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Vienna 1884 – Roma 1978
Editha Ida Johanna von Haynau, questo il nome alla nascita, nacque a Vienna l’11 novembre 1884 da una famiglia dell’aristocrazia asburgica: il padre, Camerlengo e Capitano del regno Imperiale e Reale, e la madre, cattolica, appartenente a una famiglia di grandi industriali, dama di compagnia della regina, la costrinsero ad una formazione rigida e tradizionale tra le mura domestiche con precettori privati. Questa imposizione ostacolava l’espressione dell’anima libera dell’artista, generando in lei, fin da bambina, un acceso sentimento battagliero e rivoltoso nei confronti di quella condizione. La scrittura fu da subito l’attività con la quale espresse la sua creatività: a dodici anni già scriveva racconti di viaggi e di avventure. Nonostante la resistenza da parte della famiglia, riuscì ad iscriversi per due anni alla Scuola d’arte di Vienna, dove sperimentò le diverse arti.
A ventitré anni, durante un viaggio a Capo nord, conobbe lo scrittore giornalista Ugo Arnaldi, con il quale convolò a nozze nel 1908. Questa data, tuttavia, non le diede la libertà sperata: divenne in poco tempo (tra il 1909 e il 1915) madre di quattro figli, in un contesto ancora fortemente borghese e per lei ostacolante. Probabilmente la vera vita di Rosa Rosà iniziò nel 1915, quando in coincidenza con la partenza per il fronte del marito poté dedicarsi pienamente alle sue attività artistiche, entrando a far del movimento futurista con lo pseudonimo da lei scelto.
Il gruppo dei futuristi fiorentini accolse i suoi contributi tra le pagine de «L’Italia futurista» (1917-1918), dove pubblicò Moltitudine (15 aprile 1917), Romanticismo sonnambulo (10 giugno 1917), e gli articoli, tra giugno e ottobre 1917, in risposta all’uscita di Come si seducono le donne di Marinetti. Si tratta di: Le donne del posdomani, Risposte a Jean-Jacques, Perché la borghesia sia meno noiosa, Le donne cambiano finalmente e l’ultimo, seppur diverso, con lo stesso titolo del primo.
In questi anni si dedicò alla difesa delle donne, o meglio, alla definizione del ruolo della donna nella società di inizio Novecento.
Coraggio e sfrontatezza possono ben definire Rosa Rosà, sia nella vita privata che nell’arte. Rosà, pur con certe forzature tipiche del movimento futurista, oggi decisamente superate, con quel garbo che certamente le derivava dalla sua educazione, anticipò alcune posizioni espresse oggi negli studi di genere, liberando la donna dai condizionamenti sociali e proponendo un modello di persona, più che di ruolo femminile, sebbene disconoscesse il femminismo in senso stretto. Rosa Rosà difendeva le sue idee testimoniandole con la sua stessa vita, attraverso scelte che la misero in netto contrasto con la famiglia.
Di lei è rimasto molto poco: i suoi figli non hanno conservato opere, né fotografie, né altro che testimoniasse la sua attività, a critica del suo totale amore per il Futurismo e per l’arte. Ci resta quanto è stato pubblicato e conservato da altri: i romanzi brevi, La donna con tre anime (1918), che contiene le novelle La sarabanda e L’infermiere; Non c’è che te (1919) e l’incompiuto La casa della felicità, la cui stesura risale al 1927; le illustrazioni per la seconda edizione di Sam Dunn è morto di Bruno Corra (1917); per Le locomotive con le calze di Ginna (1919); per Le notti filtrate di Mario Carli (1918).
Ancor meno resta di altre opere: oltre alla scrittura sperimentò la scultura, la grafica, la fotografia, il disegno, la ceramica, ma nulla, di quanto fu presentato alla Grande esposizione universale del 1919 a Milano e all’Esposizione Futurista Internazionale di Berlino (1922), è giunto a noi. L’esperienza futurista terminò poco dopo l’esposizione di Berlino e così l’attività artistica firmata Rosa Rosà, senza che siano state lasciate particolari testimonianze in merito.
Vi è infine una terza fase della vita di questa artista, quella in cui sottoscrive le proprie opere con il nome Edyth Arnaldi, quasi a trovare una riconciliazione con quel sé del passato, sebbene anche la relazione matrimoniale fosse, nel frattempo, ormai giunta alla fine.
Dal 1930 ripropose al pubblico le sue opere pittoriche e partecipò ad alcune mostre. Con questo nome pubblicò anche i saggi Eterno Mediterraneo (1964) e Il fenomeno Bisanzio (1970), ma, soprattutto, si rivelò come fotografa. La mostra Fotografe! Dagli archivi Alinari a oggi, tenutasi a Firenze nel 2022, curata da Emanuela Sesti e Walter Guadagnini, ha presentato anche l’eclettica Edyth, mostrando un altro aspetto del suo impegno artistico.
Si tratta di fotografie inedite scattate tra il 1930 e il 1954 dall’alto valore antropologico e conservate alla «Fondazione Alinari per la fotografia», a Firenze. I soggetti sono perlopiù donne ritratte nei loro abiti tradizionali durante i lavori quotidiani; numerosi i primi piani. Gli scatti riguardano soprattutto i reportages di viaggi in Italia e in Europa, con una particolare testimonianza dell’area laziale e ungherese.
Una grave e lunga malattia segnò la vita di Edyth Arnaldi Haynau dagli inizi degli anni Settanta al 3 ottobre 1978. Aveva 94 anni.
Di Chiara Pini – fonte: https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/edyth-von-haynau/