“La Gran Bretagna sta diventando una discarica di sostanze chimiche tossiche che l’Europa, invece, ritiene non sicure. Questo è un altro vantaggio della Brexit”: è il duro ‘J’accuse’ ironico lanciato da George Monbiot, editorialista del Guardian. A quattro anni dall’uscita dall’UE, il 1 febbraio 2020, per Monbiot la politica ambientale di Londra si traduce in un “fallimento”, con “buona pace degli imbroglioni e delle scorciatoie che hanno fatto pressioni affinché i britannici scegliessero il Leave”. L’errore primario, sottolinea l’editorialista, è stata la decisione presa dal governo a favore di un sistema normativo separato per i prodotti chimici, invece degli standard comuni che avrebbero facilitato gli scambi con il resto d’Europa anche dopo la Brexit.
Totalmente disattese poi le ripetute promesse di una Green Brexit da parte di Downing Street, in particolare quelle fatte dall’allora segretario all’Ambiente Michael Gove: aveva assicurato che “non solo non ci sarà alcun abbandono dei principi ambientali che abbiamo adottato ai nostri tempi nell’UE, ma anzi puntiamo a rafforzare le misure di tutela ambientale”. Nei fatti è successo proprio il contrario, denuncia l’editoriale del Guardian, sottolineando che il “nostro sistema di regolamentazione, orgogliosamente sovrano, è immediatamente precipitato nel caos più totale”.
L’Health and Safety Executive (HSE) ha impiegato fino a febbraio scorso per pubblicare il suo programma di lavoro sulla regolamentazione delle sostanze chimiche per l’anno finanziario 2023-2024. La versione ombra del sistema UE, chiamata UK Reach, è afflitta da “sotto finanziamenti, carenza di personale, crisi di competenze e un carico di lavoro impossibile. Mi sembra il tipo di fallimento che, fin dalla progettazione, affligge gran parte della regolamentazione ambientale nel Regno Unito”, valuta Monbiot. Una disfunzione che, come documenta una campagna del gruppo Chem Trust, lascia i britannici esposti alle tossine che ora sono vietate o limitate in Europa. Una fra tante è il piombo tetraetile, da tempo bandito dal carburante per i veicoli di superficie ma ancora utilizzato in quello degli aerei. E’ una sostanza chimica che causa disturbi neurologici, motivo per cui Bruxelles ha stabilito che deve essere gradualmente eliminata, mentre Londra no. Lo stesso vale per le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino nei giocattoli per bambini, la formaldeide, i ritardanti di fiamma bromurati e le microplastiche aggiunte intenzionalmente ai fertilizzanti e alle superfici sportive artificiali.
“L’Ue è lungi dall’essere perfetta. Ha fatto marcia indietro su alcuni dei suoi impegni. Ma almeno sta facendo qualcosa contro le sostanze chimiche che causano tumori e altre malattie e devastano gli ecosistemi”, argomenta Monbiot. Nel contempo, sul versante britannico “non è stato ancora adottato un solo nuovo divieto o restrizione su una sostanza nociva e per certi aspetti stiamo addirittura regredendo”, deplora l’analisi. In effetti il governo britannico ha stabilito che i limiti di esposizione sul posto di lavoro alla dimetilformammide e le restrizioni sugli idrocarburi policiclici aromatici nei campi sportivi sintetici, sul piombo nei prodotti in PVC e sulle sostanze pericolose nei pannolini usa e getta “non sono una priorità d’azione quest’anno”. Un altro caso emblematico del divario normativo tra Londra e Bruxelles riguarda i pesticidi neonicotinoidi, il cui uso è stato totalmente vietato nell’UE, mentre il Regno Unito ha concesso un’esenzione “di emergenza” in patria a seguito delle pressioni dei produttori di barbabietola da zucchero e della National Farmers Union. Per giunta, oltre all’incapacità di sviluppare nuove tutele pubbliche, l’editorialista del Guardian denuncia quella di far rispettare le normative a disposizione e vigenti, solo sulla carta. Risultano sotto finanziati e poco motivati gli organismi – tra cui l’Agenzia per l’Ambiente e l’HSE – che dovrebbero tutelare i cittadini britannici dai danni ambientali, conseguenza della “riluttanza del governo stesso ad applicare le regole”, critica ancora Monbiot. Un gruppo di cittadini – chiamato Fighting Dirty – si è costituito per portare il governo in tribunale per i suoi molteplici fallimenti nel proteggere le persone e gli ecosistemi dalle sostanze chimiche pericolose. Le azioni legali avviate, difficili e costose, hanno ottenuto il primo successo: il via libera per un’udienza all’Alta Corte. “L’ultima risorsa, quando gli standard normativi e le agenzie che dovrebbero sostenerci sono quasi crollati”, concludo Monbiot, esponente del Fighting Dirty, protagonista di una decisa campagna ambientalista. (AGI)
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