Abbiamo voluto usare una metafora calcistica per rendere l’idea di quanto sia grave e profondo l’impatto della mala burocrazia sul sistema Italia, sulla crescita e lo sviluppo del nostro paese. Secondo uno studio condotto da Confcommercio, infatti, il Belpaese è al 33° posto nella classifica che giudica l’efficenza burocratica di 36 paesi Ocse. L’indagine, relativa al periodo 2009 – 2018, attesta che, in questo lasso di tempo, l’Italia ha perso ben 13 posizioni nella gradutoria sopracitata.
A preoccupare maggiormente, però, sono i dati relativi al danno economico causato dall’asfissiante e tentacolare burocrazia tricolore. Un effetto devestante, che si attesta nella perdita di circa 70 miliardi di PIL… Se, ad esempio, in questi anni l’apparato burocratico della nostra nazione, fosse stato assimilabile a quello tedesco, la crescita del Prodotto Interno Lordo, avrebbe raggiunto un invidiabile 6,2% (cifra ben più importante rispetto all’effettivo +2,3% registrato in questi anni). Numeri che non hanno bisogno di ulteriori commenti e che, qualora ce ne fosse ancora bisogno, certificano quanto pesi, quanto sia castrante il mostro burocratico italiano. Un vero e proprio Leviatano di biblica ed hobbesiana memoria che resiste al passare del tempo e ad ogni cambiamento. É, dunque, sempre più forte l’idea che, questo tipo di burocrazia, sia il primo male da combattere e da sconfiggere. Analizzando, più nel dettaglio, i parametri che hanno guidato lo studio di Confcommercio si capisce ancora meglio il perché dei poco onorevoli risultati raggiunti dal nostro paese. La comparazioni tra i vari sistemi burocratici sono stati ricavati dal Quality of Government Index dell’Università di Goteborg, ovvero un indicatore che si basa su tre pilastri fondamentali: livello di corruzione, caratteristiche della legislazione e osservanza della legge, qualità della burocrazia in senso stretto. Pesa, dunque, il ritardo nell’innovazione tecnologica che afflige l’Italia, ma pesano soprattutto certe logiche, certi modi di fare e di concepire la cosa pubblica che, da troppi decenni ormai, sono quasi una emblematica caratteristica di questa nazione.
Gli ultimi mesi, quelli scanditi dall’emergenza Coronavirus, hanno ulteriormente certificato il peso dell’apparato burocratico, che non è stato scalfito nemmeno dall’eccezionalità del fenomeno. Una argomento taboo anche per il governo, sebbene sarebbe ingeneroso imputargli in toto i ritardi e le storture della burocrazia. Stupisce tuttavia il fatto che, nonostante i numerosi annunci circa la volontà di snellire le procedure burocratiche e la creazione del ministero per la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica, nulla sia realmente cambiato. Questo il commento di Carmelo Finocchiaro, presidente nazionale di Confedercontribuenti: “Riteniamo che la burocrazia sia un male assoluto, le norme fin qui fatte sulle semplificazioni non sono servite da nessun punto di vista, sia nella pratica amministrativa che in quella di natura fiscale. Tutto ciò ha determinato degli aggravi che sono rilevanti per le imprese. Anche il cosidetto Decreto Semplificazioni, che si sta discutendo in questi giorni, resta un bluff perché, al di là delle buone intenzioni del legislatore, si rimette tutto in mano dei singoli funzionari che, in fin dei conti, complicano la vita. Per fare un esempio l’esercizio di vicinato, non ha semplificato le procedure ma ha reso tutto più difficile. Ad oggi la procedura per ottenere la S.C.I.A. è più complicata di quando, questa certificazione, veniva rilasciata direttamente dall’ente. Le semplificazioni bluff e la burocrazia della pubblica amministrazione sono, quindi, uno dei drammi di questo paese“