Da Di Maio a Fraccaro fino a Bonafede: la seconda vita – molto dorata – dei grillini che furono ministri
di Simone Canettieri
Di Maio, ex pluriministro e già capo politico del M5s, è riuscito a farsi nominare inviato per la Ue nel Golfo Persico. Un capolavoro politico Fraccaro si occupa delle storture causate dal Superbonus che ha tanto difeso, Bonafede eletto al consiglio di presidenza della giustizia tributaria Per qualcuno, come Giulia Grillo, la politica è rimasta un inciampo, al contrario di altri come Elisabetta Trenta. Il più puro è Toninelli L’incarico di Manlio Di Stefano striderebbe con la legge Frattini che regola i conflitti d’interesse. Molti fanno i consulenti di sé stessi
Altro che Ciro Di Marzio: il vero Immortale è Luigi Di Maio da Pomigliano d’arco. L’unico protagonista di quella stagione scalmanata e irripetibile che fu il grillismo di governo. L’unico a rimanere in piedi, e sempre con il nodo alla cravatta ben fatto. L’ex pluriministro, e già capo politico del M5s e della zattera subito naufragata di Impegno civico, in barba al centrodestra, è riuscito a farsi nominare da Bruxelles inviato per la Ue nel Golfo persico. Un capolavoro politico per chi, dopo nove anni di Parlamento e mille giri su sé stesso, è rimasto a galla, lontano dagli affanni quotidiani della politica italiana. Per i prossimi due anni guadagnerà 12 mila euro al mese, di fatto uno stipendio da deputato. L’immortale, appunto.
Tutti gli altri: no. Sfumata la terza ricandidatura, perché così vuole l’unica sacra regola non ancora violata dei pentastellati, si sono buttati sul mondo fantastico delle consulenze (“faccio cose, vedo gente”). Mettendo a frutto il patrimonio di conoscenze incamerato quando erano classe dirigente di questo paese. Quando scrivevano le leggi, abolivano la povertà dai balconi, studiavano il Superbonus 110, se la prendevano con i taxi del mare delle Ong, abbracciavano i gilet gialli come fossero campioni di calcio a cui chiedere un selfie. I cittadini si dunque fatti esperti: i consulenti del vaffa. Li lasciammo il primo giugno del 2018 al Quirinale a giurare sulla Costituzione nelle mani del capo dello Stato, pronti a chiedere deficit e a spezzare le reni all’europa e all’euro dei burocrati. Adesso li ritroviamo dietro a una scrivania, lobbisti di loro stessi (“ciao, da quanto tempo: richiami dopo ho un cliente davanti”). Vanno dunque ripresi uno a uno, gli eroi dei cittadini che salivano sui tetti della Camera, servivano in pizzeria, cingevano il Palazzo con enormi riproduzioni di assegni per i cittadini. Il gentismo, che stagione. Il populismo, che passione.
Di Riccardo Fraccaro si è già scritto qui ed è una storia che vale la pena ricordare: il primo ministro per i Rapporti con il Parlamento (e la democrazia diretta) del governo gialloverde, poi diventerà anche sottosegretario a Palazzo Chigi con il Pd, ora ha aperto una società di consulenze con l’amico ed ex capo della sua segreteria Daniele Della Bona. Fraccaro si occupa delle storture causate dalla legge che ha tanto difeso. Aiuta le imprese che rischiano di saltare per i crediti incagliati del Superbonus. Lavora con studi importanti, come quello fondato dall’ex ministro dell’economia Giulio Tremonti. Da grande esperto dell’uno vale uno si fa intermediario fra le norme, le banche e le imprese. Un business da milioni di euro.
Poi c’è Alfonso Bonafede che fu lo scopritore di Giuseppe Conte, all’epoca – siamo appunto nel 2018 – avvocato di un prestigioso studio capitolino e docente all’università di Firenze. Bonafede, Fofò per gli amici di Mazara del Vallo, è stato ministro della Giustizia nei governi Conte 1 e Conte 2. E’ il padre della legge “Spazza corrotti” e il regista, insieme a Matteo Salvini, del B-movie dell’estradizione del terrorista Cesare Battisti. Toltosi il giaccone della polizia penitenziaria, è tornato agli amati panciotti sotto la giacca. Guida lo studio legale Bonafede e partners, con sedi a Firenze e a Milano.
“Un team di professionisti, uniti nell’obiettivo di prestare la migliore assistenza legale ai propri clienti, con massima attenzione alla cura e alla tutela dei loro diritti”, si legge sul sito creato dall’ex Guardasigilli che lavorò sulla scrivania di Palmiro Togliatti. All’attività professionale in questi giorni ha unito anche un pennacchio niente male: è stato votato ed eletto dal Parlamento membro laico del consiglio di presidenza della giustizia tributaria, grazie a un accordo con la maggioranza di centrodestra. Dovrà lasciare il suo ruolo di coordinatore per il M5s dei territori, ma nessuno in via di Campo Marzio sembra strapparsi i capelli.
E Barbara Lezzi? Come no: pasionaria pugliese, paladina del “no al Tap” e di tante altre battaglie un po’ strampalate non finite proprio benissimo. La ricordate? Fu la ministra per il Sud del M5s nel primo governo grillino, a cui scappò la teoria economica sull’aumento del Pil dovuto all’uso dei condizionatori. L’ex senatrice, è stata anche deputata, salutò la baracca quando i pentastellati entrarono nel governo Draghi. Ora ha creato un’associazione politica che si chiama Equa, insieme a Nicola Morra (già presidente dell’antimafia, prima ancora professore di filosofia al liceo Telesio di Cosenza, ora consulente-detective a caccia di reati ambientali, sempre guardato a vista dalla sua scorta). “Mi sto ossigenando”, racconta Lezzi al Foglio. E aggiunge: “La politica, intesa come Palazzo, non mi manca. Per il momento mi sono presa un periodo sabbatico e non lavoro. Ma ho in mente un progetto imprenditoriale, lontano dalla politica”. Quale? “Lo saprete a tempo debito”. Lezzi ha lasciato Lecce e l’amata Puglia, dove lavorava come impiegata all’orolforniture, piccola azienda che si occupa di forniture per orologi, meccanismi, cinturini, ricambi e strumenti gemmologici. Vive a Roma con la famiglia, spesso viene chiamata in tv: un’opinionista.
Nella foto scattata al Colle c’è anche un’altra grillina doc, di cognome e di fatto: Giulia Grillo, ex ministra della Salute. Dopo quasi due legislature, l’ex parlamentare catanese è tornata a fare la dottoressa: ha vinto un concorso come medico legale all’inps di Reggio Calabria, ma fa la spola con Messina. La politica rimane un inciampo della sua storia, al contrario di Elisabetta Trenta, ministra della Difesa con i gialloverdi e ancora molto attiva nel mondo delle forze armate con associazioni e iniziative sociali e politiche (venne arruolata da quella fucina di talenti grillini che fu la Link Campus university di Vincenzo Scotti, l’ena che ci meritiamo). Dopo aver fondato diversi partiti e spinto per la candidatura del fratello alle ultime parlamentarie con il M5s, “Betta” ha aderito all’ennesimo ritorno della nuova Democrazia cristiana, feticcio contestato del glorioso scudo crociato, di cui è segretario tale Antonio Cirillo e coordinatore nazionale Fabio Desideri, ex consigliere del Lazio. Pasticciò, come si ricorderà, sulla storia dell’alloggio militare destinato ai ministri che non volle lasciare una volta uscita dal governo.
Per trovare invece Danilo Toninelli, immaginifico ministro delle Infrastrutture di quella covata, basta fare Tiktok. Cioè andare sui social. Dove il già deputato e senatore si diverte a fare l’influencer, grande commentatore di fatti politici ed economici del paese. Il re dei monopattini è tornato a fare l’assicuratore, fedele alla regola che fuori dal Palazzo un’altra vita è possibile. Si occupa, nei momenti liberi, di controinformazione (“quello che i giornali non vi dicono!!!”). Ha anche un canale Youtube “da milioni di visualizzazioni”. Si divide tra Cremona, Milano e Roma. E’ rimasto così puro che gli altri quasi non lo considerano più e lo guardano con affetto, come si fa con un inguaribile romantico.
Supereroi, come quelli che diventarono ministri nel settembre del 2019: via la Lega, dentro il Pd e la lotta del M5s può andare avanti sempre guidata da Conte. Federico D’incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento (ai tempi del Pd e poi con Draghi), da poco è stato scelto come consulente dal Gruppo Save che gestisce l’aeroporto Marco Polo di Venezia e il Canova di Treviso, oltre a coordinare il Catullo di Verona e il D’ANnunzio di Brescia nell’ambito del sistema aeroportuale del Triveneto. Prima che cadesse il governo dell’ex banchiere centrale, D’incà è uscito dal M5s per abbracciare i dem. Paola Pisano, ministra per l’innovazione tecnologica nonché madre della dimenticabile app Io ai tempi del Covid, è tornata a occuparsi del mondo digitale e a fine anno ha anche risposto – melonianamente – all’annuncio di Elon Musk che cercava un ceo per Twitter: “Sono pronta”. Fabiana Dadone, che si occupò anche di Pubblica amministrazione e di politiche giovanili, non è stata ricandidata perché non poteva esserlo, è ancora in attesa di una sistemazione nei gruppi parlamentari del M5s (dove lavorano Vito Crimi e Paola Taverna). Vincenzo Spadafora (Sport e politiche giovanili), consigliere privilegiato nei mondi che contano di Di Maio e anima sinistra del M5s, ora fa, come dice lui, “l’advisor per alcuni progetti speciali” dell’associazione Terre des Hommes Italia, che si occupa dei minori in difficoltà negli angoli più remoti del mondo: è stato avvistato anche in Ecuador. Di tanto in tanto si affaccia in tv ed è in buoni rapporti con il Pd, molto meno con il suo ex partito. Nunzia Catalfo, che si occupò di Lavoro, adesso sogna di diventare vicesindaco di Catania se il fronte progressista vincerà le amministrative: è stata già designata come numero due dal candidato primo cittadino Maurizio Caserta. Sognava il reddito di cittadinanza, adesso punta a quello di giunta. Lucia Azzolina è tornata fra i banchi, non a rotelle, ma poco importa: è la preside dell’istituto comprensivo Giaracà di Siracusa. Con la politica attiva sembra aver chiuso, dopo l’esperienza dimaiana alle politiche. E’ in dolce attesa.
Il partito che prese il 33 per cento alle elezioni del 2018 non ha avuto solo ministri come se piovesse, ma anche una nutrita schiera di sottosegretari e viceministri. La più influente è stata Laura Castelli, per quattro anni viceministra dell’economia. Ora siede nel cda di una grossa azienda Energy veneta, Elettra. Ma è rimasta a Roma dove fa “consulenza strategica alle imprese per sviluppare nuovi business”. Non ha smesso di fare politica: affianca Cateno De Luca nel ruolo di portavoce del movimento “Sud chiama Nord” e si sta occupando di siglare nuove alleanze in vista delle Europee. Lavora a Palazzo del Bufalo, storica sede di Mediaset a Roma dove ha gli uffici anche Gianni Letta. E gli altri? Che fine hanno fatto? In ordine sparso: Manlio Di Stefano, già sottosegretario agli Esteri, come raccontato da questo giornale, è senior advisor della Axiom Space, colosso dell’industria aerospaziale con quartier generale a Houston, in Texas. Incarico che striderebbe con la legge Frattini che regola i conflitti d’interesse. Angelo Tofalo – detto Rambo perché da sottosegretario alla Difesa si era talmente calato nel ruolo da girare in mimetica e farsi fotografare con i mitra in mano – ha fondato At Agency, con lo scopo di diventare “leader italiano nella consulenza strategica per i settori della Difesa, della Sicurezza e dell’intelligence”. Fa il consulente di sé stesso, anche lui. Lo scorso dicembre è stato nominato direttore del comitato scientifico della Cyber Security Italy Foundation. Non parlategli del M5s, non gli interessa. Al contrario di Carlo Sibilia, pirotecnico sottosegretario all’interno per due governi con una passione innata per i complotti, che per sbarcare il lunario è rimasto nel gruppo del M5s. A proposito, passò alla storia nel Palazzo per questa affermazione: “Oggi si festeggia l’anniversario dello sbarco sulla luna. Dopo 43 anni ancora nessuno se la sente di dire che era una farsa…”.
La lista di ex big grillini che hanno capitalizzato gli anni in Parlamento è lunghissima, e anche i peones non se la passano male. Ora, mettete bene a fuoco tutti i nomi e le storie citate, andate su Youtube e cercate “Ognuno vale uno”. La canzona di Supa, colonna sonora di quella stagione grillina. Fa così: “Non siamo un partito / Non siamo una casta / Siamo cittadini, punto e basta / Ognuno vale uno, ognuno vale uno, ognuno vale uno / Vale, vale uno”.
Non fa un effetto un po’ straniante?
Fonte: Il Foglio