una forma di sensibilità al glutine non celiaca, ancora tutta da definire. E questa allarga il novero delle potenziali proteine alimentari “colpevoli” di quei disturbi simili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile (pancia gonfia, dolori addominali, diarrea alternata a stipsi), molto frequenti tra la popolazione generale, in particolare tra le donne. Se finora l’indice è stato puntato solo contro il glutine, più di recente sul banco degli imputati sono comparse anche altre proteine del grano.

A far pensare a questa ipotesi è uno studio presentato recentemente, che mette sotto esame gli inibitori dell’amilasi-tripsina (Ati), che rappresentano il 4 per cento appena di tutte le proteine del frumento. Secondo gli autori di questo studio, le Ati sarebbero in grado di “accendere” l’infiammazione a livello dell’intestino, da dove si diffonderebbe ad una serie di tessuti quali linfonodi, reni, milza e addirittura al cervello. Le Ati sono piccoli frammenti di proteine, contenute nel frumento insieme al glutine, che inducono una risposta immunologica nella quale si producono soprattutto citochine (molecole infiammatorie) e questo segna l’inizio di una micro infiammazione che non siamo ancora in grado di misurare ma che induce malessere. Questi pazienti non sono celiaci ma hanno sintomi gastrointestinali o talora hanno fastidi molto vaghi come cefalea, difficoltà di concentrazione, senso di testa vuota anche a distanza di minuti dopo aver consumato cibi contenenti frumento. Anche per questo ci si sta orientando in tutto il mondo a parlare non più o non solo di “intolleranza al glutine”, ma di “intolleranza al grano”, proprio perché alcuni dei disturbi attribuiti al glutine potrebbero in realtà essere indotti da altre proteine del grano come le Ati. Insomma, la ricerca va avanti, ma bisogna anche fare attenzione a non seguire troppo le mode senza un preciso consiglio del medico.

Come si cura la celiachia

Come riporta il sito dell’Istituto Superiore di Sanità, l’unica cura disponibile per la celiachia è una permanente e rigorosa dieta priva di glutine. L’eliminazione completa, e per tutta la vita, del glutine dalla dieta permette di far scomparire i disturbi causati dalla malattia e soprattutto di evitare complicazioni gravi.  Sul fronte alimentare, è fondamentale che l’alimentazione sia variata, sia consumando alimenti che non contengono glutine come pesce, carne, uova, verdura e frutta sia offrendo al paziente alimenti senza glutine.

 

Fonte: https://semplicementesalute.it/