L’attuale sistema fiscale risale al 1973 e da allora è stato modificato più volte, ma sempre con interventi non organici, per risolvere problemi contingenti ovvero per dare spazio a richieste di lobbies e potentati
di Renato Costanzo Gatti
Entro breve sarà emanata dal Parlamento la legge che autorizza il Governo a predisporre una legge delega per la riforma fiscale, una delle riforme, insieme a quella della giustizia, pregiudiziali per l’avvio del PNRR.
La riforma fiscale è fondamentale per ridare un senso al funzionamento dello stato, ed è squisitamente politica, in quanto determina il modo in cui le funzioni dello Stato sono finanziate dai cittadini. Partendo quindi dalla situazione attuale e dai suoi difetti, si dovrebbe costruire un sistema fiscale equo e rispettoso della Costituzione ed in questo lavoro, le forze politiche autenticamente riformiste dovrebbero essere in prima linea nel fare proposte.
L’attuale sistema fiscale nacque nel 1973, e in questi anni è stato modificato più volte, ma sempre con interventi non organici, per risolvere problemi contingenti ovvero per dare spazio a richieste di lobbies e potentati. Il risultato può essere sintetizzato nel confronto tra due elementi ovvero il gettito generato dal mondo del lavoro vs. il gettito generato dagli altri redditi confrontati con il reddito del mondo del lavoro vs. tutti gli altri redditi.
Confrontiamo quindi:
Gettito del lavoro/Gettito degli altri redditi = 75/25
Redditi da lavoro/Altri redditi = 47/53
ne discende quindi uno squilibrio orizzontale che penalizza fortemente i redditi da lavoro e che urge lavorare al fine di riequilibrare l’onere così come è distribuito tra le classi sociali.
Quando fu pensato l’attuale sistema fiscale i redditi da lavoro rappresentavano il 65% del PIL, oggi quella percentuale è scesa a sotto il 50%, inaridendosi la fonte rappresentata dai redditi da lavoro, non si si sono attrezzate forme di tassazione per colpire nuove forme di reddito tipo quelli generati nel paese da imprese che operano in rete senza una stabile organizzazione nel nostro Paese.
Ricordiamo un altro elemento, ormai cronicizzatosi, che offende in modo inaccettabile l’equità del carico fiscale, mi riferisco naturalmente al fenomeno dell’evasione che causa una perdita di gettito per un importo superiore a cento miliardi ogni anno.
Ma al fenomeno evasivo si affianca un altro elemento, che consiste nell’incapacità dell’amministrazione fiscale di riscuotere le imposte dichiarate o accertate. La Corte dei conti ci ricorda che dall’anno 2000 a oggi si sono accumulati crediti per più di 1.000 miliardi (pari ad un terzo del debito pubblico) di cui però si prevede di poterne riscuotere il solo 13%. Un fallimento evidente del nostro sistema su cui urge intervenire mutando profondamente il sistema della riscossione.
Osserviamo che salariati, stipendiati e pensionati (ad eccezione del lavoro nero), non per loro virtù, ma per virtù del sistema, oltre a dichiarare il 100% dei redditi, pagano il 100% del dovuto. Dovremmo quindi puntare ad un simile risultato nella riscossione delle altre imposte.
Infine, non si può sottacere l’azione distorsiva effettuata in questi anni da interventi legislativi tesi a stimolare, agevolare, esentare alcuni tipi di redditi, stravolgendo in tal modo tutto l’impianto fiscale e creando così una confusione che rende impervia una programmazione finanziaria che abbia un minimo di razionalità.
Vediamo ora un secondo punto che merita di essere approfondito: la progressività, la quale è un principio costituzionale che all’inizio prevedeva per l’imposta delle persone fisiche (Irpef), ben 32 aliquote. Oggi non solo le aliquote sono solo 5 ma esse sono aumentate nelle aliquote basse (dal 10 al 23) e ridotte in quelle alte (dal 72 al 43).
Si sta discutendo molto sullo scaglione che colpisce i ceti medi dai 28 ai 55 mila euro che rimarcano uno scatto di aliquota dal 27 al 38%. Si penserebbe di spaccare lo scaglione in due nuovi scaglioni con aliquote che riducano l’incremento sostanziale. Va ricordato che questa proposta farebbe risparmiare imposte non solo alla classe media ma anche a tutti i redditi superiori, mentre nessun vantaggio sarebbe riservato ai redditi più bassi. Io, al proposito, sono favorevole ad una aliquota continua che aumenti ad ogni aumento di reddito.
Ma il vero tema è che la progressività riguarda solo i redditi da lavoro dipendente, dei pensionati e delle partite Iva con fatturato superiore a 65.000 €, ma il gettito da lavoratori e pensionati rappresenta più del 90% del gettito totale di questa imposta. Tutti gli altri redditi sono esclusi dalla progressività, e parlo dei redditi da capitale, da fabbricati, da capital gains e interessi, riducendo la progressività ad un confuso marchingegno riservato solo ai lavoratori e pensionati, ai limiti della legittimità costituzionale.
Il tema può vedere due proposte: a) o si riassoggettano a progressività tutti i redditi oggi esentati o tassati con facilitazioni o b) si trasforma l’Irpef in una imposta sui soli redditi da lavoro e le si affianca una imposta autonoma personale e progressiva sugli altri redditi.
Ricordo infine che l’istituto della progressività oltre ad essere uno strumento redistributivo, risponde al principio liberale che cerca di avvicinare lo sforzo marginale nella considerazione che il valore marginale di un € è molto più elevato per un basso reddito rispetto ad uno alto.