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Governare i fronti del terrore

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L’europa è a due velocità sulla Difesa: i paesi nel panico sono i più lenti. I caccia italiani sul Baltico

Micol Flammini

Gli attacchi russi contro l’ucraina durano ore, vengono lanciati contro tutto il territorio e, oltre a colpire le città ucraine e le loro infrastrutture energetiche, i missili rischiano di sconfinare, come è successo domenica scorsa, quando per trentanove secondi è stato violato lo spazio aereo della Polonia. I militari di Varsavia hanno osservato il missile russo, hanno capito dalla traiettoria che sarebbe tornato indietro e hanno deciso di non abbatterlo perché farlo avrebbe rappresentato un rischio per la popolazione. Durante l’ultimo bombardamento che ha causato un allarme di nove ore su gran parte dell’ucraina rimasta senza elettricità, l’esercito polacco ha deciso di mandare i suoi caccia a monitorare lo spazio aereo. Varsavia sperimenta ogni giorno la presenza della guerra: ieri gli aerei italiani che partecipano alla Task Force Air 4th Wing, nella base polacca di Malbork, hanno intercettato e identificato un velivolo sul Mar Baltico. La Polonia si prepara all’eventualità che Mosca non si fermi all’ucraina, spende il 4 per cento del pil in Difesa, rifornisce di armi Kyiv e sta attenta a non rimanerne sprovvista perché, come ha detto in un’intervista a cinque quotidiani internazionali il premier polacco Tusk, “la guerra non è più un concetto del passato”. L’idea di Tusk è sostenuta da tutti i paesi dell’ue affacciati a est. I paesi baltici seguono lo stesso principio, l’estonia, monitora il suo confine con la Russia in modomillimetrico, ha la leva obbligatoria e secondo le sue informazioni di intelligence, se Mosca dovesse vincere contro l’ucraina, non avrebbe più problemi ad attaccare un paese della Nato.
Ci sono punti in cui il confine tra Russia ed Estonia è questione di curve, per il momento i soldati russi sono lontani dal confine perché impegnati in Ucraina, la base di Pskov è semivuota, ma Tallinn è sicura che torneranno. Allo stesso modo si preparano la Lettonia e la Lituania e si tengono svegli anche gli scandinavi.
L’espressione Europa a più velocità era nata in un altro contesto, ma oggi si potrebbe invertire perché di fronte alla minaccia di una guerra provocata da Mosca, c’è una parte di Unione che fa di tutto per non farsi trovare impreparata, che non parla di panico, ma si addestra. Un’altra parte che si illude non sia cambiato nulla, non si preoccupa di avere pochi uomini nell’esercito o arsenali vuoti, ma nel frattempo si agita e diventa teatro di dibattiti politici sul fatto che armarsi possa essere presa come una provocazione da parte della Russia, una potenza nucleare. Come spiega Tusk, il suo paese, i baltici e gli scandinavi sono preoccupati eccome dalla possibilità di una guerra sul loro territorio. La preoccupazione è alta, la guerra è già molto vicina ai loro confini, ma non si scatena in panico, semmai in preparazione. Il panico è la risposta invece dall’altra parte dell’europa, quella che era stata pensata come più veloce e invece si sta rivelando lenta a comprendere e a reagire. Tusk è convinto che l’ue non possa continuare ad attendere, lo dice per esempio in relazione alle elezioni americane: che vinca Joe Biden o Donald Trump, l’europa non può fare a meno di capire che deve farcela da sola. Quest’anno sono vent’anni che la Polonia, i paesi baltici e altri hanno raggiunto l’alleanza atlantica, un evento che è stato celebrato e ricordato. In Estonia, l’ambasciatore presso l’alleanza atlantica, Jüri Luik, ha rilasciato un’intervista in televisione, ha parlato dello stato della Nato e ha detto: “Gli alleati adesso capiscono a cosa potrebbe servire”. E’ particolare, sembra dissonante con la storia e con la realtà che gli ultimi arrivati debbano insegnare ai fondatori a cosa serva e come si usi l’alleanza.

Fonte: Il Foglio