AGI – La disinformazione potrebbe causare un calo significativo nel numero di persone disposte a sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid-19. Lo sottolineano in un articolo pubblicato sulla rivista Nature, gli esperti della London School of Hygiene and Tropical Medicine, che hanno intervistato oltre ottomila cittadini inglesi e statunitensi per valutare l’impatto della disinformazione sull’atteggiamento della popolazione nei confronti del vaccino.
“La disinformazione – afferma Alexandre de Figueiredo, ricercatore presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine – ha indotto un calo dell’intenzione di vaccinarsi di oltre sei punti percentuali nel campione considerato”. Il team ha condotto uno studio controllato randomizzato, reclutando tramite un panel online un totale di 8.001 partecipanti, quattromila dei quali provenienti dal Regno Unito i restanti degli Stati Uniti.
Il 75 per cento dei soggetti è stato esposto a informazioni errate relative ai vaccini e a Covid-19, mentre il gruppo di controllo ha ricevuto nozioni fattuali e corrette. Gli studiosi precisano che sono state valutate anche le caratteristiche demografiche dei partecipanti, insieme al livello reddituale, all’affiliazione politica e al tempo trascorso sulle piattaforme social.
“Secondo la nostra analisi i vari gruppi socio demografici sono influenzati in modo differenziato dall’esposizione alla disinformazione – riporta l’esperto – le notizie false riguardo il coronavirus, i vaccini e l’infezione possono pertanto seminare dubbi e cinismo riguardo i vaccini, che invece rappresentano probabilmente una delle migliori azioni che possiamo intraprendere contro la pandemia”.
Gli autori aggiungono che nel giugno 2020 la percentuale di popolazione che si dichiarava disposta ad accettare la vaccinazione contro Covid-19 era stimata al 38 e al 34,2 per cento, rispettivamente nel Regno Unito e negli Usa.
“I sondaggi più recenti negli Stati Uniti – osserva il ricercatore – indicano un calo significativo della percentuale di popolazione che si sottoporrebbe a una procedura immunizzante. Si tratta di un fattore preoccupante, che suggerisce la variabilità dell’accettazione in base alle informazioni ricevute e al rischio percepito di contrarre l’infezione”.
Il gruppo di ricerca sottolinea l’importanza di capire come la disinformazione possa provocare impatti differenziati sui gruppi socio demografici e se le fasce ad alto rischio di sviluppare complicazioni gravi siano allo stesso tempo anche piu’ vulnerabili all’esposizione a notizie false.
“Abbiamo chiesto ai partecipanti di fornire la loro intenzione di ricevere un vaccino Covid-19 prima e dopo essere stati esposti a informazioni sulle procedure – spiega de Figueiredo – distinguendo le motivazioni personali (se accetterebbero il vaccino per salvaguardare la propria salute) e altruistiche (se accetterebbero il vaccino in quanto significherebbe proteggere amici, familiari e soggetti più vulnerabili). In entrambi i paesi percentuali più elevate si sono dette favorevoli al vaccino allo scopo di proteggere gli altri“.
Stando ai risultati dell’indagine, prima dell’esposizione alle notizie, il 54,1 degli inglesi e il 42,5 degli statunitensi si erano dichiarati disponibili a ricevere la vaccinazione, mentre durante la seconda intervista, a seguito della ricezione delle informazioni errate o fuorvianti i favorevoli erano diminuiti del 6,2 e del 6,4 per cento.
“I valori relativi alle persone che accetterebbero sicuramente un vaccino sono inferiori alla soglia necessaria per raggiungere l’immunità di gregge – commentano gli autori – il nostro lavoro suggerisce che la disinformazione e l’esposizione a notizie errate o fuorvianti possono contribuire a ridurre i consensi nei confronti del vaccino”.
Il ricercatore precisa che è improbabile che questi risultati siano rappresentativi dell’effetto della disinformazione sui tassi di assorbimento nei contesti reali, dove il tasso di esposizione alla disinformazione non corrisponde appieno a quello implementato durante l’indagine, ma risulta legato alle preferenze individuali sui social media, ai dati demografici e al tipo di ricerche effettuate durante la navigazione online.
“Sarebbe necessaria una riponderazione demografica per ottenere stime più robuste degli effetti della disinformazione in relazione alla disponibilità della popolazione a ricevere un vaccino – conclude de Figueiredo – ma diversi studi hanno dimostrato che una breve esposizione alla disinformazione può incorporarsi nella memoria a lungo termine, per cui i decisori politici e le autorità sanitarie potrebbero insistere sull’importanza dell’immunizzazione collettiva, enfatizzando il valore altruistico che l’inoculazione significherebbe”.
Vedi: Gli effetti della disinformazione sulla predisposizione ai vaccini
Fonte: cronaca agi