di Alessandro Maran
Il Foglio offre due spunti di riflessione, due nodi da fare al fazzoletto, in vista del Giorno della memoria.
Ieri, scrive Claudio Cerasa nella pagina delle lettere al direttore, la Comunità ebraica di Firenze ha giustamente espresso “sconcerto” dopo aver avuto notizia di un evento organizzato dall’Anpi, sezione di Bagno a Ripoli, presso il C. R. C. Antella per il prossimo 27 gennaio in collaborazione con l’AssoPace Palestina (https://www.gazzettinodelchianti.it/…/bagno-a-ripoli…/).
Scrive la comunità ebraica: “Dispiace ricordare a chi dovrebbe, per proprio statuto, avere a cuore la memoria della barbarie fascista, che il 27 gennaio è una legge dello stato istituita proprio per riflettere sui crimini del fascismo italiano e la complicità con il nazismo. Il tentativo di creare inesistenti paralleli fra lo sterminio che il nostro paese ha contribuito a compiere, ottant’anni fa, di ebrei, rom e sinti, disabili, omosessuali e oppositori politici, e il conflitto che oggi insanguina dolorosamente il medio oriente ha un unico scopo e un unico risultato: annacquare la memoria delle responsabilità fasciste, creare alibi alla già fragile memoria italiana, allontanare la responsabilità della nostra società, che invece vanno ribadite e comprese, studiate per evitarne il ripetersi. Troppo comodo oggi gettare lo sguardo altrove, trincerarsi dietro nuovi ‘benaltrismi’, chiudere un occhio nei confronti dei colpevoli di allora, di cui come paese siamo eredi, per gridare alle colpe altrui, e in particolare degli eredi di quelle vittime. Da vent’anni partecipiamo con convinzione alle celebrazioni che le articolazioni della società italiana svolgono il 27 gennaio, ripetendo a gran voce che il nostro sguardo, il 27 gennaio, non va rivolto solo alle vittime della persecuzione nazifascista, ma ai carnefici: che siamo noi, italiani ed europei. Oggi chi organizza e partecipa a questa iniziativa svilisce il lavoro di ventidue anni di Giorni della memoria in Italia” (https://www.ilfoglio.it/…/la-sinistra-che-va-in-tilt-e…/).
Che poi su Israele non vada mai bene niente (tutti in odore di nazismo, da Ben Gurion, a Peres, a Sharon, da Barak a Rabin, dalla Meir a Netanyahu, dal ’48 al ’67, al ’73, all’82, al ’93, al 2000, al 2005 e successivi) ce lo ricorda invece l’Andrea’s Version di Andrea Marcenaro, che ancora una volta sottolinea perfidamente l’ipocrisia di chi piange gli ebrei un giorno e attacca Israele tutto l’anno.
“Questo noioso pezzetto – scrive Marcenaro – è già uscito sul Foglio qualche tempo fa. Con qualche correzione, ci è sembrato il momento giusto per ripubblicarlo. Israele ha dunque 75 anni. Siamo quasi al secolo. Nel 1948 Ben Gurion fu il primo alla testa di Israele e non andava bene. Seguì Moshe Sharett: nemmeno. Levi Eshkol governò in coalizione con i laburisti. Al diavolo Eshkol. Golda Meir, laburista, donna e progressista colse la disponibilità di Sadat applaudendolo alla Knesset. Non fu sdolcinata: “Ci sarà la pace quando i palestinesi ameranno di più i propri bambini di quanto odino noi”: e di seguito: “Arabi, noi potremmo un giorno perdonarvi per aver ucciso i nostri figli, non vi perdoneremo mai di averci costretti a uccidere i vostri”. Ha qualcosa a che vedere con le pelose moralità di questi giorni. Il leader Sadat accennò un’approvazione col capo. Pensò a trucidarlo, qualche settimana dopo, la sventagliata di mitra della fazione più potente del suo esercito. Yitzhak Rabin, applaudito da morto qualche anno più tardi, venne bollato in vita come schifoso guerrafondaio (siamo al 1974, era già trascorso il secondo mandato rivivete la nausea rileggendo l’Unità del periodo). Toccò a Begin, Likud, destra, dire il diavolo è poco. Di Shamir, nemmeno parlare. Altri tre anni con Rabin. Niente. Dopo Rabin, Shimon Peres, socialista. Lo maledissero. Trentasei mesi di Netanyahu: un nazista, punto. Ehud Barak, altro socialista, offrì ad Arafat il 98 per cento della Cisgiordania con una presenza di coloni allora risolvibile, più Gaza, più Gerusalemme est come capitale del nuovo stato palestinese. Partì la pace? No, l’intifada. Sharon, detto il porco, cedette Gaza senza contropartite. Allontanò con la forza i coloni ebrei che si opponevano. Israele si lacerò. Non fu facile. Israele si lacerò, ma scelse. C’eravamo, dunque? Si muoveva qualcosa? Niente. I palestinesi, per interloquire, lanciarono verso il cuore di Israele migliaia di missili. Lo stato ebraico si trattenne a denti stretti con rare esplosioni dal cielo su Gaza. Allora Ehud Olmert. Non andava bene. Di nuovo Netanyahu, il quale tuttora malissimamente resiste. Come cambiavi cambiavi, sempre disastri. Infine, il 7 ottobre. E il 27 gennaio sarà, per l’Onu e per le principali istituzioni planetarie, un nuovo “Giorno della memoria”. Sarà facile non dimenticare Birkenau, il binario, il marciapiede del fine corsa, la fila delle donne coi figli piccoli, la scritta sul lavoro che nobilita, le montagne di capelli e di occhiali, di scarpine di bimbi, di denti d’oro, e i forni, e le docce, e i visi perduti e i mucchi intricati di gambe sottili dei morti e dei morenti per fame. Sarà difficile dimenticare questo. Sarà chi dimentica il dopo, soprattutto chi strepita sull’antifascismo, il neofascista che aspettavamo con paura”.
Liberta’ Eguale