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I rischi del no dell’Italia alla riforma del Mes

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La preoccupazione del Parlamento italiano

Il 21 dicembre la Camera non ha approvato la proposta di legge che si proponeva di ratificare l’accordo sulla modifica del Meccanismo europeo di stabilità, concluso a Bruxelles il 27 gennaio e l’8 febbraio 2021. Rimaniamo quindi l’unico paese europeo su venti che non ha ratificato l’accordo di modifica. Quali sono le motivazioni e le conseguenze?

La decisione del Parlamento è successiva a un parere formulato dalla Commissione bilancio della Camera in cui si dice che “la proposta di legge è carente di meccanismi idonei a garantire il coinvolgimento del Parlamento nel procedimento per la richiesta di attivazione del Meccanismo europeo di stabilità (…) tale esclusione potrebbe pregiudicare la possibilità per il Parlamento di monitorare versamenti ulteriori del capitale sottoscritto”.

La preoccupazione sorge dal fatto che il capitale complessivamente sottoscritto dai paesi che hanno aderito al Mes è di 704 miliardi, di cui ne sono attualmente stati versati 80. L’Italia ha sottoscritto 125 miliardi e ne ha versati 14,3. Potrebbe potenzialmente dover versare fino a 111 miliardi nel caso di necessità di utilizzo di tutti i 704 miliardi. Tuttavia, questo “rischio” già esiste per l’Italia, secondo quanto prevede il trattato del Mes originario, e non è assolutamente dovuto alla proposta di riforma. Bisogna inoltre ricordare che sarebbe comunque necessaria un’autorizzazione del Parlamento per il versamento, visto che implicherebbe un aumento di spesa pubblica. Comunque, il fondo funziona di fatto come un’assicurazione: si paga un premio (sottoscrizione di una quota di capitale, non versandolo neanche tutto) per coprirsi dal rischio di default. La scelta fatta dal nostro Parlamento è stata quella di non assicurarsi.

Il Mes e il sistema bancario

Il secondo argomento, forse di maggiore rilievo rispetto al precedente, è che nella modifica del trattato è previsto l’utilizzo del Mes come strumento di ultima istanza per il finanziamento del Fondo di risoluzione unico, istituito nel 2015, per la soluzione delle crisi bancarie europee. Il Fondo ammonta attualmente a 55 miliardi ed è finanziato con un contributo annuale di tutte le banche del sistema dell’Unione bancaria europea. Il Mes, secondo il trattato riformato, potrebbe intervenire a integrazione solo nel caso remoto di una crisi tale da prosciugare il Fondo (backstop). Sarebbero comunque prestiti che il sistema bancario europeo si impegnerebbe a ripagare prontamente. Certo, in teoria potrebbe accadere che il rimborso non avvenga, ma in tal caso, come afferma lo stesso sottosegretario Freni in audizione alla Commissione bilancio della Camera, ci troveremmo di fronte a un default dell’intero sistema bancario europeo, con conseguenze drammatiche per l’intero continente, non di certo legate all’utilizzo del Mes.

A proposito della nuova funzione del Mes in relazione al mondo bancario, in una nota di Palazzo Chigi si legge che “l’accordo sul nuovo Mes presenta un’integrazione di relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente”. È come dire che siccome il mio sistema bancario è solido, io non mi assicuro sulla possibilità di una crisi finanziaria sistemica, non tenendo conto che questa ovviamente potrebbe colpire anche il nostro sistema bancario, come si è verificato nel 2007-2009 durante la crisi dei mutui subprime.

Sembra poi costituire una motivazione in più a non approvare la riforma del Mes il fatto che, attualmente, tra le banche in condizioni critiche, ce ne siamo alcune tedesche: Matteo Salvini dice addirittura che i soldi degli operai e pensionati italiani servirebbero a salvare le banche tedesche. Queste affermazioni mostrano l’assenza di consapevolezza dell’importanza e della necessità di adeguati meccanismi assicurativi all’interno del sistema economico, dove l’incertezza è una variabile importante da considerare per massimizzare il benessere dei cittadini nel lungo periodo. Evidentemente, l’ottica secondo cui ragiona questo governo è quella che guarda solo al presente. Manca anche la contezza di quanto sia integrato il mondo economico-finanziario europeo: se una banca tedesca è in crisi (ammesso che sia così), questo potrebbe facilmente avere ripercussioni anche sul sistema economico e finanziario italiano. Inoltre, nel caso di intervento del Mes, i soldi utilizzati non sarebbero solo quelli italiani, ma ovviamente quelli dei venti paesi aderenti: la quota del nostro paese è sì consistente, ma comunque è sempre il 17,7 per cento, contro il 26,9 per cento della Germania e il 20,1 per cento della Francia.

Una ritorsione?

L’altra motivazione della decisione del Parlamento potrebbe consistere in una ritorsione successiva all’approvazione del nuovo Patto di stabilità, su cui il governo italiano ha dovuto probabilmente accettare alcune condizioni poco gradite, come la diminuzione annua del debito pubblico pari all’1 per cento del Pil. È anche vero però che il governo ha ottenuto la possibilità fino al 2027 di scorporare gli interessi sul debito dal calcolo deldeficit strutturale.

Proprio alla luce di questo compromesso, giudicato positivamente dallo stesso ministro Giorgetti, sembra incomprensibile la scelta del Parlamento anche nell’ottica di un’insensata ritorsione sull’accordo raggiunto sul Patto di stabilità. Inoltre, questa decisione renderà probabilmente molto più complicati anche i rapporti diplomatici finora sapientemente tessuti dalla presidente del Consiglio con le autorità di Bruxelles.

La via d’uscita

L’unica via d’uscita è che il governo italiano usi e motivi la decisione del Parlamento come “l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato, più utili all’intera Eurozona”, come affermano fonti di Palazzo Chigi. Sarà bene allora che il governo ponga sul tappeto l’unica vera criticità del Mes, che è relativa alla sua governance.

Il Mes è infatti gestito tramite un accordo intergovernativo tra i paesi dell’Eurozona, che esula completamente dalle procedure e dalle regole sovranazionali dell’Unione europea. Ciò fa sì che il Mes venga percepito dai paesi che richiedono i prestiti come una sostanziale perdita di sovranità. Non è la stessa cosa indebitarsi nei confronti di un organismo sovranazionale come la Commissione europea, dove tutti sono rappresentati in modo collegiale, o farlo nei confronti del Mes, che in qualche misura segnala che ci si sta indebitando con altri paesi finanziariamente più forti. Ci sono proposte della Commissione per inserire il Mes all’interno della legislazione comunitaria, ma sono state finora tutte respinte. Se ha veramente l’obiettivo di rendere il Mes uno strumento utile, evitando ogni tipo di stigma, Giorgia Meloni dovrebbe lavorare perché tali proposte siano riconsiderate.

Le criticità sulla governance del Mes non sono però con grande probabilità la preoccupazione di chi in Parlamento ha votato contro la ratifica della riforma. L’opposizione al Mes sembra di fatto essere utilizzata come una bandiera elettorale sovranista, che presenta, senza spiegarne le ragioni tecniche, il Meccanismo come il male assoluto e un simbolo della sottomissione dell’Italia al volere dei burocrati europei. La bandiera può essere sventolata in un contesto in cui agli elettori non si spiega (perché troppo difficile? O perché così conviene?) cosa effettivamente implichi la riforma del Mes e il rischio che il sistema economico dell’Europa (Italia compresa) corre a non avere un robusto meccanismo di prestito di ultima istanza per il sistema bancario. Finché si continuerà a fare politica solo sugli slogan e non sui contenuti, i cittadini/elettori potranno solo rimetterci e i cittadini/eletti guadagnarci.