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«Eravamo concorrenti, poi diventò un amico»

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De Benedetti: visione internazionale con le radici a Mantova

di Nicola Saldutti

Aveva un legame profondo con la famiglia: da Ivrea tornava tutte le sere nella sua città. Con la Piaggio ha fatto un lavoro straordinario
«Èl’unica persona che ha vissuto un pezzo di strada importantissima con me. Aveva con me una sorta di rapporto di figliolanza, anche se avevamo soltanto nove anni di differenza. L’Italia perde un grande imprenditore, aveva una capacità di lavoro, un coraggio e un ottimismo di cui c’è un gran bisogno per questo Paese».
Carlo De Benedetti ripercorre la lunga storia insieme con Roberto Colaninno. Due uomini profondamente diversi, le cui strade si sono incrociate tanti anni fa: «Colaninno lavorava in un’azienda a Mantova, la Fiaam Filter, di filtri olio e aria per auto. All’epoca ero a capo della Gilardini. Eravamo concorrenti…».
Concorrenti?
«Sì, anche noi producevamo filtri. Ci siamo conosciuti allora e ho visto in lui un grande potenziale, non soltanto come manager, ma come imprenditore. Così insieme abbiamo fondato la Sogefi nel 1981, lui amministratore delegato, io presidente. Il nostro lungo rapporto è nato così».
Poi la svolta dell’Olivetti?
«Quando in Olivetti mi ritrovai senza amministratore delegato, con l’uscita di Caio, conoscendo le sue capacità, la sua dedizione al lavoro e le sue doti gli proposi di lasciare Sogefi. E diventò lui il capo azienda dell’Olivetti. E per la verità mi ricordo che non disse subito sì…»
Perché?
«Era molto legato a sua moglie Oretta, tornò a Mantova per parlarne con lei. Poi venne a Ivrea e accettò la sfida. Prendemmo insieme la decisione di vendere la perla Omnitel (la società di telefonia mobile, ndr) ai tedeschi di Mannesmann che poi la rivendettero a Vodafone. In quegli anni fece un lavoro straordinario, cercò di ridurre i costi anche perché l’Olivetti era in una strana situazione, non c’erano più i prodotti per cui era nata, le macchine da scrivere, ed era diventata la società più liquida d’Italia, una specie di cassaforte che però continuava a perdere sul suo business tradizionale…».
Allora partì per l’avventura Telecom. Era stata la madre di tutte le privatizzazioni e diventò la madre di tutte le scalate…
«Entrò in contatto con il gruppo dei soci bresciani, in particolare Gnutti, e inventarono di comprare Telecom Italia. Un’operazione alla quale, e glielo dissi, ero assolutamente contrario perché non ritenevo avessimo la squadra per gestirla. La consideravo un’impresa ardua e sbagliata. Lui la fece lo stesso perché era una persona totalmente indipendente e determinata. Si organizzò l’Offerta pubblica di acquisto, poi mio figlio Marco andò con lui e Colaninno lo scelse come amministratore delegato di Tim».
C’è la storia della finanza e dell’impresa in Italia, in questo suo racconto di Colaninno, protagonista di un pezzo di storia del Paese…
«È così. Quando Gnutti vendette la Bell (la holding che deteneva il controllo di Telecom, ndr) ci rimase malissimo, ruppe i rapporti. La sua passione per fare l’imprenditore, la sua capacità di lavoro, il suo coraggio, erano troppo importanti per lui. Che infatti decise di comprare la Piaggio».
Un’impresa dalle grandi tradizioni, ma che allora non era un gruppo in buone condizioni, ora è diventato un gioiello…
«A Pontedera fece un lavoro straordinario, resuscitò un marchio come la Vespa e pure essendo un gruppo piccolo rispetto ai giganti giapponesi, è riuscito a renderlo protagonista del mercato mondiale. Un uomo partito da Mantova, con il titolo di studio di ragioniere ma con una capacità imprenditoriale veramente notevole. Era attaccatissimo alla sua famiglia, quando lavorava all’Olivetti partiva la mattina dalla sua città per venire a Ivrea e tornava anche di notte per ritornare dalla moglie Oretta e dai suoi figli Matteo e Michele. Perdo un amico vero».
Vi sentivate ancora?
«Per lungo tempo ci siamo sentiti la domenica mattina alle dieci. Lo facevamo sempre. Lui mi parlava dei suoi progetti, dall’apertura del nuovo stabilimento in Vietnam a nuove idee di imprese possibili. Questo era Colaninno e queste conversazioni sono uno dei ricordi più belli che custodirò di noi».

Fonte: Corriere