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Falkland/Malvinas. Le isole di una guerra inutile

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Di Gerardo Severino  fonte@avvenire.it

Quarant’anni fa la fine del conflitto aperto dalla dittatura di Buenos Aires. In 72 giorni morirono 649 argentini (molti di origine italiana) e 255 britannici. La sproporzione di forze in campo

Ricorre, in questi giorni (col rientro a casa degli ultimi prigionieri di guerra argentini), il quarantesimo anniversario della fine ufficiale della “Guerra delle Falkland/Malvinas”, che vide scontrarsi Argentina e Regno Unito. Non si intende entrare qui nel merito di tale scontro, in particolare sulle sue motivazioni politiche scelte nel 1982 dalla dittatura militare argentina, pur ricordando i numerosi tentativi che il Paese sudamericano aveva pacificamente portato avanti, onde rivendicare ciò che gli apparteneva e da epoca ben più remota. Si può però aggiungere un dato storico: l’arcipelago apparteneva alla Spagna e, quindi, in seguito alle Provincie riunite del Rio de la Plata, sin dai tempi di Magellano, il quale le scoprì nel 1520, mentre si trovava al servizio della corte madrilena. Gli inglesi rivendicano il fatto che fu, invece, il capitano John Strong a scoprire per primo, nel 1690, le isole, chiamandole così in onore del visconte di Falkland. Questo contributo intende semplicemente ricordare e omaggiare i tanti caduti che il conflitto procurò, sia da una parte che dall’altra e, in particolare quelli di origini italiane.

Era il 19 marzo del 1982 allorquando una cinquantina di soldati argentini sbarcarono nella Georgia del Sud, issandovi la bandiera della Repubblica. La piccola guarnigione inglese provò a reagire ma fu sopraffatta e neutralizzata dagli argentini, i quali disposero un blocco navale nelle acque circostanti. Fu invece il 2 aprile che il Paese sudamericano invase militarmente il resto delle isole, proclamandone la legittima sovranità. Non solo, ma lo stesso generale Galtieri, capo della Giunta militare, sfidò pubblicamente gli inglesi a venire a riprendersi le isole, peraltro dall’alto del balcone della “Casa Rosada” dinanzi a una folla davvero oceanica. In questo vi è una grande similitudine con quanto accadde in Italia il 10 giugno del 1940. Come era ovvio che accadesse, il Regno Unito raccolse la sfida, approfittando della circostanza anche per «rispolverare i fasti di un impero coloniale», peraltro in disfacimento da tempo, ma pur sempre capace di far resuscitare il mai sopito orgoglio nazionale. Lo scontro armato ebbe principalmente luogo nei cieli e ovviamente in mare. Quella delle Falkland/Malvinas fu una guerra breve ma pur sempre cruenta, con numerosi episodi di valore e sacrificio da ambo le parti, nei quali sono ricomprese le gesta della Gendarmeria nazionale argentina, che prese parte al conflitto con lo “squadrone Alácran”. La guerra ebbe fine il 14 giugno 1982, con la resa delle truppe argentine e il ritorno della bandiera inglese a Port Stanley. Va detto che ancora oggi le isole sono tema di disputa, per quanto pacifica, da parte dell’Argentina, la quale continua a ritenerle proprie. Secondo una statistica ufficiale argentina stilata nel 1998 (e in seguito modificata nel 2001) nei 74 giorni della sua durata, il conflitto comportò la perdita di 629 uomini, mentre 1.082 sarebbero stati i feriti. L’esercito perse 194 uomini, tra ufficiali, sottufficiali e soldati. L’aeronautica 55, la marina 375 (l’affondamento dell’incrociatore “General Belgrano”, da solo causò la morte di oltre 300 uomini), la Prefettura navale (equivalente della nostra Guardia costiera) 2 uomini, la Gendarmeria nazionale 7, la marina mercantile ne perse 18. Fra le truppe britanniche si contarono 255 morti e 777 feriti. A evidenziare ulteriormente la sproporzione delle forze in campo fu il computo dei prigionieri a fine guerra: 11.313 argentini e 59 britannici. Nello scorrere l’elenco ufficiale dei caduti che l’Argentina lasciò sul campo, peraltro proclamati tutti “eroi nazionali”, colpisce l’elevato numero di persone che portavano un cognome di origine italiana, come ad esempio il gendarme Juan Carlos Treppo, originario di un paesino del Friuli. Sono ben 112 i cognomi marcatamente italiani emersi dalla lista ufficiale, mentre oltre una cinquantina sono, poi, i cognomi che potrebbero essere sia di origini italiane che spagnole, come ad esempio i Lopez, i Diaz, i Castro, e così via, ma dei quali non possiamo conoscere l’origine effettiva.

Sui militari argentini di origine italiana si scatenò all’epoca un’odiosa campagna polemica alimentata dagli inglesi, la quale coinvolse addirittura qualche esponente di quel governo, il quale fu udito affermare, ragionando se gli argentini sarebbero o meno scesi in guerra, che data la discendenza per metà italiana di buona parte di quel popolo «se fosse prevalsa la discendenza spagnola avrebbero combattuto, mentre se fosse risultata dominante quella italiana non l’avrebbero fatto». Quella che poteva sembrare una battuta goliardica fu invece un’offesa gravissima, in virtù della quale si attribuiva di fatto una codardia di origine razziale, per non parlare della messa in discussione del valore militare incarnato dagli italiani stessi. Gli inglesi sembravano aver dimenticato quanto era accaduto una quarantina d’anni prima, in particolare al comportamento tenuto dai fanti italiani sull’Amba Alagi, in Africa Orientale nel corso della Seconda guerra mondiale (era il 17 maggio del 1941), allorquando proprio gli stessi inglesi concessero l’onore delle armi ad Amedeo di Savoia duca d’Aosta, viceré d’Etiopia, in omaggio al coraggio suo e delle sue truppe. Per altro era ancora il 1982, in agosto, quando alcuni i britannici definivano «ridicole» le piume che i nostri bersaglieri portavano, invece, con orgoglio sui loro elmetti bianchi in occasione della missione multinazionale di pace in Libano. La guerra è sempre un fatto negativo, questo è vero e purtroppo attuale. Ma ciò non toglie, purtroppo, che l’arroganza di talune nazioni anche di fronte all’evidenza della storia e delle tradizioni è un fatto che offende l’intelligenza umana, la cultura e quelle conquiste o battaglie di civiltà che tanto sangue hanno richiesto nel corso dei secoli.

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