di Augusto Lucchese
Sono trascorsi quasi sessantanove anni da quel primo mattino di fine aprile 1953 quando, varcata la soglia di “Scala Greca”, porta naturale di Siracusa, giunsi per la prima volta al cospetto dell’incomparabile scenario della Città aretusea, culla dell’antica civiltà greca di Sicilia.
Alla guida della mia vetturetta, una FIAT 500/C “topolino”, avevo percorso con animo lieto la scorrevole “nazionale” che, a quei tempi, era l’unico collegamento stradale fra Augusta e il suo Capoluogo. Il vecchio tracciato si snodava, allora, fra fiorenti campagne colme di rigogliosi agrumeti e sfiorava, per lunghi tratti, le spiagge e le frastagliate scogliere del mitico Ionio, nei millenni disegnate dal tranquillo frangersi della risacca o scolpite dai ribollenti marosi del mare in tempesta. Quello stesso mare, azzurro e trasparente, che a quell’ora mattutina appariva appena increspato da una leggera brezza.
La primavera era già prossima al suo apogeo e la natura sembrava volersi risvegliare, pigramente ma gioiosamente, dopo il triste letargo invernale. Un intenso profumo di zagara germogliante e di freschi fiori di prato, sospinto dal placido venticello marino, si diffondeva per l’aere terso e sereno.
Appena all’indentro dell’abitato e andando incontro al pulsante cuore della Siracusa di quegli anni, Ortigia, non s’avvertiva alcun rumore frastornante, nessuna difficoltà di traffico e, anzi,un po’ tutte le zone attraversate elargivano l’immagine d’un ambiente civico ordinato, pulito, accogliente.
Sentimenti d’impaziente curiosità e d’ammirata attenzione per i luoghi, s’impadronirono presto del mio animo. Stavo scoprendo un mondo assolutamente nuovo, diverso, pur se l’euforia del momento era in aperta discordanza con il deludente aspetto di talune zone del centro cittadino che evidenziavano una stridente incompatibilità strutturale ed estetica con i preziosi resti archeologici e i rinomati monumenti in esso inseriti. Dall’evidente contrasto non poteva non scaturire una amara riflessione: l’inestimabile e incomparabile patrimonio monumentale dell’antica Siracusa solo in minima parte è stato preservato dall’usura del tempo e dall’incuria dell’uomo!
Rispetto a quella che fu la fulgida immagine della Capitale dell’ellenismo italico, la Siracusa d’oggi evidenzia i nefasti effetti di spoliazioni, distruzioni e abusi, oltre che della ricorrente e diffusa disattenzione dei civici poteri. Molti degli splendidi monumenti che furono vanto e testimonianza della floridezza cui Siracusa era pervenuta al culmine della sua evoluzione storica, o sono scomparsi del tutto o appaiono ridotti a pochi e talvolta dimenticati ruderi. Il susseguirsi delle varie dominazioni (romana, bizantina, araba, normanna, angioina, per citare solo le più incisive) ha deturpato i connotati architettonici della splendida metropoli corinzia sino a renderli, salvo poche eccezioni, pressoché irriconoscibili.
Solo l’immaginazione, più che la possibilità della diretta osservazione, può dare la misura del favoloso scenario che doveva arricchire la Siracusa del periodo paleo romanico e che si è perso nel tempo.
La Siracusa del XXI secolo assomiglia, purtroppo, ad una vecchia foto dai contorni sgualciti, scrostata e scolorita, priva dell’originario smalto e di ogni luminoso contrasto. Pur se ancora turisticamente apprezzata per la ricchezza dei suoi Musei, per le sue Chiese, per i suoi incomparabili siti archeologici, paesaggistici e monumentali (cui gran parte dell’attuale agglomerato urbano non fa certo da degna cornice), appare oggi declassata a modesta cittadina di provincia.
Procedendo, da improvvisato turista, per l’itinerario prestabilito e osservando con deferente rispetto e attenzione i monumenti e i ruderi che pur sempre testimoniano la nobile origine della Città, il mio animo era pervaso da un incontenibile senso di commozione.
Si susseguivano e s’intersecavano riflessioni spontanee e gratificanti che, peraltro, erano amplificate dalla circostanza di trovarmi in compagnia di un’attraente e cara amica che s’era offerta di farmi da “guida”.
Ed è da dire che la sua cultura umanistica d’insegnante di lettere sicuramente la poneva all’altezza del compito. Mi instradò con entusiasmo, conducendomi quasi per mano, attraverso il dedalo di un meraviglioso mondo di cimeli storici, di musei e monumenti, di vedute incomparabili, di parchi archeologici. Le delucidazioni, le notizie, i riferimenti storici da lei mano a mano elargiti, rappresentarono per me, apprendista oltremodo disinformato, una sorta di cifrario segreto che nel tempo permise d’addentrarmi nella conoscenza e nell’approfondimento di un sì vasto periodo storico.
L’indelebile ricordo di quell’intensa e gratificante giornata si fuse poi, mirabilmente, con la memoria dei tanti anni trascorsi in quei luoghi. Un lungo lasso di tempo che divenne il “contenitore” di nuove esperienze, d’incisivi legami affettivi, di durature amicizie, di non facili conquiste personali che, ancora oggi, rappresentano il prezioso retaggio dei miei anni giovanili.
Da quel giorno, però, molta acqua è passata sotto i ponti. Oggi, ripercorrendo quei siti non è facile nascondere l’amarezza per il deludente quadro d’insieme della “Siracusa 2000”. Poco o nulla è rimasto della tranquilla e ospitale cittadina di un tempo. Qualsivoglia benevolo raffronto, quindi, non appare più possibile!
Violentata dall’irrazionale espansione edilizia, che talvolta non ha risparmiato neppure le zone archeologiche, deturpata dalle colate di cemento che ne hanno stravolto la fisionomia, strozzata ed avvelenata dalla straripante motorizzazione, in balia dello spietato affarismo che ha sacrificato, sull’altare dell’ambiguo mondo industriale, parte delle incantevoli zone a nord di “Scala Greca”, dilaniata dal cieco malgoverno politico, l’immagine della ridente cittadina di un tempo appare irrimediabilmente compromessa !
Se Archimede potesse rimettere piede nella sua amata Patria, probabilmente s’avvarrebbe ancora dei leggendari “specchi ustori” per incenerire (come pare abbia fatto con le nemiche navi romane del Console Marcello) gli odierni antri dei nefasti “gruppi di potere politico” i cui componenti, non certo nelle vesti di probi cittadini, hanno apposto il loro “imprimatur” su importanti e decisivi atti amministrativi che hanno permesso il sacco del “sacro territorio siracusano”!