di Ettore Minniti
Il recente referendum confermativo sul taglio dei parlamentari ripropone la necessità di una selezione della classe politica all’altezza delle nuove sfide.
Negli ultimi anni sembra che in politica l’intellighenzia abbia lasciato il passo agli ‘arrivisti’, con il risultato devastante che la res pubblica è amministrata, fatta salvo qualche rara eccezione, da persone senza scrupolo, mediocri, incapaci. Da anni la povertà d’idee amministrative e politiche hanno invaso i consigli comunali, provinciali, regionali, per non parlare del nostro Parlamento.
Un tempo non lontano, la carica pubblica era una conquista riservata a pochi eletti: dottori, farmacisti, avvocati, notai, professionisti, professori. Quei pochi operai che arrivavano ad essere eletti in un consiglio comunale erano coloro che si erano distinti nelle organizzazioni sindacali, nelle cooperative, in ambiti associativi religiosi o civili. Erano in sintesi coloro che avevano fatto la c.d. ‘gavetta’. Con l’ultima tornata elettiva del nostro Parlamento nel 2018 abbiamo assistito a un’elezione che non è dissimile da quello che avviene nei consigli comunali. Sono stati eletti in Parlamento, tanta brava gente, persone oneste, al di sopra di ogni sospetto, la massaia, il sommelier, il disoccupato, ma certamente con poca esperienza assembleare, amministrativa e privi di cultura dell’agorà e della politica, quella con la ‘P’ maiuscola. Non si offendano gli odierni parlamentari, eletti grazie ad una legge truffaldina per l’elettore che non prevede il voto di preferenza, se li definisco ‘nanerottoli’ (spero che un domani possano crescere) rispetto ai giganti del passato, coloro che avevano il senso dello Stato e delle Istituzioni, da rispettare con riverenza sacrale.
Nella società odierna abbiamo bisogno di uno statista o di un leader che sappia parlare di politica e di equità sociale. Durante le tornate elettorali, invece, si parla solo di finanza, di economia, di tasse e di come screditare il proprio avversario. Si parla poco, o troppo poco, di sanità, scuola, sicurezza, giustizia, welfare, sviluppo e lavoro. Manca una visione d’insieme del Paese. Si vive con il Carpe Diem (covid – docet).
Occorre rivedere la funzione sociale dei partiti, hanno fallito la loro missione; nel loro statuto manca l’impegno sostanziale a rendere attuale ed operativo l’articolo Uno della Costituzione: il lavoro. Così come hanno fallito i sindacati, troppo legati ai partiti e non più indipendenti, con i loro inutili scioperi; forse sarebbe meglio tornare ai Tribuni romani, almeno loro avevano il diritto di veto sulle leggi, a difesa delle classi sociali più deboli.
Non siamo orfani di Luigi Sturzo, ma sicuramente ci manca la sua visione della società, del regionalismo e dell’organizzazione territoriale. Sturzo fu avversario del centralismo di Giolitti, ma anche del primo impianto dell’Italia repubblicana, trovando sbagliata l’assenza del regionalismo, necessario per concedere ampia autonomia individuale.Le ideologie politiche di oggi dovranno convergere verso la mediazione tra gli interessi globali e l’organizzazione territoriale e dovranno essere interpretati da soggetti che hanno a cuore l’etica civica.
Imperativo tornare all’etica della politica e saper selezionare la nuova classe dirigente e rinnovare i funzionari che gestiscono l’apparato pubblico/burocratico. Il pallino in mano ai cittadini elettori. Vincerà l’indifferenza oppure sapremo rimboccarci le maniche e come uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà.
Utopia, eresia? Forse che no!