“Magica musica” di Venerus è considerato da molti addetti ai lavori il miglior disco dell’anno. Normale, è un piccolo capolavoro, musica che ti piove addosso leggera con una delicatezza del tutto inedita, come se fosse già nell’aria, come vapore che respiriamo e servisse solo qualcuno che lo sapesse tradurre in musica.
Dentro “Magica musica” ci stanno alcune canzoni belle, altre davvero meravigliose, si tratta di un album che trasuda amore per la materia, passione ingestibile, irrequieta, sincera.
Ma soprattutto, la prova che un approccio artisticamente armonico a quella che va considerata un’arte ancor prima che un’industria può ancora creare un corto circuito esplosivo che ti spedisce oltre le regole del mercato, oltre l’alta rotazione radiofonica, oltre la vuota e fugace avventura in vetta alle classifiche di Spotify, scambiando lo spodestamento di un trapper che non sa nemmeno con che piede scendere dal letto con un’impresa che puzza di epica. Venerus in questo non è unico, è proprio extraterrestre, un po’ come suggerisce l’onomatopea del suo cognome e nome d’arte.
Partirei da un bilancio di questo 2021…
È stato sicuramente un anno molto denso, sono cambiati molti scenari. È partito con l’uscita di questo disco che aspettavo di far uscire da un anno, quindi con un po’ di trepidazione. Poi è uscito il disco e ovviamente è stato un momento molto importante, molto bello, anche se ne ho vissuto anche la parte un po’ negativa visto che è uscito senza che si potesse far niente, vivere quello che succedeva attraverso il telefono è stato molto brutto, io sono abituato alle situazioni un po’ più umane.
Sei stato uno di quelli che ha sperimentato questa anomalia del mercato discografico legata al primo lockdown…
Anche concettualmente mi ha fatto ragionare questa cosa, il disco era uscito solo su internet, non potendo fare niente, il fatto che fosse uscito o non fosse uscito non mi cambiava niente. Certo, le persone potevano ascoltarlo ed è importante, ma è stato un po’ strano. La coronazione di questa situazione è quando finalmente sono riuscito ad andare in tour, che è stato come io mi immaginavo, non di promuoverlo il disco, ma di portarlo in giro. Il live è sempre stata la mia dimensione in realtà, ho sempre fatto musica in funzione di suonarla poi dal vivo ed è stato molto bello, molto libero, mi ha dato un sacco di soddisfazioni. È stato molto importante per me a livello concettuale, per come abbiamo impostato il lavoro, ci siamo presi un sacco di responsabilità, anche con un certo margine di rischio, perché non ho tenuto niente del disco come matrice, era tutto completamente libero, ogni volta suonava diverso, questa cosa qua mi ha fatto molto pensare, anche rispetto a come mi interesserà fare la mia prossima musica.
Perché la necessità di bloccare su un disco le emozioni di un tour?
In realtà già quando facevamo le prove io avevo deciso di eliminare qualsiasi traccia del disco dalle registrazioni del live, perché penso che non serva, non è utile creativamente, artisticamente, ad un concerto, avere delle cose preregistrate dal disco che suonano sul palco. Anche se è pratica comune non è una cosa che condivido, le cosiddette “sequenze”, quindi diciamo che già quando riarrangiavamo i brani in piena libertà, ogni canzone dicevamo “Questa come può venire? La facciamo piano solo? La stravolgiamo?”, già dalle prove ci stavamo rendendo conto che stavamo facendo qualcosa che poteva valere la pena registrare, perché comunque avevamo i mezzi per farlo. E poi io sono un po’ old school su certe cose, ascolto prevalentemente musica datata e ci sono un sacco di dischi live bellissimi, è bellissimo come suonano. E allora ho pensato “Perché non farlo anche noi?” essendo sempre così controtendenza, il mio disco live dura 85 minuti, con brani che durano 10 minuti, assolo di due minuti, io ho sempre avuto questa tendenza: ogni volta che si può fare qualcosa che va un po’ contro il filone generale, io la faccio sempre.
Il percorso che hai vissuto con “Magica musica”, quindi l’uscita, il tour, ora il disco live, ha cambiato in qualche modo il tuo approccio alla musica? Perché un conto è affrontarla da sconosciuto, un altro da artista con un riscontro di pubblico e critica che è unanime…
Sicuramente si è evoluta la mia prospettiva, il giorno che farò qualcosa che non evolve la mia prospettiva con la musica smetterò. È evoluta ma non è cambiata, la mia “palette etica” è rimasta la stessa da quando sono piccolo, non ho avuto cambiamenti radicali nel mio credo. Da quel punto di vista non è cambiata tanto, l’unica cosa che sento più intensa adesso è questa sensazione di responsabilità; ma non perché io mi devo prendere sulle spalle niente, ma solo perché dal mio punto di vista più aumenta il pubblico e più aumenta la responsabilità di quello che tu condividi. Però questo non vuol dire che ora devo diventare un assistente sociale, ma solo che devo impegnarmi un po’ di più e andare più a fondo nella mia ricerca, semplicemente questo. Il riscontro mi ha rinnovato questa sensazione che mi suggeriva “Tu devi scoprire qualcosa, perché se non scopri niente cosa gli dai alle persone?”, così mi sono rimesso a studiare tantissimo.
L’ascolto del tuo disco, semplicemente, fa stare bene; talmente bene che poi a uno gli viene da pensare: ma a cosa serve la musica?
Eh non è una domanda facile. Diciamo che ha varie nature, io parlerei di quella più speciale, della altre no; l’esperienza più bella che si può fare con la musica è il trasporto, ti prendi il tempo per fare solo quello, che sia un concerto, a casa, in giro, e di base ti porta spiritualmente da qualche altra parte. Questo penso che sia quello che può fare la musica. Ovviamente chi fa la musica dovrebbe prima di tutto porsi questi problemi, poi per quanto mi riguarda almeno cercare una direzione.
Intendi che comunque, perlomeno nella fase di scrittura e composizione, si metta da parte l’idea del pubblico, del mercato…e si cerchi una sorta di introspezione?
Assolutamente si. Per quanto mi riguarda il pensiero del mercato proprio non deve esistere, il pensiero del pubblico può esistere semplicemente pensando al fatto che poi quella roba tu la fai uscire, però è puramente marginale; è utile a livello motivazionale, quando ti chiedi se fare una cosa fuori di testa, e ti rispondi di si perché pensi al tuo pubblico che se lo aspetta, ma non più di così. La parte del mercato proprio no, è come se quando devi cucinare per la ragazza che ami pensi al supermercato. No.
In questo senso nella musica, sia italiana che internazionale, riscontri una crisi di introspezione?
Si, di brutto. Tantissimo. Questa cosa si può mettere su tanti piani ma è molto facile accorgersene: pensa a quanta musica c’è per adesso, che pubblicare musica è facilissimo, per chiunque; ma non è che ci sono più artisti, la percentuale di persone che si vivono la musica in un certo modo credo sia più o meno sempre quella, ma allora il fatto che ci sia molta più musica vuol dire che il trend medio è che la musica sia inutile. Io vivo i tour in modo molto trasformativo, non esisto più per nessuno per due mesi, tipo San Francesco, ricordo che una volta finito sono andato a fare un giro in centro a Milano e ho parcheggiato in un parcheggio al chiuso, a pagamento, esco dalla macchina e in radio c’era una cosa orrenda, proprio orrenda, e io, che venivo da due mesi di totale astrazione, ricordo che ho pensato: “Cioè, la musica è questa roba qua in città? Cioè tu parcheggi e senti questa roba orrenda, che riempie l’aria?”. Per quanto si dica, e ci può stare, che per la musica in Italia è un buon momento, io, non per fare il negativo, non ci vedo questa grande rivoluzione intellettuale. Nel senso, ok, ci sono tante cose nuove, ovviamente c’è anche tanta musica bella, però se pensiamo a quelle che sono state le scene musicali nel corso degli anni, c’era una maggiore percentuale di musica ispirata.
Sembrerebbe quasi una questione di pigrizia, tu per esempio, a parte il tua “Magica musica”, hai lavorato a molti degli album più belli dell’anno, da “Obe” di MACE a “Materia (Terra)” di Mengoni, che sono anche album che hanno avuto e continuano ad avere un grosso riscontro di pubblico, quindi è possibile fare musica bella e anche facilmente fruibile al pubblico….
Assolutamente; ma quella è una deformazione mentale orrenda. Quando tante persone, lavorando nel mondo della musica, mi dicono “Questo è troppo sofisticato” o “Questo è bello, può andare in radio”, io mi fermo e dico “Raga, è un discorso del cavolo che non vuol dire niente”. Perché poi il problema è che la maggior parte della gente pensano soltanto al presente e non pensano che quando fai uscire una canzone poi rimane. È uguale al concetto di inquinamento, è la stessa identica cosa, se tu non hai percezione che le cose che fai durano nel tempo hai una probabilità di inquinare altissima, perché non pensi che tra trent’anni la gente potrà ancora ascoltare quella canzone che tu hai fatto solo perché volevi vendere il disco.
Il tuo disco è talmente avanti, come sound ma anche proprio in generale come concetto, come approccio alla musica, che effettivamente poi a uno viene la curiosità di sapere al prossimo cosa potrai mai inventarti…dove potresti portarci…
La responsabilità di aver fatto un lavoro bello non può diventare una croce. La cosa più interessante è che quando uno fa un disco di debutto ha un po’ la sensazione di svuotarsi, nel senso che uno fa il primo disco e ci mette tutto fino a quel punto, quindi magari lo fai a 27 anni e in quel primo disco ci metti 27 anni, poi nel secondo disco ci puoi mettere solo due anni di vita. Ovviamente questo discorso è valido fino ad un certo punto, perché poi i pensieri e l’esperienza non è che li svuoti nelle cose, non funziona proprio così. Io sto cominciando a provare a scrivere delle cose ma non nell’ottica di fare un disco, non ho idea di dove arriverò, credo che la cosa più importante per fare qualcosa di rilevante è che io mi prenda il tempo necessario per arrivare da qualche parte, quando sono arrivato da qualche parte allora sarà l’ora per un altro disco. Credo che il mio compito sia quello di fare quello che sto facendo: ascoltare un sacco di musica, suonare tutti i giorni, scoprire delle cose, finchè arriverà il punto in cui avrò scoperto qualcosa che varrà la pena mostrare agli altri. Sicuramente ti so dire che sarà molto figlio dell’esperienza anche di questo disco live, io sento la necessità di remare contro le tendenze che non mi piacciono; adesso per esempio che tutto è perfetto, preciso, in griglia, che se tagli una canzone a metà non si sente neanche che lo fai, sicuramente voglio esplorare l’opposto. Mi sto radicalizzando, se prima avevo questo desiderio di partecipazione alla scena, adesso no, trovo molta più soddisfazione nella mia ricerca, nei miei ascolti, non nell’idea di dover “aprire” il pubblico, allargare il pubblico.
La vivi come un obbligo?
Questa roba qua è fuorviante, i discografici ti mettono sempre in testa (ci provano perlomeno, perché loro non facendo musica non sanno cosa si prova) che col prossimo disco che fai bisogna aprire il pubblico, che è un discorso del cavolo. Sicuramente il prossimo disco non sarà un tentativo di aprire il mio pubblico, come vorrebbero che io faccia, ma sarà magari un nuovo viaggio, attraverso nuove destinazioni e una evoluzione nel mio modo di scrivere e di suonare.
Ti hanno anche proposto Sanremo?
Quella proposta mi arriva più o meno sempre ma io sono proprio anti.
Anti Sanremo?
Si
Come mai?
Perché per me la musica sta proprio su un altro piano. Io poi non ho una televisione, non mi piace la televisione, non mi piacciono le gare, ci sono abbastanza motivi per dire di no.
Sarai la gioia dei tuoi discografici…
Si si! (E ride)
Source: agi