di Patrizia Orofino.
Secondo il report di Amnesty international, le esecuzioni capitali nei paesi, caldi del mondo sono aumentati del 30%. Dati allarmanti se consideriamo, la mancanza di informazioni di esecuzioni effettuate in paesi dove non si sa nulla dei prigionieri condannati a morte. La vita umana ancora una volta, viene scalfita e calpestata nel diritto primario: la vita stessa. I passi di civiltà acquisiti fino ad un decennio fa, dalle associazioni sparse nel mondo che, rifiutano la pena di morte, regrediscono sempre di più. Per questa ragione, abbiamo chiesto a Giorgia Butera, Sociologa della Comunicazione e Presidente METE/OIDURe Difensore Diritti Umani,da anni impegnata al fianco dei più deboli, di contribuire a comprendere il perché di questo fenomeno.
“Le Organizzazioni che presiedo METE e OIDUR (Osservatorio Internazionale Diritti Umani e Ricerca), quest’ultimo diretto insieme a Sara Baresi, partecipano attivamente alla sfida globale posta da Agenda 2030 delle Nazioni Unite rispondendo nel costruire società pacifiche che rispettino i Diritti Umani attraverso Programmi d’Azione Sostenibili per le Persone, il Pianeta e la Prosperità.
Sono i 17 i Global Goals UN, ne avremmo voluto un altro ancora, dedicato in maniera globale all’esecuzioni capitali. Il rapporto di Amnesty ha rilevato un aumento del 20% nel numero di condanne a morte emesse a livello internazionale, e non può essere più tollerato. Non possiamo ammettere, che qualcuno decida per la vita altrui. Che qualcuno pensi di punire togliendo la vita.
Il diritto all’esistenza non può essere negato a nessuno. Rivolgiamo un appello a tutta la Comunità Internazionale ed al Segretario delle Nazioni Unite, António Guterres, acciocché tali barbarie abbiano fine.”