Tutta l’impalcatura si basa sugli accordi con i paesi di provenienza. Che però ad oggi non ci sono. Mentre raddoppiano le spese di detenzione
L’obiettivo è duplice: bloccare le partenze e rimpatriare chi sbarca in Italia. Il nuovo decreto sull’immigrazione del governo Meloni prova a farlo aumentando i voli di rimpatrio e raddoppiando i Cpr. Che saranno edificati in zone “non popolate” e sorvegliabili”. Con ricadute inevitabili sul piano dei costi. Le misure entrano all’interno del decreto legge Sud approvato il 7 settembre. Mentre i criteri per individuare le aree interessate saranno definiti da un Dpcm di prossima uscita. E il mandato a realizzarli va al ministero della Difesa. E la premier Giorgia Meloni annuncia un ulteriore provvedimento con la stretta sui minori non accompagnati. Ma anche «delle norme per prevedere dei canali differenziati per donne, bambini e under 14, ai quali sarà garantita ogni tutela».
Da 6 a 18 mesi
Con ordine. Il governo ha deciso di incrementare da 6 a 18 mesi il tempo massimo di trattenimento nei Cpr. Che attualmente sono soltanto 9 e ospitano appena 493 persone. Perché il decimo (quello di Torino) è ancora chiuso. La rete dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio sarà potenziata dal Genio Militare. Che dovrà realizzare le strutture in località «a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili». E senza creare «ulteriore disagio e insicurezza nelle città italiane». Poi c’è l’accelerazione sui rimpatri. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani convocherà gli ambasciatori delle nazioni maggiormente rappresentate tra gli immigrati per spingerli a riaccoglierli. Al momento in testa c’è la Guinea (15.138 sbarcati nel 2023), seguita da Costa d’Avorio (14.282), Tunisia (11.694) ed Egitto (8.422). L’ultima finanziaria ha stanziato 42,5 milioni di euro per i prossimi tre anni proprio per l’ampliamento della rete.
Un centro in ogni regione
L’obiettivo di un Centro in ogni regione non è nuovo. Diversi governi se lo sono posto come obiettivo in precedenza. Fallendo a causa dell’opposizione dei territori e della difficoltà di gestione. C’è però un problema. Ovvero che, come fa notare oggi La Stampa, tutta l’impalcatura repressiva si poggia sul presupposto di avere accordi di riammissione con i paesi di provenienza. Che ad oggi sono stipulati soltanto con Tunisia, Albania ed Egitto. Poi c’è la questione dei costi. Attualmente il ministero dell’Interno spende per vitto e alloggio di chi deve espellere una trentina di milioni l’anno. Servono a garantire pranzo, cena e posto letto ai 6 mila che attualmente si trovano nei centri. Verosimilmente quello stanziamento dovrà raddoppiare. Oggi il costo per un migrante trattenuto è all’incirca di 50 euro al giorno solo per vitto e alloggio. Con una detenzione di 18 mesi ognuno arriverebbe a costare 30 mila euro in un anno e mezzo.
Le spese
La costruzione dei nuovi Cpr avrà un costo. Oggi il bilancio del ministero prevede una spesa di 32 milioni nel 2023. Mentre 46 sono già previsti per il 2024. Ma non basteranno se la missione è quella di costruire 10 nuovi Cpr. La spesa ragionevolmente da preventivare è attorno ai 100 milioni. Poi ci sono quelle per la polizia e per gli addetti ai centri. Infine, i costi dei voli. Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha quantificato il costo medio di un rimpatrio in 2.365 euro. I costi sono aumentati del 30% rispetto al 2022. Nel 2020 il ministero ha speso 8 milioni e 334 mila euro. In totale il budget attualmente ammonta a 80 milioni di euro. Con le nuove norme, e immaginando che la strategia funzioni, ne serviranno il doppio. Almeno.
I rimpatri
D’altro canto i rimpatri al 31 agosto erano 2.293 da gennaio. Ovvero in linea con il 2022, quando in totale ne riuscirono un migliaio in più. In Tunisia sono tornate 1.441 persone, in Albania 362 e in Egitto 212. In media soltanto la metà dei trattenuti torna nel paese di provenienza. Gli altri vengono rilasciati perché scadono i termini di detenzione.
di Alessandro D’Amato – fonte: https://www.open.online/