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Famiglia: da Magnani Noya a Franceschini, il nodo del cognome

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Il tema del cognome da attribuire al figlio o alla figlia al momento della nascita torna a far discutere le aule parlamentari. A rinverdire un dibattito lungo quasi cinquant’anni è la proposta di Dario Franceschini, senatore del Pd. “Ai figli solo il cognome della madre. Anziché creare infiniti problemi con la gestione dei doppi cognomi, dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre, stabiliamo che dalla nuova legge prenderanno il solo il cognome della madre. E’ una cosa semplice ed anche un risarcimento per una ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico ma è stata una delle fonti culturali delle disuguaglianze di genere”, spiega Franceschini annunciando la presentazione di un disegno di legge.
Un dibattito che, almeno in Parlamento, può essere fatto risalire al 1979 con la prima proposta di legge presentata dalla parlamentare socialista Maria Magnani Noya. Dieci anni dopo, nel 1989 fu la volta di Laura Cima, deputata dei Verdi. Fino ad arrivare al isegno di legge presentato dal governo guidato da Enrico Letta che si arenò al Senato. In mancanza di una legge organica, occorre quindi affidarsi alle sentenze, soprattutto a quelle dei Supremi giudici. Il sistema dell’automatismo del cognome paterno è stato più volte messo in discussione in tribunale. La prima sentenza è del 1982 e riguarda il ricorso della giornalista Iole Natoli per la quale imporre alla nascita il solo cognome del padre è una pratica illegittima e lesiva della dignità sociale della donna. Il tribunale civile di Palermo rigetta, tuttavia, la richiesta appellandosi a un generico “principio secolare riconosciuto dal diritto” sull’attribuzione del cognome paterno alla nascita. Le sentenze più significative arrivano vent’anni dopo. E’ il 2000 quando due coniugi di Milano fanno ricorso al Tribunale per ottenere una modifica dell’atto di nascita della prima figlia per attribuirle il solo cognome materno. Il Tribunale rifiuta la richiesta in primo e secondo grado e la coppia si rivolge alla Cassazione. Ma nel 2006, con la sentenza numero 61, la Corte Costituzionale afferma che il sistema dell’attribuzione del cognome paterno in Italia è un “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.
Nel frattempo, il ricorso dei coniugi di Milano viene rigettato ancora una volta perché i giudici di Cassazione ritengono che una dichiarazione di incostituzionalità lascerebbe un vuoto normativo che spetta al Parlamento colmare. Nel 2011, i coniugi di Milano presentano una richiesta al ministro dell’Interno che, con provvedimento amministrativo, acconsente ad aggiungere ai figli della coppia anche il cognome della madre. Non si tratta ancora del riconoscimento di un diritto, ma solo di una conecssione. Per questa ragione, la coppia si rivolge alla Corte europea dei diritti umani che, nel 2014, condanna l’Italia stabilendo che l’attribuzione automatica del cognome del padre rappresenta una discriminazione basata sul sesso.
In quegli stessi anni, in seguito al ricorso di un’altra coppia di genitori, viene posta alla Corte Costituzionale una nuova questione di costituzionalità sull’attribuzione automatica del cognome paterno che, stavolta, è accolta.
La sentenza 286 del 2016 stabilisce che impedire alla madre di attribuire il proprio cognome al figlio al momento della nascita è lesivo del diritto all’identità personale del minore e rappresenta “un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi”. Nella sentenza del 2016, la Corte parla anche della necessità di legiferare al più presto “secondo criteri finalmente consoni al principio di parità”. La legge, però, non arriva. Arriva, invece, una circolare del ministero dell’Interno con la quale, dal 2017, è possibile attribuire al momento della nascita anche il cognome materno, dopo quello paterno e se entrambi i genitori sono d’accordo. Nel 2021 è arrivato alla Corte Costituzionale il ricorso di una coppia di genitori non sposati per attribuire alla figlia il solo cognome materno. Con la sentenza numero 131 del 2022, la Corte ha dichiarato l’illegittimità del codice civile “nella parte in cui prevede, con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto”. Fuori dai confini italiani, le leggi che regolano l’attribuzione del cognome sono molto diverse fra loro, ma tutte ispirate al principio che, al momento della nascita, si possa attribuire al figlio o alla figlia il cognome della madre, del padre o di entrambi. In alcuni paesi ,come in Francia, se non c’è accorod fra i genitori, vengono assegnati ai figli entrambi i cognomi in ordine alfabetico,. In Lussemburgo è previsto un sorteggio. In Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia e Austria, se non c’è una precisa indicazione, viene dato il cognome della madre. In Spagna e nei paesi dell’America latina vige la regola del “doppio cognome”, per cui i figli portano il primo cognome di entrambi i genitori. (AGI)

MOL