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Harris-Walz: la politica della gioia che fa sognare l’America (e può ispirare anche noi)

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di Alessandro Maran

Michelle Goldberg, sul New York Times, ha parlato del potere politico della gioia. Dal giorno in cui il presidente Biden si è fatto da parte e il partito si è unito alla vicepresidente Kamala Harris, “un’euforica vertigine ha travolto il partito” e “una campagna elettorale che sembrava una cupa marcia funebre è diventata divertente, persino esuberante”. “Cose intangibili come la gioia e la passione possono avere molta importanza”, ha spiegato Goldberg. “Quando le persone apprezzano davvero il loro candidato, ha detto, la politica è ‘più piacevole, e farai cose come indossare la T-shirt’. Segnali come le magliette e i cartelli da giardino, a loro volta, trasmettono il messaggio che partecipare ad una campagna elettorale è socialmente desiderabile. In politica come nella vita, l’entusiasmo è contagioso (https://www.nytimes.com/2024/07/22/opinion/kamala-harris-excitement.html).
Durante un comizio a Filadelfia, Tim Walz ha tenuto per la prima volta un discorso in qualità di vicepresidente scelto da Kamala Harris ed ha parlato ancora della gioia: “Non potrei essere più orgoglioso di essere in questo ticket e di aiutare la vicepresidente Harris a diventare quella che tutti sappiamo essere una cosa molto positiva per noi, il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America! Dal suo primo giorno come pubblico ministero, come procuratore distrettuale, come procuratore generale del grande stato della California, come senatrice degli Stati Uniti e come vicepresidente degli Stati Uniti, la vicepresidente Harris ha combattuto dalla parte del popolo americano. Ha affrontato i maniaci. Ha affrontato i truffatori. Ha annientato le gang transnazionali. Si è scontrata con potenti interessi aziendali. E non ha mai esitato a lavorare con l’altra parte politica se ciò significava migliorare la vita delle persone. E voglio che tutti voi manteniate fermo questo e non sottovalutiate mai il potere di questo: fa tutto con un senso di gioia!” (https://youtu.be/oi44EbGA9mA?si=b9jDz985z9WRsnVw).
“Kamala Harris e Tim Walz vogliono rendere di nuovo gioiosa l’America”, ha scritto Stephen Collinson della CNN in un articolo intitolato “I guerrieri felici Harris e Walz propongono un antidoto all’american carnage di Trump” (https://edition.cnn.com/…/harris-walz-happy…/index.html). La prima apparizione di Kamala Harris e Tim Walz insieme l’altro giorno a Philadelphia con il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, ha rincuorato anche Bill Kristol. E per la stessa ragione: “Erano guerrieri felici”.
«Ora – scrive Kristol – ammetto di essere un po’ un fanatico dei guerrieri felici, avendo ammirato negli anni politici come Hubert Humphrey, Jack Kemp, Ronald Reagan e John McCain. Quindi probabilmente sopravvaluto l’effettivo vantaggio politico del guerriero felice. Dopotutto, come suggeriscono i nomi di cui sopra, i guerrieri felici non sempre vincono. In effetti, il termine fu introdotto nella politica americana moderna da Franklin Roosevelt, che lo prese da Wordsworth
(https://www.poetryfoundation.org/…/character-of-the…) per descrivere Al Smith, ma Smith non prevalse né nella lotta per la nomination nel 1924, quando FDR gli conferì il soprannome nel suo discorso di candidatura, né nelle elezioni generali del 1928. Tuttavia: voglio credere che essere guerrieri felici sia superiore, non solo moralmente ed esteticamente, ma anche praticamente e politicamente, all’essere cupi e risentiti. Vedremo se sarà così nel 2024. Aggiungerò che Harris, Walz e Shapiro non erano solo guerrieri felici. Erano decisamente fiduciosi e orientati al futuro. Di nuovo, voglio credere che questo sia ciò che la maggior parte degli americani desidera. Che vogliamo leader che vivano nel presente e lavorino per rendere l’America migliore in futuro, non personaggi che guardano con aria accigliata il presente e temono il futuro. E certamente non candidati che giustificano una straordinaria cattiveria in nome di una nostalgia amareggiata per un passato immaginario”.
«Infine – aggiunge Kristol – mi ha colpito il fatto che l’atmosfera a Philadelphia fosse, se posso dirlo in questo modo, genuinamente americana. Guardando Shapiro e Walz e Harris – uno della costa orientale, un midwestern e una californiana, due uomini e una donna di background, religioni e razze così diverse – ho pensato: sai, questa è l’America. È un pensiero poco originale, di sicuro. E mentre lo pensavo, per qualche motivo mi è venuta in mente una frase poco originale, e per questo motivo superata e fuori moda: il “melting pot”. L’immagine del “melting pot” non ha mai veramente descritto l’America. Molte persone hanno proposto immagini migliori – ad esempio un mosaico – per catturare l’apertura, il pluralismo e l’integrazione americani. Eppure, per qualche motivo la frase mi è rimasta in mente. Più tardi la sera ho cercato su Google The Melting Pot, la pièce teatrale del 1908 di Israel Zangwill. Non ho letto l’intera opera, ma i passaggi conclusivi mi sono sembrati adatti a questo momento Harris-Walz-Shapiro:
“DAVID: Eccolo lì, il grande crogiolo, ascolta! Non senti il ​​ruggito e il gorgoglio? Lì si spalanca la sua bocca [indica est], il porto dove mille giganteschi caricatori giungono dai confini del mondo per riversare il loro carico umano. Ah, che agitazione e che ribollimento! Celti e latini, slavi e teutoni, greci e siriani, neri e gialli.
VERA: Ebrei e gentili.
DAVID: Sì, Est e Ovest, Nord e Sud, la palma e il pino, il polo e l’equatore, la mezzaluna e la croce: come il grande Alchimista li fonde e li fonde con la sua fiamma purificatrice! Qui si uniranno tutti per costruire la Repubblica dell’Uomo e il Regno di Dio. Ah, Vera, qual è la gloria di Roma e Gerusalemme, dove tutte le nazioni e le razze venivano a pregare e a guardarsi indietro, rispetto alla gloria dell’America, dove tutte le razze e le nazioni vengono a lavorare e a guardare avanti!”.
Un po’ banale. Ma anche un po’ commovente, ho pensato. Perfino un po’ stimolante. Il partito repubblicano, purtroppo, ha voltato le spalle a quella visione dell’America. Il partito democratico ha la possibilità di incarnarla. Riuscirà il partito democratico ad essere all’altezza della situazione e, nel 2024, a rappresentare non solo le sue particolari politiche e costituencies, ma anche “la gloria dell’America, dove tutte le razze e le nazioni vengono a lavorare e a guardare avanti”?» (https://www.thebulwark.com/p/happy-warriors-in-philly).
Staremo a vedere, ovviamente. Ma, come sottolinea Meanwhile in America, la newsletter della CNN, abbiamo a che fare con una competizione nuova. I democratici non vedevano questo tipo di esuberanza ed energia da anni “e mentre la folla festeggiava martedì, sembrava quasi che il giovane senatore Barack Obama stesse per salire sul palco come se il tempo fosse tornato indietro di 16 anni”.
A proposito del potere politico della gioia – e della necessità di un pensiero capace di interpretare questa complessità e di dare significato alle cose che facciamo – segnalo il convegno organizzato da Quadrifoglio, il progetto guidato dal sindaco di Udine Alberto Felice De Toni, sul tema della felicità pubblica. Da ascoltare. In fondo, non c’è nulla di più pratico di una buona teoria (https://www.youtube.com/live/jsPOsh4niOA?si=LwcmVSjmqUTdadJV).