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Letterato e storico (Firenze 1483 – Arcetri 1540); intraprese gli studî di diritto canonico e civile a Firenze che concluse nel 1505, divenendo, nello stesso anno, lettore di istituzioni di diritto civile; ambasciatore in Spagna dal 1512 al 1514, tornò a Firenze nel gennaio di tale anno e ottenne cariche pubbliche (fu degli “Otto di balia” che avevano sostituito i Dieci, e, più tardi, priore); avvocato concistoriale e governatore di Modena (1516-24), grazie al favore di Leone X, nel 1524, in segno di riconoscimento delle doti di energia e fermezza dimostrate, ebbe la presidenza della Romagna; più tardi (1526) entrò in grande dimestichezza con Clemente VII. Gli eventi dell’anno seguente costrinsero G. a ritirarsi nella sua villa di Finocchieto, ma nel 1529 fu, come amico del papa, minacciato di arresto e, mentre era a Bologna ove doveva aver luogo la riconciliazione di Clemente VII e Carlo V, il governo fiorentino lo dichiarò ribelle e ordinò la confisca dei suoi beni. Ritiratosi a Roma, tornò a Firenze soltanto dopo la caduta della repubblica (24 settembre 1530). Tornati i Medici, fu ancora tra i sostenitori della famiglia e particolarmente del duca Alessandro, dopo la cui uccisione (1537) caldeggiò l’elezione di Cosimo, figlio di Giovanni dalle Bande Nere; caduto in disgrazia si ritirò nella sua villa di Arcetri, ove si dedicò, sino alla morte, alla compilazione della Storia d’Italia. Convinto che è impossibile dedurre regole assolute dallo svolgimento dei fatti storici passati e che è inutile costruire ideali castelli che la realtà inevitabilmente distruggerà, G., contrapponendosi a N. Machiavelli, concepisce la storia come rotante intorno al “particolare”, alla “discrezione” del singolo; questi deve badare alla realtà delle cose, senza spingere lo sguardo al futuro troppo remoto, pronto, se necessario, a stringere patti momentanei e ad accettare compromessi, adattandosi, quanto più possibile, ai fatti storici quali vanno svolgendosi, momento per momento, sotto i suoi occhi. Tra le sue opere, oltre ai Ricordi politici e civili (cominciati prima del 1525 e scritti in due riprese), considerazioni e massime acutissime desunte dalla viva esperienza della vita e della storia, e che costituiscono lo specchio dell’ideale guicciardiniano, restano fondamentali il Dialogo del reggimento di Firenze in due libri (iniziato nel 1521 e terminato nel 1525) e le Considerazioni sui discorsi del Machiavelli (1529), in cui alcune conclusioni di Machiavelli sono discusse e analizzate con rigore logico (particolarmente la fede negli avvenimenti passati e nella storia di Roma). Lucido e conseguente nella sua speculazione politica, G. è, nelle opere storiche (Storie fiorentine, 1509, che abbracciano il periodo 1378-1509; Storia d’Italia, in venti libri, 1537-40), osservatore attento, pronto a cogliere anche i particolari degli avvenimenti, interprete e giudice dei fatti politici che guarda con estrema obiettività ma anche con viva partecipazione umana (basti ricordare i suoi ritratti, vivaci interpretazioni di caratteri sullo sfondo di un avvenimento). Del 1531 sono i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro. Degli scritti guicciardiniani soltanto la Storia d’Italia e i Ricordi furono pubblicati pochi anni dopo la sua morte; tutti gli altri videro la luce solo nella seconda metà del sec. 19°. Su G. pesò a lungo sfavorevolmente il giudizio limitativo di L. Ranke, e successivamente la polemica di F. De Sanctis, che, isolando artificiosamente i Ricordi dal resto dell’opera, identificò in G. l’italiano che si piega agli eventi per indulgere a un suo esasperato individualismo. A tale non giusto giudizio si è reagito negli ultimi anni con un esame filologico e storico più sistematico, volto alla rivalutazione di tutto il suo pensiero storico e politico.