Gian Domenico Caiazza
In Italia, come tutti sappiamo, un numero di detenuti prossimo a cento ogni anno si toglie la vita nelle carceri nostrane. Il fenomeno, ormai endemico, riguarda trasversalmente detenuti che stanno scontando una pena, e detenuti in attesa di giudizio. E se a questa tremenda statistica si aggiunge un discreto numero anche di agenti di Polizia penitenziaria, è ovvio che qualunque persona dotata di un minimo di buon senso comprende che la condizione delle carceri italiane è ben oltre ogli limite di umana sopportabilità. Una condizione indegna, una vergogna che dovrebbe da sola avere la forza di proporsi come emergenza sociale urgentissima e di rilevanza primaria. Invece non solo questo non avviene, ma la preoccupazione di un Governo che pretenderebbe di accreditarsi liberale in tema di giustizia, garante il dott. Carlo Nordio, si appresta ad introdurre il nuovo reato di rivolta nelle carceri, che giunge a punire severamente anche atti di resistenza passiva -dunque, condotte non violente- adottati dai detenuti per ragioni di protesta contro quella incivile condizione carceraria di cui si diceva.
Senonché, mentre ti convinci, sopraffatto da un misto di indignazione e di nausea, che su questa storia si stia davvero toccando il fondo, ci pensa Piercamillo a dirti che nossignore, al peggio non c’è mai fine. Il dott. Piercamillo Davigo, intervistato da uno dei suoi tanti entusiasti e sfegatati tifosi (perché solo così può spiegarsi il persistente interesse verso le opinioni di questo magistrato da tempo in pensione), ci chiarisce il suo punto di vista. Primo: se un detenuto sceglie di suicidarsi, ne è l’unico responsabile (in inglese: sono cazzi suoi). Secondo: il solo rammarico è che in tal modo si disperdono potenziali fonti informative per le Procure. Diversamente dai molti che si mostrano scandalizzati per tali asciutte considerazioni, io le trovo perfettamente coerenti con la persona che le ha espresse, e soprattutto con ciò che essa rappresenta. E cioè una idea della giustizia penale vissuta come una clava, anzi meglio come un diserbante, o un lanciafiamme che non si ferma davanti a nulla, nella sua sacra missione di estirpare la malapianta del crimine, che naturalmente ci circonda e ci soffoca in ogni angolo ed anfratto della nostra vita sociale, popolata sol da farabutti immeritevoli dello sciatto ed insensato dono costituzionale della presunzione di non colpevolezza. Ciò di cui occorre indignarsi non è il dott. Davigo, ma il fatto che questo sia un Paese che avverte ancora l’esigenza di ascoltarne le ossessioni, di bearsi di quei luoghi comuni da bar, di quelle storielle che fanno ridere solo i fanatici. Piercamillo Davigo è Floris che lo intervista a giorni alterni, è Fedez che pende dalle sue labbra, è un sistema mediatico e politico che lo idolatra, è il microfono che non viene pietosamente spento. È la vergogna -infine- di chi lo lascia monologare, curando servilmente che nessuno osi turbarlo in queste sue magnifiche performance. Piercamillo è il vero volto del nostro sfortunato paese.
Fonte: Il Riformista