Lo scrittore svedese si cimenta in un interessante testo filosofico sulla natura dell’uomo, muovendo esclusivamente da presupposti scientifici. Ma questo può davvero bastare?
La recente pubblicazione del volume Essere o non essere umani. Ripensare l’uomo tra scienza e altri saperi, edito da Raffaello Cortina Editore, dell’autore svedese Björn Larsson non può che essere accompagnata da curiosità. I motivi di interesse non mancano: intanto, il tema del libro, ovvero il profondo interrogativo sull’essenza stessa dell’umanità e sul suo posto nell’universo, che si intreccia con la riflessione sul rapporto tra la scienza e le altre forme di conoscenza. Poi, l’autore, che, noto principalmente per i suoi romanzi che hanno raggiunto lettori globali con traduzioni in oltre quindici lingue e vendite che superano il milione di copie, si avventura ora in una riflessione di ambito scientifico.
La trama concettuale che Larsson intende tessere attraverso le pagine del libro si snoda attorno a tre quesiti fondamentali. Il primo interrogativo, «in che cosa consiste l’umanità dell’uomo», ci invita ad indagare le caratteristiche distintive che definiscono l’essere umano rispetto ad altre forme di vita. La seconda questione, «che cosa significa essere umani», approfondisce il tema della condizione umana, spostando l’attenzione dal piano ontologico a quello esistenziale ed etico. Infine, la terza domanda, «che cosa l’umanità dovrebbe significare», ci proietta verso una riflessione prospettica e normativa, invitandoci a pensare al futuro del genere umano.
Nell’attuale panorama delle interpretazioni dell’essere umano, che si dispiegano in un ampio spettro, emergono due concezioni fondamentalmente opposte. Da un lato, la convinzione che esista una natura umana universale, intrinseca ed immutabile. Questa visione implica l’esistenza di caratteristiche e comportamenti radicati nel nostro patrimonio genetico al quale dovremmo aderire per mantenere integra la nostra umanità. All’interno di tale concezione, emerge una criticità: esiste il rischio che la nozione di una “natura umana universale” possa diventare uno strumento di esclusione per coloro che non si conformano a certi comportamenti o valori? Dall’altra parte del dibattito sulla natura umana, emerge la concezione che vede l’essere umano come una lavagna vuota, pronta ad essere scritta dalle esperienze, dall’educazione, dalla cultura. Questa prospettiva, che privilegia il primato della libertà del volere, appare particolarmente in sintonia con i tempi presenti, caratterizzati da un marcato rifiuto di ogni forma di autorità. Anche su questo versante, tuttavia, non mancano le domande: per esempio, in che modo il richiamo all’individualità, insita in questo approccio, contribuisce all’emergere di un relativismo dei valori, in cui la soggettività prevale su principi condivisi?
Nel delineare le peculiarità che caratterizzano l’essenza dell’essere umano, Larsson introduce un’espressione di notevole profondità: «essere umano umano». Questa formulazione evoca immediatamente il concetto scientifico di Homo sapiens sapiens, richiamando così la nostra classificazione biologica che sottolinea non solo la sapienza, ma una sapienza riconosciuta e riaffermata. La ripetizione aggettivale si trasforma, inoltre, in un potente strumento concettuale per sottolineare la complessità intrinseca dell’essere umano. «Essere umano umano» diventa, come Larsson precisa, «un sinonimo di persona». Tale definizione sposta il focus dalla semplice appartenenza a una specie verso l’unicità dell’individuo, inteso come entità dotata di dignità, diritti, responsabilità e la capacità di instaurare legami emotivi e sociali. «La specificità dell’essere umano umano – spiega Larsson – sta nel fatto che ci è dato diventare quello che siamo» e da ciò derivano una serie di corollari, il maggiore dei quali recita: «La vita umana e la condizione dell’essere umano hanno valore se, e nella misura in cui, noi esseri umani attribuiamo valore all’umanità». Tale affermazione, lungi dal concludere i discorsi, solleva però dubbi significativi. In primo luogo, pone la questione della soggettività del valore (come può l’etica rimanere solida se il valore è puramente soggettivo?), ignorando potenzialmente i fondamenti oggettivi del valore della vita. In secondo luogo, la proposta di Larsson rischia di escludere dalla considerazione morale individui o gruppi meno rappresentati (chi decide chi merita riconoscimento e protezione?). Inoltre, la logica dietro questa affermazione può apparire circolare (non presuppone l’attribuzione di valore già un riconoscimento del valore dell’umanità?).
Da oltre un secolo, l’esplorazione dell’essere umano si è notevolmente ampliata, rendendo legittimo l’impegno non solo della filosofia ma anche delle scienze. L’essere umano è così diventato un campo di confronto tra filosofia e scienza, ognuna con i propri metodi. La scienza, avvalendosi dell’analisi di ampi dataset, mira a identificare leggi universali e pattern ricorrenti, perseguendo la generalizzazione e l’interpretazione statistica dei fenomeni. La filosofia, d’altro canto, privilegia l’analisi qualitativa e interpretativa di casi singoli, aspirando a una comprensione integrata dell’esistenza.
In tale scenario, la decisione di Larsson di affidarsi unicamente alla letteratura scientifica non è una scelta neutrale. Si tratta, invece, di una scelta di campo che, pur essendo legittima, va incontro nel caso del suo volume ad una criticità sostanziale. La questione centrale riguarda l’esclusione di un settore cruciale della filosofia, vale a dire l’antropologia filosofica, la disciplina che per antonomasia si occupa dei temi sollevati dal libro. Per essere ancora più chiari: è come se, in un libro dedicato alla storia del rock, si omettesse del tutto di citare i Beatles, una band che ha definito non solo un’epoca ma ha anche tracciato il percorso per molti sviluppi successivi nel genere.
Un esempio emblematico della criticità menzionata è l’assenza nel volume di Larsson di riferimenti al personalismo. Questo movimento filosofico, che pone al centro della riflessione la dignità e il valore intrinseco della persona, ha trovato in pensatori come Emmanuel Mounier e Jacques Maritain due dei suoi massimi esponenti. Entrambi hanno contribuito in modo significativo al dibattito sulla natura della persona, un tema che Larsson stesso invoca ripetutamente nel suo lavoro. Come può un’analisi che intende esplorare la concezione della persona prescindere dal contributo di figure così influenti? Una ulteriore omissione, indotta dal metodo di Larsson, riguarda Pico della Mirandola, emblematica figura del Rinascimento, che con il suo Discorso sulla dignità dell’uomo ha gettato le fondamenta filosofiche dell’autodeterminazione umana. Tale concetto rappresenta un nucleo tematico centrale nell’opera di Larsson, rendendo la mancanza di riferimenti a un pensatore come Pico un vuoto difficilmente giustificabile.
Mentre si riconosce il diritto di Larsson di selezionare le fonti ritenute più adeguate, esimendosi dall’includere un inventario completo di ogni pensatore di rilievo nella storia della filosofia, in che modo le lacune che ne derivano rischiano di compromettere la solidità dell’argomentazione presentata e limitare l’orizzonte comprensivo del lettore?
Di Giovanni Scarafile – Fonte: https://www.avvenire.it/agora/pagine/bjorn-larsson-essere-o-non-essere-umani-ripensare-l-uomo-tra-scienza-e-altri-saperi