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Gagarin un eroe, fu il nuovo Cristoforo Colombo; dice Franco Malerba

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AGI – “L’ingrediente fondamentale nella missione di Gagarin è stato il coraggio. Non poteva avere molte certezze sul successo del suo volo, perché le incognite in quelle circostanze erano altissime. Nelle nostre missioni dello Shuttle anni dopo, dove si era fatta già esperienza, c’era comunque un margine di rischio che, a conti fatti, si riduceva al 2% perché c’erano stati due grandi incidenti su circa 150 missioni.

Nel caso di Gagarin questa percentuale era molto più elevata. Quindi sì, credo che l’elemento fondamentale della missione sia stato il coraggio“. Franco Malerba, primo astronauta italiano (nato a Busalla, nell’entroterra di Genova, ndr) nello spazio, descrive così all’AGI la storica missione di Jurij Alekseevič Gagarin, primo uomo che il 12 aprile 1961, a bordo della Vostok 1, in 108 minuti completò un’intera orbita ellittica attorno alla Terra, raggiungendo un’altitudine massima di 302 km e una minima di 175 km, viaggiando a una velocità di 27.400 chilometri orari. Nessun essere umano lo aveva fatto prima.

“Al tempo di Gagarin non si sapeva ancora come il corpo umano si sarebbe comportato, ammesso che fosse arrivato sano e salvo in orbita in condizioni di assenza di peso, e quali scompensi avrebbe potuto produrre questa situazione  – evidenzia Malerba – Normalmente i piloti quella condizione la evitano come la peste durante i voli: cercano sempre di avere delle accelerazioni a gravità positiva, e mai a gravità negativa perché questa fa andare il sangue alla testa e può provocare danni”.

Poteva davvero andare tutto storto, dalla partenza, al giro intorno all’orbita terrestre, fino all’atterraggio, avvenuto sotto gli occhi stupefatti di alcuni contadini, a sud della città di Ėngels. “Gagarin è stato davvero un eroe perché ha preso su di sé una grande scommessa – sottolinea Malerba – Forse lo ha fatto anche con disciplina di soldato, forse con l’aspirazione di passare all’immortalità. Ma resta il fatto che ha messo in gioco una gran quantità di coraggio”.

All’epoca dell’impresa di Gagarin, che per la missione scelse il nome “Cedro”, Malerba aveva 10 anni: “Non era possibile ancora apprezzare fino in fondo l’importanza, anche geopolitica, di quell’avvenimento. Ricordo però che le testate giornalistiche erano assai preoccupate per questa dimostrazione di progresso tecnologico da parte di una delle superpotenze, ovvero l’URSS. Per me invece era semplicemente un avvenimento formidabile, qualcosa che arrivava come un fulmine a ciel sereno, una novità assolutamente fantastica che cominciava a far pensare ai viaggi nel cosmo”.

La vista della Terra dallo spazio è affascinante

La capsula in cui viaggiò l’astronauta russo aveva appena un orologio, tre indicatori per gli impianti di bordo e un piccolo mappamondo che indicava la posizione della navicella intorno alla terra, oltre agli oblò da cui ammirare e descrivere per la prima volta in assoluto il pianeta “azzurro”, come lo definì lo stesso Gagarin: “La vista della Terra dallo spazio è affascinante – ricorda Malerba – anche in orbita bassa, ad una distanza tutto sommato piccola, perché si viaggia a poco meno di 400 km, come la distanza tra Firenze e Roma, guardiamo le stelle e le vediamo come le vedremmo dalla Terra, ma guardiamo la Terra ed è tutta un’altra cosa. Il fatto di essere poi in assenza di peso, di vedere il sole sorgere e tramontare ogni 45 minuti, beh, si ha la sensazione di essere in un altro mondo, in un’altra dimensione.

Il cielo è profondamente nero, la parte di Terra illuminata dal sole è molto brillante e il contrasto di luce è fortissimo”, racconta l’astronauta italiano, ricalcando esattamente l’impressione che ebbe Gagarin dicendo: “Tutto può essere visto molto chiaramente”. “E’ un contesto difficile da rappresentare anche se abbiamo visto tanti bellissimi filmati che ci fanno capire come da lassù la Terra si veda tutta subito in un unico sguardo – racconta Malerba – La cosa curiosa è che non si vedono granchè le opere dell’uomo: solo aguzzando la vista forse si distinguono la Muraglia cinese, le piramidi.

L’impronta umana è data dalle luci delle città, quando osserviamo la parte notturna del pianeta. Sono più abbondanti lungo le coste dei continenti perché lì ci sono gli insediamenti più frequenti. Solo allora ci ricordiamo che la Terra è abitata dall’uomo e ci rendiamo conto della capacità che quest’ultimo ha avuto e ha di trasformare le cose”.

Quel “salto” nel buio del cosmo compiuto da Gagarin ha avviato la corsa allo spazio e permesso anche di migliorare la tecnologia, adattandola all’ambiente. Come un più moderno Cristoforo Colombo, il primo uomo a volare nel cosmo ha aperto la strada ad un nuovo mondo.

Da allora tanto è stato “conquistato”, osserva Malerba, e tanto è cambiato anche in termini di tecnologia di bordo: rispetto alla strumentazione sobria e spartana che caratterizzava la Vostok 1, “oggi ci sono molti più sistemi di controllo, di conoscenza dell’ambiente nel quale ci si muove e, ovviamente, c’è anche il contatto continuo con la terra – spiega l’astronauta italiano – Dubito che Gagarin avesse il contatto diretto continuo con la Terra, perché per farlo ci vogliono stazioni in tutto il pianeta o almeno satelliti nello spazio per mandare i segnali verso un unico punto sulla Terra. Per questo sicuramente in quel viaggio ci sono stati periodi di solitudine.

Si pilota toccando uno schermo, come col telefonino

La missione comunque – ricorda Malerba – è stata breve e quindi non era forse un elemento fondamentale da considerare. Sul fronte strumentazione, abbiamo assistito ad una trasformazione notevole: una di queste è stata molto recente con le nuove navi spaziali di SpaceX che utilizzano al 100% gli schermi tattili. Non si pilota più maneggiando degli interruttori, delle cloche, dei volanti o dei pulsanti, ma toccando uno schermo, così come facciamo col telefonino.

Ed è una cosa singolare che sotto certi aspetti può essere un po’ alienante: il pilota è abituato a sentire la macchina, anche attraverso i comandi fisici. Comunque, questi comandi elettronici e virtuali fanno altrettanto bene le cose. Inoltre ingombrano e pesano di meno”.

Dall’impresa russa sono trascorsi 60 anni: il mondo è cambiato ad una velocità paragonabile a quella della Vostok 1 attorno all’orbita terrestre quel 12 aprile 1961: “L’avventura nello spazio di Gagarin ci ha dato per la prima volta la dimensione del pianeta terra: un villaggio interconnesso. E’ stata proprio la vista del pianeta terra, come una palla luminosa nel nero del cosmo, che ci ha dato la sensazione della nostra unicità e, forse, solitudine. Di un’integrazione in questa sorta di stazione spaziale che viaggia in un grande oceano che pare, al momento, sconfinato”.

Ma quell’impresa straordinaria oggi è forse utile anche per ricordare che l’uomo è in grado di affrontare persino le sfide apparentemente impossibili da vincere, come l’attuale pandemia: “C’è un comune denominatore in questo sviluppo tecnologico, in questa progressione delle nostre capacità e delle nostre capacità e competenze: è la scienza – osserva Malerba – Noi oggi abbiamo non la speranza, ma la fiducia, anzi la certezza di uscire da questo orribile tunnel della pandemia proprio grazie ai vaccini e al supporto della scienza. Questa, come fu allora la missione di Gagarin, è un’altra affermazione della scienza che via via ci aiuta a superare le difficoltà che incontriamo.

Certo – dice l’astronauta – non sempre la scienza è perfetta: io ad esempio vivo questo momento della tecnologia applicata all’informazione e alla comunicazione, di cui sono stato un grande promotore, con qualche perplessità legata soprattutto ai social. Lì è possibile dire di tutto, è possibile diffamare o diffondere notizie sbagliate. Ecco mi lascia perplesso. Ma forse è solo perché sto invecchiando”. O forse è perché, una volta che si è stati lassù, nello spazio, “tutto – come disse Gagarin in orbita – può essere visto chiaramente”. 

Source: agi


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