di Ignazio Burgio.
Oltre ai due quadri del Caravaggio, mosaici in stile bizantino, quadri
di Polidoro Caldara allievo di Raffaello, un polittico di Antonello da
Messina, tantissimi dipinti di ogni epoca dal Rinascimento al secol
XIX, la straordinaria carrozza dorata del XVII sec., “reperti
enigmatici” e molto altro.
Il Museo Regionale di Messina è già di per sé molto famoso per i due
quadri di Caravaggio (alias Michelangelo Merisi) che ospita all’interno della
sua ricca pinacoteca, ovvero L’adorazione dei Pastori e La Resurrezione di
Lazzaro. Non potevano naturalmente mancare anche due dipinti di Antonello
da Messina, ovvero due esempi di Madonna col Bambino uno dei quali è un
polittico raffigurante anche altri santi. Ma molti altri straordinari tesori
sicuramente meno famosi sono contenuti al suo interno, a cominciare dalla
sezione di archeologia antica, dove si può ammirare anche il rostro di
un’antica nave militare romana. Incastonati nel legno delle prue delle navi da
guerra, i robusti e temibili rostri metallici avevano la funzione di speronare a
grande velocità i fianchi dei vascelli nemici in maniera da provocare falle sul
loro fasciame di legno e farli affondare. Quello che si trova al museo di
Messina è stato scoperto e recuperato l’8 settembre del 2008 in località
Acqualadroni (Me). La particolarità di questa scoperta è la presenza di pezzi
di legno della prora dell’antica nave su cui era incastonato il rostro, cosa
assolutamente rara. Non si è ancora potuto appurare con precisione in
occasione di quale battaglia navale il rostro sia affondato in mare. L’ipotesi
più probabile concerne lo scontro di Nauloco, presso Milazzo, nel 36 a. C.
dove si affrontarono le flotte di Sesto Pompeo e di Agrippa, luogotenente di
Augusto.
Al periodo medioevale appartengono alcuni mosaici in stile bizantino
dal disegno molto raffinato e dai ricchi colori, quale ad es. una Madonna col
Bambino su fondo dorato. Un’altra Madonna col Bambino, ma sotto forma di
statua marmorea quattrocentesca, presente al museo è quella realizzata
dallo scultore dalmata Francesco Laurana (1420-1502) nel corso della sua
permanenza in Sicilia. Caratteristica poco comune è la presenza sulla statua
di tonalità di colore, come i capelli dorati della Vergine sotto il suo velo, ed i
risvolti scuri del suo mantello. Normalmente infatti dal medioevo in poi tutte le
statue di marmo venivano lasciate col colore candido, al contrario che in età
antica dove le statue erano poi ricoperte di colori in tutti i loro dettagli. Un’altra
statua col medesimo stile è quella di Santa Caterina d’Alessandria dello
scultore Giovan Battista Mazzolo (realizzata intorno al 1520), anch’essa con
capelli colorati in oro, e bordi della tunica in nero e oro. Le sale del museo
naturalmente traboccano di tanti altri esempi di statue e bassorilievi di
argomento religioso, come anche di insoliti arredi ecclesiastici, come un
leggio in bronzo a forma di pellicano appartenente al XVI secolo.
All’interno del Museo di Messina è presente anche un altro pittore oltre
Caravaggio, ovvero Polidoro Caldara. Come il più famoso Michelangelo
Merisi, nacque anch’egli nel 1499 nella medesima cittadina bergamasca per
diventare poi allievo del grande Raffaello Sanzio. Giunto a Messina nel 1528
vi rimase fino alla morte intorno al 1543, realizzando numerosi dipinti
manieristici molti dei quali si trovano ancora in varie parti della Sicilia. Nel
museo messinese si trova un’Adorazione dei pastori, un olio su tela realizzato
tra il 1533 e il 1535. Contemporaneo di Polidoro Caldara (nato nel medesimo
anno in Toscana) fu lo scultore Giovan Antonio da Montorsoli, che negli anni
giovanili lavorò con Michelangelo Buonarroti. Giunto a Messina realizzò
diverse opere in marmo tra cui la Fontana di Nettuno di cui si possono
ammirare nel museo le statue originali di Nettuno e Scilla.
Tra i tantissimi altri dipinti di ogni epoca, dal Rinascimento fino al XIX
secolo ne spiccano anche alcuni curiosi che rivelano lo spirito dei loro tempi.
È il caso ad es. di un quadro molto colorato di Pietro Sollima, pittore della
prima metà del ‘600, che rappresenta un’allegoria del Rosario, come un
albero al centro del quale vi è anche qui la classica Madonna col Bambino
attorniata da angeli e santi. Sotto di lei vi sono le rappresentazioni dei vari
misteri (della Gioia, della Gloria, del Dolore) pendenti dai rami come se
fossero frutti. Il dipinto naturalmente è perfettamente in linea con l’ortodossia
barocca della Controriforma, ma la struttura allegorica sembra ripresa dai
modelli ermetici ed alchemici, soprattutto litografie e immagini a stampa, che
occultamente giravano negli ambienti esoterici e rosacrociani della nobiltà.
A proposito di antica aristocrazia, è possibile ammirare in una sala del
museo anche una straordinaria carrozza dorata del XVIII secolo, utilizzata dal
senato messinese. Molto ben conservata, venne realizzata nel 1742
dall’artigiano Domenico Biondo e arricchita con dipinti del pittore Letterio
Paladino. Trainata da tre coppie di cavalli, veniva utilizzata nelle occasioni più
importanti, e al suo interno prendevano posto i senatori e il Mastro Notaro.
Non mancano neppure i reperti enigmatici, ad esempio le “croci patenti”
come quelle dei cavalieri templari, scolpite non solo in reperti medievali (il che
sarebbe abbastanza logico), ma anche in un sarcofago di età antica
conservato nella sezione archeologica. Un altro capitello che si può ammirare
all’ingresso del museo presenta invece delle decorazioni tra cui spiccano
quelle che sembrerebbero delle pannocchie di mais, cereale com’è noto
originario del Nuovo Mondo. Il capitello proveniente dalle rovine dell’antico
duomo, è datato all’età medievale, in un’epoca dunque in cui l’America
ufficialmente non era ancora stata scoperta. Le cosiddette pannocchie di
mais, vedendole con gli occhi degli scettici, è probabile che siano in realtà dei
gigli ritratti con molta enfasi dai loro artefici scalpellini. Ma sollevare qualche
dubbio in merito non è da ingenui fantasiosi. Diversi archeologi e storici
dell’antichità sospettano infatti che Fenici, Cartaginesi e forse anche Greci e
Romani, possano aver raggiunto sporadicamente e casualmente le coste
americane. A Pompei e in altri musei, in Italia e all’estero, è possibile infatti
ammirare affreschi, mosaici o statuette che ritraggono chiaramente degli
ananas, frutti anch’essi originari del Nuovo Mondo. Si dovrebbe dunque
sospettare che anche in età medievale, seguendo la scia dei Vichinghi che si
fermarono sulle coste canadesi, qualche nave sia giunta prima di Colombo
sulle coste messicane e abbia portato in Europa qualche pannocchia di
mais?
Al momento naturalmente non ve n’è alcuna prova certa, ma in futuro
chissà…
Il Museo Regionale di Messina si trova in via Libertà 465. È comodamente
raggiungibile dalla piazza della Stazione FS con il tram n. 28 fino al
capolinea, dinanzi all’edificio del museo. Gli orari di apertura sono: dal
martedì al sabato, ore 9.00 – 19,00; la domenica dalle 9 alle 13; il lunedì
chiuso. Il prezzo del biglietto è attualmente di 9 euro (ridotto 4,50). In alcuni
giorni dell’anno (come la prima domenica del mese) l’ingresso è libero. Per
maggiori informazioni visitare il sito ufficiale del museo:
www.museo.messina.it .
Testo di Ignazio Burgio. Tutte le foto sono state scattate dall’autore all’infuori
dell’immagine del quadro di Polidoro Caldara, tratta da Wikipedia.