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Elogio della tristezza

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Ai giorni d’ oggi, viviamo ormai in una società dove ci hanno ben insegnato che bisogna combattere ogni emozione negativa che ci abita dentro, superarla a tutti i costi, una tra queste la tristezza.
Abbiamo imparato che per affrontare tale sentimento dobbiamo escogitare le possibili soluzioni che vanno o dall’ andare in terapie chilometriche da specialisti
(che solo la seduta sul lettino già ci riconduce più ad un sonno profondo che alla speranza di un sollievo), a farsi ripetuti viaggi (con annessi duemila self con bocca a forma di cuore), alla cura ossessionata di sé (che nemmeno Dorian Gray nel libro di O. Wilde arriva a tali eccessi), alle continue uscite con pseudo amici (dei quali spesso non conosciamo nemmeno il nome), all’ accanimento sportivo (trasformandosi in veri e propri Fausto Coppi o nel tanto adulato Sinner o semplicemente in Forrest Gump, tanti e maniacali diventano i passi fatti)o infine a qualcosa che ci renda comunque apparentemente felici.
Ma chi l’ha detto tutto ciò? Chi ha mal pensato che la soluzione per superare un momento di tristezza sia dato da tutto ciò?
La tristezza si cura con la tristezza stessa, non c’è cosa più semplice da capire, pure i bambini lo sanno che quando sono tristi vogliono restarci e mettersi in un angolino loro o dentro la loro capanna costruita, ad aspettare che questa vada via da sola.
E la verità è che noi adulti invece non abbiamo più nemmeno il senso dentro noi dell’attesa, perché noi di aspettare non ne vogliamo sapere, noi vogliamo tutto e subito, che le cose come arrivino debbano andarsene, un po’ come quando ci arriva una mosca addosso che subito pensiamo bene di uccidere piuttosto che semplicemente aprire il balcone e indirizzarla invece per la strada da dove è giunta.
Una bellissima canzone di Leonard Cohen, dal film ” l’attesa” del regista calatino P. Messina, intitolata “waiting for the miracle”, sarebbe utile come colonna sonora della vita di ognuno.
Non siamo più capaci di ospitare i nostri sentimenti dentro di noi, non siamo più nemmeno dimora per noi stessi, abbiamo questa smania di ” uscire fuori”, ed invece è ” entrare dentro” che occorre essere.
Bisogna farsi casa, stanza, divano, cuscino, abat-jour, finestra, semplicemente cielo e nuvole.
Non è vero che ogni forma di distrazione ci toglie dal malessere del momento, non è vero che circondandoci di più persone saremo sollevati.
Il mitico E.T. con la sua famosissima frase: “telefono casa”, aveva già individuato la risoluzione alle difficoltà sopraggiunte nella vita.
Le emozioni devono essere vissute, attraversate, affrontate, non ignorate o rimosse.
Il sentimento come la tristezza è uno tra i più nobili del proprio animo, è l’unico che ci permette il passaggio alla gioia, e pertanto ha bisogno di essere “ACCOLTO”, dentro, in tutta la sua manifestazione, seppur ciò consta dolore, tempo e fatica.
Ma d’ altronde chi vuole ai giorni nostri soffrire, perdere tempo o sforzarsi?
Nessuno più!
E sì, ci ritroviamo infatti nella condizione poi di sorridere , scherzare, ridere con tutti e ovunque, e poi girando l’ angolo eccoci a fare i conti nuovamente con quell’ angoscia della tristezza addosso che via non va, che così facendo non rischia che di tramutarsi in possibile forma di depressione, che ci indurrà stavolta a contattare non più lo psicoterapeuta con il lettino per recuperare notti insonni, ma direttamente lo psichiatra, perché ovviamente noi la società la vogliamo ormai tutta sulla clinicita’ e non sulla spontaneità e naturalezza delle cose, dando quindi altissimo valore ai professionisti della mente solo quando vi è un problema ben più serio e grave di una tristezza personale, dovuta ad eventi normali della vita.
Come dovrebbe andare via la tristezza se ad ogni domanda dei come stai rispondiamo puntualmente che va tutto meravigliosamente bene, a tutti. Non si sentirà pure tradita questa povera tristezza da un tal atteggiamento?
Potremmo una volta per tutte ospitare questa benedetta tristezza a casa nostra offrendole una calda tisana, parlando con lei, sedendo accanto a lei, e ogni tanto magari facendole di nascosto delle linguacce?
E senza nessuno che ci dica: dovresti essere felice e grato di ciò che hai piuttosto che essere triste, pensa alla guerra, alle malattie e (classica frase) ai bambini dell’Africa (che solo solo, o tolo tolo, come dice Checco Zalone, nel sentire codesta frase, un manto di tristezza tutto addosso, riveste ancor più).
Potremmo finalmente rispondere che a noi, di ciò che c’è fuori nel mondo, non ci importa un beato nulla e che il sentimento è il nostro ed in quel preciso momento della vita ce lo vogliamo e dobbiamo tenere, aspettando che da solo vada via senza nessun tentativo vano pensato?
La tristezza si cura con la tristezza, con il pianto, con la solitudine, con l’accettazione.
Nulla è superabile a questo mondo se prima non lo si è accettato dentro sé.
Ivano fossati in una sua canzone dice:
“Come i treni a vapore
Come i treni a vapore
Di stazione in stazione
E di porta in porta
E di pioggia in pioggia
E di dolore in dolore
Il dolore passerà”.
Possa allora la tristezza fare dimora nelle nostre anime e rifiorirci dentro sempre, che non c’è crescita migliore, sana, equilibrata, di questa.
E quando non si sa cosa fare nella vita, che scelta prendere, bisogna semplicemente non fare ” niente”, perché è da quel niente che nascerà con l’egregio tempo, il tutto, o quantomeno il necessario, ricordandoci sempre anche di quel bellissimo detto in dialetto siciliano:
” u suprecchiu è come u mancanti”.
Nathalia Catena, pedagogista e formatrice.