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I familiari non credono alle prime conclusioni sul Pio Albergo Trivulzio 

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AGI – “La popolazione più fragile che risiede in una struttura come il Pio Albergo Trivulzio è stata quella maggiormente colpita da Covid-19. E quando tra un po’ di mesi riusciremo ad approfondire l’analisi, probabilmente questi rapporti” sulla mortalità “si ridimensioneranno perché abbiamo la forte sensazione che una parte dei decessi sia stata solo accelerata per effetto della pandemia in soggetti deboli che probabilmente sarebbero deceduti nelle settimane successive”.

Parole pronunciate dal dirigente di Ats Milano, Vittorio Demicheli, illustrando gli esiti del dossier redatto dalla commissione regionale da lui presieduta, chiamata a far luce su quanto accaduto al Pio Albergo Trivulzio durante la fase più acuta della pandemia.  Che non sono piaciute ai familiari delle persone morte (la stima attuale è di 350 da febbraio), raccolti nell’associazione Felicita e, in particolare, al suo presidente Alessandro Azzoni che le commenta così all’AGI: “«Aiuto, mi viene da dire. Io ho portato qui mia madre di 75 anni affetta da demenza ma che fisicamente stava benissimo pensando di garantirle il posto migliore dove vivere ancora tanti anni. Quando è entrata mangiava da sola, ora lo fa solo attraverso una cannula nello stomaco”.

Chi aveva affidato i propri cari alla residenza per anziani più nota di Milano, diventata simbolo dell’imperversare ovunque del coronavirus in queste strutture, non ha gradito le conclusioni della Commissione che ha messo in evidenza soprattutto il tema dell’”assenteismo” del personale, arrivato “in alcuni reparti al 65% della forza lavoro”, per giustificare le carenze nell’assistenza.

“Un fenomeno grave – ha detto il direttore generale della Sanità Lombarda, Marco Trivelli – che mi sembra distonico rispetto a come la gran parte degli operatori sanitari ha lavorato in questa emergenza in modo assoluto, generoso e creativo”.

E a chi gli ha fatto notare come forse gli operatori sanitari non si sentissero sicuri senza dispositivi di protezione, Demicheli ha ribattuto: “La paura di prendere la malattia l’avevano tutti anche in altre strutture, ma non si è verificato lo stesso fenomeno. La media dei comportamenti al Pio Albergo Trivulzio è anomala”.

“Dunque, quando ci dicevano che la situazione era sotto controllo, non era vero perché mancava il personale – obbietta Azzoni – e avevano ragione quei medici che parlavano di trasferimenti da un reparto all’altro che avrebbero contribuito ad accrescere il contagio”. 

Non convince i congiunti nemmeno la conclusione della Commissione secondo la quale “non è stato accertato nessun riscontro documentale sul divieto di indossare mascherine ai danni degli operatori sanitari”. Un esito che stride con le decine di segnalazioni di lavoratori del Pat, che avevano denunciato, anche alla Procura, il divieto di utilizzarle. 

Agli atti dell’inchiesta della magistratura, fanno notare, c’è una mail spedita da Giuseppe Calicciho, direttore generale del PAT indagato per omicidio colposo, ai sindacalisti della Cisl che due giorni prima, gli avevano denunciato le «parecchie criticità» legate soprattutto alla mancanza di Dpi e mascherine.

“Nessuna disposizione nazionale o regionale è stata disattesa o sottovalutata – aveva ribattuto la guida della storica struttura milanese – e la mancata applicazione di regole dettate da puro allarmismo, piuttosto che da competenza, non è evidentemente mancanza di tutela degli operatori”. 

La risposta fornita da Calicchio nella lettera del 13 marzo non convinse i sindacati che tre giorni dopo tornarono a farsi sentire. “Gli operatori sanitari ci stanno segnalando che in alcuni reparti viene negato l’utilizzo delle mascherine perché non necessarie in assenza di pazienti Covid”, scrivevano il 16 marzo i due rappresentanti della Cisl ribadendo che “nelle manovre di movimentazione dei pazienti è impossibile mantenere la distanza di sicurezza di almeno un metro previsto dall’ordinanza governativa del 7 marzo”.

Nella stessa missiva i due della Cisl evidenziavano come i sanitari, “venendo dall’esterno, possono essere portatori asintomatici di virus e trasmetterlo al paziente”. Da qui la richiesta di fornire tutti gli operatori di mascherine per scongiurare «il rischio di trasmettere ad altri degli agenti patogeni, tutelando i pazienti.

La replica del direzione generale del Trivulzio arrivò il 28 marzo con Calicchio che lamentava come l’approvvigionamento di mascherine e Dpi fosse «particolarmente difficoltoso» e di conseguenza la loro disponibilità «contingentata». Ed è per questo, precisava il dg, che «questa azienda ha scelto di evitarne lo spreco laddove non necessarie». 

Oggi Calicchio sottolinea che “la relazione fa giustizia del grande lavoro svolto dal Pat nelle eccezionali e gravi condizioni in cui si è sviluppata la pandemia a Milano e in Lombardia nel primo quadrimestre del 2020″ e ribadisce che “dal 25 febbraio la Protezione Civile aveva bloccato le acquisizioni periferiche di DPI; i tamponi a ospiti e personale è stato possibile farli solo da metà aprile; le indicazioni d’uso dei DPI ffp2 e anche completi per personale che operava con esposizione a droplet e con pazienti sintomatologici erano già operative con i bollettini di febbraio”.

Inoltre, per la Commissione, la cui neutralità viene contestata dai familiari “perché ad Ats spettava il controllo delle procedure al Pat”, “la mortalità al Trivulzio è stata, dati alla mano, inferiore rispetto a quella nelle altre rsa”. 

 

Vedi: I familiari non credono alle prime conclusioni sul Pio Albergo Trivulzio 
Fonte: cronaca agi


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