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È finita la globalizzazione dopo il conflito tra Russia e Ucraina?

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Una nuova prospettiva nel XXI secolo può aversi nell’internazionalismo dei popoli, multietnici, multiculturali e nella costruzione della Società aperta

di Antonino Gulisano

«La globalizzazione così come la conosciamo è finita». Lo abbiamo scritto molte volte, sin dall’inizio della guerra in Ucraina che con il conflitto il mondo entrava in una nuova era, soprattutto dal punto di vista dell’economia, ma ora ad ammetterlo esplicitamente è nientemeno che Larry Fink, presidente di Black Rock. Non potendo più controllare politicamente i Paesi su cui si è fondato il processo di globalizzazione (Cina e Russia, che nella prima fase dell’epoca unipolare si erano uniformate ai voleri di Washington) i signori di Davos si vedono obbligati a “smontare” la globalizzazione che hanno tenacemente costruito.

È davvero sorprendente che il punto di partenza strutturale della crisi economica e finanziaria sia sottovalutato, se non addirittura ignorato. Esso si incentra sulla perdita, da parte del capitalismo
occidentale a guida statunitense, dell’egemonia indiscussa e universale e della possibilità, pressoché indisturbata fino ad ieri, di saccheggiare le ricchezze del restante mondo senza trovare ostacoli. È dalla profonda crisi del dominio incontrastato dell’imperialismo USA e dei suoi alleati subordinati che si deve partire per intenderne le conseguenze a catena.
L’ultimo decennio ha visto un processo inarrestabile di autonomizzazione, recupero delle proprie ricchezze e della gestione del capitale “pubblico” statale da parte di un numero rilevante di
paesi: e nel contempo ha registrato la crescita poderosa di economie estranee al mondo occidentale (Nord America, Europa, Giappone) che, oltre a produrre a buon mercato e con prezzi ultra-competitivi rispetto alla media occidentale, hanno sfondato anche il muro della qualità nelle produzioni più importanti e innovative.
Il ruolo della Cina è conosciuto oramai da tutti quando si parla di produzioni a prezzi stracciati che invadono il mondo; meno noti sono i suoi enormi progressi nei prodotti di avanguardia e tecnicamente sofisticati, nella ricerca e sperimentazione scientifica, nel controllo monopolistico di materie prime cruciali come le cosiddette “terre rare” e, infine, nella diffusione di un neo-imperialismo soft, di tipo relativamente nuovo (anche se in parte somigliante a quello sovietico d’antan) che diffonde la longa manus del capitalismo di Stato cinese in Africa come in America Latina, sottraendo spazi consistenti alla triade Usa-Europa-Giappone. Con questo conflitto tra
Russia e Ucraina nel centro dell’Europa è entrata in crisi la globalizzazione costruita sul neo liberismo finanziario speculativo.
È entrata in crisi la politica della Democrazia occidentale in uno scontro tra democrazia, neoliberismo, populismo e sovranismo nazionalista della Russia con il neo concetto novecentesco di
imperialismo territoriale e l’imperialismo economico e tecnologico della Cina.
Questo conflitto del centro Europa tra Russia e Ucraina si sta causando uno shock energetico in molti paesi, i quali stanno “cercando nuove fonti di energia. Negli Stati Uniti gran parte dell’attenzione è rivolta all’aumento dell’offerta di petrolio e gas, mentre in Europa e in Asia il consumo di carbone potrebbe aumentare nel corso del prossimo anno. Questo rallenterà inevitabilmente il progresso del mondo verso il net-zero nel breve termine, afferma Fink, e in effetti
pare proprio che il mercato confermi la sua mesta analisi. L’Idrogeno, nuova frontiera dell’economia «green»: cos’è, a cosa serve e come si può impiegare. In otto punti un vademecum per capire le potenzialità (inespresse) di una fonte di energia che bruciando libera in atmosfera
solo vapore acqueo e può produrre elettricità pulita. Nel momento in cui l’era dei combustibili fossili sta inesorabilmente giungendo al suo tragico epilogo, rileggendo il libro di Jeremy Rifkin: L’economia all’idrogeno, indica una via d’uscita da questo drammatico scenario.
Un nuovo regime energetico fondato sull’idrogeno, rivoluzionerà le nostre attuali istituzioni politiche e di mercato. L’idrogeno è l’elemento chimico più semplice e diffuso nell’universo è il
principale costituente delle stelle e del sole. Se sfruttato adeguatamente, potrebbe essere il “carburante perpetuo”, inesauribile e del tutto esente da emissioni inquinanti.
La fase storica, in cui tramonta definitivamente la speranza o l’illusione che la globalizzazione economica e finanziaria potesse “unire” il mondo anche dal punto di vista politico. Lo è ancora di più perché in questa direzione sembrano avviarsi anche Paesi come la Germania e l’Italia, nei quali la storia del Novecento aveva sedimentato nell’opinione pubblica e nelle classi dirigenti una
convinta rinuncia a ogni aspirazione di potenza militare.
Particolarmente stretti risultano anche i rapporti tra postmoderno e società “complessa” di tipo postindustriale. L’elemento mediatore è costituito dagli assetti pluralistici di tale società. Il postmoderno si sforza di far valere le istanze della molteplicità e della differenza, sino a farsi portavoce della fisionomia policentrica e diversificata delle odierne società pluri razziali e pluri culturali. Da ciò il progetto postmoderno di «un’umanità al plurale», capace di lasciarsi definitivamente alle spalle il sogno “medievale”, ripreso da certo universalismo moderno, di un’unica verità, di un’unica fede e di un unico sistema di valori. Il risalto dato alla società complessa ha condotto i postmoderni a valorizzare le tecnologie informatiche e multimediali che ne stanno alla base e che risultano incarnate dalla nuova figura dell’uomo come rice-trasmettitore di messaggi.
Partendo dalla considerazione definitiva che la modernità abbia mancato nel non considerare l’elemento naturale, ecco che la situazione attuale fa emergere la necessità di un ripensamento.
Proprio partendo dalle preoccupazioni dovute alla questione climatica, ripensare la modernità può rappresentare una possibilità di soluzione alle stesse. Non si è costretti ad abbandonarsi a scenari
apocalittici, come, d’altra parte, la possibile soluzione non deve necessariamente consistere in una rivoluzione tecnologica in grado di risolvere la totalità del problema; prospettiva questa di cui non va certamente negata la validità.

Ciò che qui si propone è un’altra possibile strada, che si fonda su un diverso modo (non-moderno) di relazione nei confronti del naturale. Ecco dunque profilarsi un diverso tipo di rapporto fra l’uomo e la natura.
In conclusione, quale sarà la prospettiva del nuovo scenario geopolitico e il mondo futuro?
Se la globalizzazione così come la conosciamo è finita, la nuova prospettiva del XXI secolo può aversi nell’internazionalismo dei popoli, multietnici, multiculturali e nella costruzione della Società
aperta. Karl Popper scrisse La società aperta e i suoi nemici principalmente per affrontare quelle che pensava fossero le ideologie più pericolose del suo tempo, principalmente fascismo a destra e comunismo a sinistra. Anche se quelli sono i due nemici principali, data la loro forza in quel momento storico, ci sono altri alleati minori, ma potenti, di quei due nemici. I peggiori di tutti sono i cosiddetti irrazionalisti che credono che la ragione non sia e non debba essere la principale valore sia a livello individuale che sociale. Tuttavia, come fanno tutti i grandi filosofi, Popper non è realmente interessato ai piccoli dettagli. Un grande filosofo cerca di distinguersi affrontando il vero problema.
Il vero problema è ciò che può risolvere una volta per tutte un enigma filosofico, quando è effettivamente affrontato correttamente. Il grande filosofo è come un segugio che cerca la preda. Non è interessato al sangue liberato dalla preda braccata e ferita. Vuole catturare la cosa reale e non si fermerà finché non la troverà. In questo caso, ciò che Popper vuole inchiodare sono le radici
filosofiche di tutti gli oppositori al principio di base di quella che lui chiama la “società aperta”, che è libertà. La nozione di libertà che Popper ha in mente è fondamentalmente ereditata dalla classica
teoria liberale. “La ragione, come la scienza, cresce attraverso la critica reciproca; l’unico modo ragionevole per pianificare la sua crescita è sviluppare quelle istituzioni che salvaguardano la libertà
di questa critica, cioè la libertà di pensiero.