AGI – Il telefonino è l’oggetto che teniamo più in mano durante la giornata, secondo solo agli strumenti di lavoro, che poi per molti di noi sono sempre ‘telefonini portatili’. L’anno scorso, causa lockdown, lo abbiamo consultato quanto mai in passato, quattro ore di media durante le ore di veglia, che sono circa 16. Un quarto della nostra vita finisce lì, sul touch screen di uno smartphone.
Nel 2020 si sono moltiplicati i download di app (Facebook, Whatsapp, ma anche TikToc su tutte), gli eventi in streaming che abbiamo seguito sullo schermetto dello smartphone. Partite di calcio o di tennis, concerti, conferenze, riunioni di lavoro, videogame. Il cellulare è più di un device, di un supporto digitale. È una cassetta degli attrezzi sempre aperta, un archivio dove trovare tutto, un negozio con orario continuato e perpetuo, un amico fedele e sempre raggiungibile a cui chiedere consiglio, il peluche con cui dormire (i nostri figli lo nascondono sotto il cuscino per non perdere l’ultima notifica, prima che il sonno demolisca le loro ultime resistenze).
Eppure c’è chi è convinto che lo usiamo, il telefonino, ancora per una minima parte delle sue potenzialità. Un po’ come il nostro cervello. “Fino a ieri lo smartphone era un’arma di distrazione di massa. Il 2020 ci ha insegnato a usarlo come una macchina totale, uno strumento potente. Abbiamo iniziato a fare cose di valore: sul lavoro, nella vita, nelle relazioni. Ora siamo pronti per smettere di restare passivi davanti e utilizzarlo come l’arma più potente che abbiamo per rilanciare i nostri progetti personali e professionali. Abbiamo tra le mani un concentrato di tecnologia potentissimo”. Altro che peluche.
Francesco Facchini è un giornalista friulano, nato e cresciuto nelle redazioni di giornali milanesi scrivendo perlopiù di sport e cronaca (tesi di laurea sul Chievo Verona), che ha anche fondato e diretto un’agenzia di stampa (AlaNews), dopo aver lasciato un lavoro e un posto fisso (redattore a Metro) per un progetto suo (algoritmoumano.it). Da qualche anno si è specializzato sul mobile journalism, il giornalismo realizzato con lo smartphone, attività di cui è diventato un piccolo ‘sacerdote’, per via dei social e di una fitta rete di relazioni che lo hanno sostenuto su questa strada.
Con uno smartphone in tasca non solo si può raccontare una guerra o una partita del Chievo, batte Facchini, ma si può pubblicare un giornale, girare un film, confezionare una presentazione per un Ted. Dov’è la novità? Fino a oggi abbiamo usato il telefono per lavorare in mobilità durante gli spostamenti da un ufficio all’altro, da un computer a un Ipad, mentre eravamo al parco col cane o sul vagone di un metrò, in attesa magari di trovare l’accesso a una stampante. Facchini ha scritto un libro* di oltre 300 pagine per dimostrare che lo smartphone è diventato oggi uno strumento totale, unico nel senso che può fare tutto da solo, non ha più bisogno di annessi tecnologici per sostenere un ciclo produttivo completo, se il prodotto finale si chiama informazione o comunicazione.
Con lo smartphone progetti, realizzi, confezioni, distribuisci, condividi, fidelizzi e incassi – se ci riesci – senza bisogno di altro che non sia la tua intelligenza e la tua creatività.
“Sì – spiega l’autore – si può cambiare la propria vita, trovare (o ritrovare) un lavoro, migliorare la propria carriera, riattivare e far evolvere il racconto della propria attività, piccola o grande che sia. Lo smartphone ci aiuta a rialzare la testa, ci consente di inventare nuovi linguaggi con cui proporci al pubblico. Si possono creare nuovi mercati, proporre prodotti. Si può parlare direttamente alle persone, si può imparare, scoprire, comunicare, viaggiare senza spostarsi, amare senza toccarsi (lo so, è meglio toccarsi…). Per fare tutte queste cose hai un’arma che è diventata davvero potente e che nella tua vita è arrivata in un modo e ora è importante in modi completamente diversi”.
Questo è un libro (scritto in larga parte sullo smartphone) che parla di giornalismo, ma anche di comunicazione in senso esteso. “Parlo di come rilanciare la vita e il lavoro con lo smartphone in questi tempi nei quali ci siamo accorti che questo strumento non è più solo la macchina moltiplicatrice delle nostre distrazioni, ma anche il più importante mezzo di connessione con il mondo e con la società che ci circonda. Lo smartphone era un mitra che ci sparava addosso informazioni e ci voleva passivi, rimbambiti e fermi a guardare, in quei piccoli schermi, messaggi decisi da qualcun altro. Il tutto regalando allegramente dati personali. La pandemia ci ha chiuso in casa per un sacco di tempo, con il solo telefono in mano. Allora ci siamo accorti che quel mitra poteva diventare altro. È diventato un ponte sul quale anche tu puoi caricare dei contenuti e spararli al mondo. Per dire che esisti, per dire cosa fai, per dire dove sei e che strada stai percorrendo. Per dire quali sono le tue qualità, in che lavoro sei eccellente, in che campo sei unico. Ci siamo accorti che lo smartphone è un ponte perché in quarantena è grazie a lui che abbiamo tenuto in piedi le relazioni importanti, abbiamo completato operazioni vitali, creato azioni, personali e professionali, impattanti. Lo smartphone è la migliore arma che abbiamo per rilanciare la nostra vita e il linguaggio da usare è la mobile content creation”.
Diversi i capitoli tecnici, dove Facchini spiega come fare a realizzare format multimediali (molto interessante l’analisi comparata delle diverse piattaforme per la confezione di video e podcast) e dove propone una guida ragionata alla scelta e all’acquisto di uno smartphone.
Ma sono i passaggi ‘motivazionali’ quelli che restano più impressi a chi con un telefonino in mano passa senz’altro quattro ore al giorno, ma forse non aveva mai immaginato che potessero esistere così tante funzioni ‘industriali’ per produrre contenuti anche solo finalizzati a migliorare le proprie performance sui social. Un solo limite, forse, a un testo certamente destinato a durare e a rinnovarsi con periodiche edizioni aggiornate, testo che dovrebbe essere letto da tutti quelli che usano il cellulare per lavoro e non solo per svago: una lieve vena di fanatismo tecnologico che Facchini tradisce in diversi passaggi per il suo/nostro nuovo totem contemporaneo.
Brand journalism: se è mobile è il futuro https://t.co/qgVrZSiN8y
— Francesco Facchini (@frafacchini)
January 20, 2021
Lo smartphone metronomo definitivo delle nostre vite? Fino a ieri solo strumento di evasione e divertimento, al limite di socializzazione, oggi anche motore produttivo autonomo e completo per le nostre quotidiane attività di comunicazione e relazione col prossimo. Un po’ troppo, chissà. Sicuri che se le ore con le dita sul touch screen diventeranno 5 o 6 ogni giorno la nostra creatività ne guadagnerà? Sicuri che avere uno strumento unico che basta a sé stesso per fare tutto migliorerà la nostra visione della realtà, la nostra capacità di intercettare, comprendere nel profondo, fissare e condividere emozioni, anche solo in formato Pdf o Mp4?
Nessuno strumento tecnologico ha avuto negli ultimi dieci anni una diffusione anche solo comparabile a quella del ‘telefono intelligente’. Oggi ce l’hanno e lo usano tutti in ogni parte del mondo per sempre più ore. È diventato quasi un nuovo arto del corpo umano, un terzo occhio, una memoria addizionale per ricordi e progetti. Un’arma buona, come scrive Facchini, una mano formidabile per fare tutto, quasi un ‘sesto senso’. Ma è giusto e davvero conveniente che sempre di più passi tutto di lì?
‘Smartphone Evolution’, di Francesco Facchini (prefazione di Yusuf Omar). 320 pagine, 28 euro (Dario Flaccovio Editore)