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Focus su inflazione Usa e interventi Fed

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La prossima settimana sarà caratterizzata dalla pubblicazione, giovedì, dei dati sull’inflazione statunitense a settembre. La previsione è di un lieve rallentamento sia sul fronte dell’inflazione generale (dal 3,7% al 3,6%), sia per quanto riguarda i prezzi ‘core’, quelli al netto di energia e beni alimentari, che dovrebbero attestarsi al 4,1% dal 4,3% di agosto. Un dato sull’inflazione è in calendario, venerdì, anche in Cina, con attese per un valore poco sopra lo zero. Sempre in Cina, particolare attenzione andrà prestata, sempre venerdì, ai dati commerciali e all’aggregato finanziario di settembre (la data esatta di pubblicazione di quest’ultimo non è ancora nota), per avere indicazioni sul rafforzamento della seconda economia mondiale. Sul fronte banche centrali sono previsti numerosi interventi da parte dei banchieri Bce e Fed, molti dei quali, da lunedì a venerdì, parteciperanno alla riunione annuale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario in Marocco. Da seguire anche la pubblicazione dei verbali delle ultime riunioni di Fed (mercoledì) e Bce (giovedì). In particolare, le minute della Bce saranno da monitorare con attenzione, dopo che alla fine dell’ultima riunione erano emersi rumor di membri ‘falchi’ favorevoli a un ulteriore rialzo a dicembre, qualora i salari continuassero a salire, o l’inflazione si confermasse più resiliente del previsto (cosa che peraltro non si è verificata). Infine, negli Usa inizia la stagione delle trimestrali con la pubblicazione dei colossi bancari quali JP Morgan, Wells Fargo e Citigroup.
“In questa fase – commenta Vincenzo Bova, senior analist di Mps – il mercato è nervoso ed estremamente volatile, sta sul chi va là. Tuttavia, secondo me, ha raggiunto livelli estremi, sia sull’obbligazionario, sia sull’azionario Non penso quindi che il dato di venerdì sull’occupazione Usa porterà necessariamente a un ulteriore rialzo dei tassi, o a un’ulteriore discesa dei mercati. Si creerà molta volatilità intraday, che lo porterà a fare su e giù. E per la prossima settimana molto dipenderà dai commenti dei membri Fed. Se assumeranno il tono usato giovedì scorso da Mary Daly, la quale ha detto che i Treasury stanno già facendo il ‘lavoro sporco’ che dovrebbe fare la Fed rialzando i tassi sui fed fund, allora i mercati si tranquillizzeranno”, perché significherà che la Federal Reserve non avrà dato grande importanza alla crescita dell’occupazione Usa a settembre. “E poi – aggiunge Bova – ci sono i dati sull’inflazione, anche quelli peseranno. In ogni modo secondo me il mercato la settimana prossima potrebbe rimbalzare”, il che significa che l’azionario potrebbe rafforzarsi e l’obbligazionario stabilizzarsi. “Anche se è tiratissimo e basterà poco – dice ancora Bova – per farlo rigirare in un senso o nell’altro”.

– RENDIMENTO TITOLI DI STATO SALITO TROPPO E TROPPO IN FRETTA
Il selloff sui titoli di Stato e il rialzo dei rendimenti dei Treasury hanno spaventato i mercati. Il tasso sul decennale e quello sul trentennale sono volati al top da 16 anni e questo ha innervosito i mercati e ha dato fastidio all’azionario. “I tassi dell’obbligazionario sono saliti troppo velocemente intorno al 5%, un livello giudicato eccessivo dai mercati, anche perché così il dollaro si apprezza, gli asset rischiosi perdono valore e questo non piace ai mercati, fa salire i prezzi delle materie prime e fa calare le Borse”, commenta Bova. Il motivo di queste impennate sui rendimenti dei bond? “Di fondo – spiega Bova – ci sono forti pressioni sull’offerta, perché il Tesoro Usa sta emettendo tantissimi titoli di Stato. E la settimana prossima ci saranno altre aste importanti negli Stati Uniti, perché le entrate fiscali sono state inferiori al previsto e questo ha fatto salire il deficit”. Insomma, in questa fase i mercati per rassicurarsi avrebbero avuto bisogno di dati macro deludenti, che raffreddassero il rialzo dei tassi. E invece venerdì è arrivato questo dato forte sul mercato del lavoro Usa, con gli occupati che a settembre sono aumentati più del doppio rispetto alle attese. “Non ci voleva – commenta Bova – anche se è un dato che occorre leggere attentamente: la crescita degli occupati a settembre è stata forte, ma le pressioni salariali si stanno attenuando e i numeri coi quali si calcola la disoccupazione (che hanno una base statistica diversa da quella che si usa per calcolare l’occupazione, ndr), sono meno allarmanti”. Questo dovrebbe rendere meno pericoloso l’impatto di questi dati sui mercati e potrebbe raffreddare un po’ l’aggressività della Fed. In altre parole l’aspettativa è per dei tassi Fed che resteranno alti più a lungo, ma che, dice Bova, “non è detto che continueranno a salire, visto che sono aumentati già tanto”. Insomma, in vista delle prossime riunioni di novembre e dicembre della Fed, sicuramente aumentano le probabilità di un rialzo dei tassi, ma non più dii tanto, considerando che prima di venerdì scorso le probabilità di mercato di un altro aumento dei tassi entro la fine dell’anno erano scese al 30%, in calo rispetto al 40% della settimana precedente e al 50% di due settimane fa. D’altra parte gli stessi membri della Fed questa settimana avevano abbassato un po’ i toni da ‘falco’ e giovedì scorso la presidente della Fed di San Francisco, Mary Daly, membro non votante del Fomc, aveva affermato che la banca centrale non ha bisogno di “prendere affrettatamente alcuna decisione”, per il semplice motivo che gli alti rendimenti sui Treasury stanno già facendo il ‘lavoro sporco’ che dovrebbe fare la Fed rialzando i tassi sui fed fund. “In altre parole – spiega Bova – il rialzo che c’è stato su tassi a lungo termine dei Treasury sta creando un effetto restrittivo pari a quello di una politica monetaria aggressiva. Per cui non c’è l’urgenza di altri rialzi Fed”.

– OCCHI PUNTATI SUL TONO CHE USERANNO I MEMBRI FED
La prossima settimana sono previsti numerosi interventi da parte dei banchieri Bce e Fed, molti dei quali, da lunedì a venerdì, parteciperanno alla riunione annuale della Banca Mondiale e del Fmi in Marocco. “Sarà particolarmente importante capire – dice Bova – il peso che i banchieri Usa daranno a questo dato sull’occupazione Usa. Tranne Powell interverranno quasi tutti i membri della Fed, parlerà Lorie Logan, membro votante, presidente della Fed di Dallas, Michael Barr, capo della supervisione, Philip Jefferson, vice presidente, John Williams, della Fed di New York, Neel Kashkari di Minneapolis, Christopher Waller e Michelle Bowman, entrambi membri del board, riparlerà  Mary Daly, membro non votante del Fomc”, la quale giovedì scorso ha detto che la banca centrale non ha bisogno di “prendere alcuna decisione affrettata”, dato che “la politica monetaria è restrittiva e le condizioni finanziarie sono rigide”. “Se gli altri membri della Fed assumeranno lo stesso tono da ‘colomba’ della Daly – spiega Bova – allora vorrà dire che l’allarme sulla resilienza del mercato del lavoro rientrerà e preverranno i timori per gli alti tassi obbligazionari. Se invece preverranno dei toni come quelli dei due ‘falchi’ Bowman e Kashkari, allora vorrà dire che la Fed intende fare altri rialzi e questo non piacerà ai mercati”.
– GIOVEDÌ ESCONO I DATI SULL’INFLAZIONE
La previsione è di un lieve rallentamento sia sul fronte dell’inflazione generale (dal 3,7% al 3,6%), sia per quanto riguarda i prezzi ‘core’ che dovrebbero attestarsi al 4,1% dal 4,3% di agosto. “E’ previsto un lieve rallentamento – commenta Bova – se arrivasse una sorpresa al ribasso sulla ‘core’ sarebbe un buon segnale per i mercati, che sarebbero ulteriormente tranquillizzati sul fatto che la Fed non ha necessità di essere aggressiva sui tassi e può già iniziare a mettere in conto un primo taglio”.
– I TASSI OBBLIGAZIONARI SONO AL TOP MA POTREBBERO SCENDERE
I tassi sui Treasury sono sui massimi, col 10 anni e il 30 anni vicini al 5%, così come quelli sul Btp in Italia mentre il decennale sui Bund è al 3%. “La settimana prossima – spiega Bova – sono previste ancora molte emissioni negli Usa sui titoli di Stato e il grosso stavolta riguarderà le emissioni a lunga scadenza. Se ci sarà una forte domanda, questo sicuramente contribuirà a far rientrare il rialzo dei tassi”.
– PETROLIO DOVREBBE STABILIZZARSI E IL DOLLARO RESTERÀ FORTE
Il prezzo del petrolio questa settimana è sceso. “Potrebbe tornare intorno ai 90 dollari – dice Bova – ma il pericolo che schizzi verso i 100 dollari sembrerebbe scongiurato”, anche perché la Russia ha tolto il divieto di esportazione  di gasolio. Sul dollaro, secondo Bova, “il mercato è in fase di assestamento”, anche se gli ultimi dati favoriscono il suo rafforzamento. (AGI)