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Ecco perché serve tassare di più le ricchezze ereditate

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di Marco Leonardi

Il governo ha approvato 9 decreti legislativi in attuazione delle riforma fiscale, uno degli ultimi ora all’esame preliminare si occupa delle tasse di successione. È confezionato con grande maestria tecnica però non centra il punto principale. Il sistema fiscale italiano da sempre tassa molto i redditi e molto poco la ricchezza e le successioni ereditarie della ricchezza (immobili e aziende). Altri sistemi, francesi, tedeschi o anglosassoni, tassano meno il reddito e di più le successioni ereditarie con l’argomento che si deve incentivare il lavoro e non le eredità.

La struttura del fisco è figlia della storia e della cultura, l’Italia fino alle generazioni nate tra le due guerre aveva ben poca ricchezza ereditata e quindi tassava solo il reddito. Ma oggi le cose sono cambiate, in Italia la ricchezza procapite è più alta che in Francia e Germania e quando va in successione si concentra per un fenomeno “meccanico” dovuto al declino della popolazione e del numero di figli. Un recente articolo pubblicato sul Journal of European Economic Association (Acciari et al.) documenta come la distribuzione della ricchezza italiana nella popolazione è in linea con gli altri paesi europei ma l’evoluzione temporale è di tipo americano, con diseguaglianza in rapida crescita.

Sarebbe opportuno pensare a un graduale riequilibrio, tassare meno i redditi e di più le ricchezze ereditate. L’occasione giusta sarebbe proprio il decreto attuativo della delega fiscale che invece in realtà favorisce ulteriormente i passaggi successori delle quote di aziende in esenzione fiscale. Finora era possibile solo passare le quote di controllo delle aziende (il 50%) in esenzione, mentre da ora in poi sarà più facile anche passare in sostanziale esenzione quote inferiori. Bene rendere più facile i trasferimenti con holding e trust, i passaggi generazionali sono fondamentali per preservare la ricchezza degli italiani. Ma alla fine passano in eredità in esenzione fiscale gran parte sia del patrimonio mobiliare sia di quello immobiliare e il gettito della tassa di successione è solo di circa 1 miliardo all’anno. Il fisco è del tutto inadatto a controllare l’evoluzione della distribuzione di questa ricchezza che per metà è costituita da case. Nel 1995 solo il 30% degli immobili era in mano a ultra 80enni, oggi è il 60%.

Oggi il fisco è concentrato sul reddito (e notoriamente una parte spropositata del gettito Irpef viene da quelli che guadagnano più di 35.000 euro all’anno) ma favorisce la trasmissione della ricchezza in eredità che è diventata la vera fonte della diseguaglianza. Sempre secondo il paper citato, la distribuzione della ricchezza e approssimativamente costituita così: ordinando le famiglie dalla più povera alla più ricca, il 50% della popolazione con ricchezza inferiore ha risparmi spesso negativi per esempio per l’accensione di mutui; il 40% superiore ha una ricchezza positiva per la maggior parte dovuta al possesso di case e il top 10% possiede prevalentemente ricchezza mobiliare (quote azionarie o titoli). L’accumulazione di questa ricchezza è dovuta più ai volumi che ai prezzi, cioè si sono accumulati immobili e quote azionarie, non sono variati i loro prezzi.

Nel tempo il 50% della popolazione con ricchezza inferiore ha visto un declino della sua quota di ricchezza dovuto soprattutto al calo dei risparmi, il 50% invece superiore ha avuto un’accumulazione notevole (soprattutto il top 10%) della sua ricchezza perché la tassazione sulla successione degli immobili è sostanzialmente fiscalmente esente. Da quando nel 2006 è stato eliminato il cosiddetto coacervo per cui ogni trasmissione in donazione e poi in successione in linea retta ha una franchigia di un milione di euro per ogni erede, pochissime case (tra l’altro valutate al valore di catasto) sono sottoposte a una tassazione di una qualche incisività. Adesso nel decreto attuativo in discussione si aggiunge anche una maggior facilità di trasferimento in esenzione fiscale delle quote azionarie.

Molto spesso a questo ragionamento si oppone il desiderio di colpire i grandissimi patrimoni, a patto di trovarli. Non credo che basti, il problema delle successioni coinvolge una quota rilevante della distribuzione della ricchezza, dobbiamo ridurre le franchigie e aumentare (basta poco!) le aliquote sui passaggi ereditari altrimenti avremo un aumento meccanico della disuguaglianza. Mentre favorire il passaggio generazionale delle aziende ha un senso in quanto si preserva la continuità del lavoro, le successioni di immobili hanno un effetto diverso: le nuove generazioni diversamente da quelle precedenti avranno in media una eredità di ricchezza immobiliare molto maggiore, il che è un bene ma anche potenzialmente un disincentivo al lavoro. Alzare le aliquote e abbassare le franchigie delle successioni sarebbe giusto ma politicamente non lo ha fatto nessuno, neanche il governo Monti che nell’emergenza del 2012 ha alzato quasi tutte le altre tasse. Ciò non vuol dire che magari tra pochi anni la situazione non sarà più sostenibile.