È difficile immaginarle in ospedale, chi in studio con il camice bianco, chi in sala operatoria con il bisturi in mano, e chi nella stessa sala operatoria ma distesa e addormentata, affidata anima e corpo a chi è là per salvarle la vita. Dieci donne, medici e pazienti insieme, che dopo giorni di cammino arrivano tenendosi per mano alla cattedrale di Santiago. Zaini in spalla, alzano lo sguardo verso la candida facciata, miraggio ricamato nel marmo da antichi artigiani, desiderio dei pellegrini di tutto il mondo. « Pellegrine, siamo arrivate!», è la voce entusiasta di Silvia Ciceri, la nostra guida istruttrice di fitwalking, la stessa voce che lungo il Cammino ha tenuto alto lo spirito del gruppo.
È notte quando le dieci pellegrine, tutte legate in diversi modi all’ospedale San Raffaele di Milano, toccano il traguardo, e nel buio la cattedrale è ancora più maestosa. È stato un viaggio breve, solo le ultime tappe del Cammino, «ma simbolicamente importantissimo », spiega la psicologa Valentina Di Mattei, anima del progetto: «Volevamo festeggiare i dieci anni di Salute allo Specchio, la onlus fondata nel 2013 da alcuni professionisti del San Raffaele che si mettevano volontariamente a disposizione delle pazienti colpite da tumore al seno, e potevamo scegliere tra una cena di gala o una festa in un teatro milanese, invece mi ha convinto l’idea del Cammino di Santiago per il suo significato millenario: il ringraziamento». Solo un assaggio, è vero, un’inezia rispetto agli 800 chilometri del “percorso francese” (il Cammino di Santiago, patrimonio Unesco, è una rete di itinerari che conducono alle spoglie dell’apostolo San Giacomo), eppure un’esperienza così intensa da tracciare un solco tra il prima e il dopo: da Santiago si torna diversi. « Due sono i messaggi forti di questa iniziativa – continua la psicologa –: che l’attività fisica è uno strumento fondamentale di cura e prevenzione, come dimostrano numerosi studi; e poi che Salute allo Specchio in dieci anni ha camminato abbattendo le distanze tra medici e pazienti, perché l’umanizzazione delle cure passa attraverso i rapporti personali». Un’alleanza su cui il Cammino agisce come una livella, chi è paziente? chi è medico? «Camminare è un’azione elementare e vitale insieme, ci accomuna ed elimina le differenze, quindi ci fa incontrare in parità e verità – nota Emanuela Rabaiotti, ginecologa e cofondatrice di Salute allo Specchio –. Dal Cammino mi porterò a casa ogni incontro. E non dimenticherò la grande sorpresa della Messa del Pellegrino in cattedrale, così semplice e maestosa insieme». Maria Grazia Presbitero, da 34 anni in Avo (Associazione volontari ospedalieri), accompagna le pazienti dal trauma della diagnosi lungo le terapie e il follow up: «Santiago è il coronamento di un sogno – confida –. In questo pellegrinaggio abbiamo condiviso tutto, panorami, colori, fatica, fiumi di viandanti confluiti da tutto il mondo nella spiritualità della santa Messa in cattedrale, tante lingue, tante nazionalità, ma tutte unite nella ricerca profonda di sé… Nel cuore mi porto soprattutto Chiara e Teresa, le rappresentanti della squadra più bella al mondo».
Teresa Schiavone, insegnante, è partita per Santiago nonostante la pesantezza delle terapie in corso: « Il Cammino per me è stato un’esperienza di pensieri intimi e personali, sono grata a chi mi ha dato questa occasione che al ritorno porterò con me nell’altro cammino, quello di tutti i giorni», fatto di dubbi e di speranze. «Aver scoperto la magia di Santiago e Finisterre proprio insieme alle dottoresse che in questi anni si sono occupate di me è denso di significati – testimonia anche Chiara Casiraghi, impiegata –. Quando passi inaspettatamente dal benessere alla malattia grave, ti crolla il mondo addosso, per questo Salute allo Specchio è davvero un’àncora di salvataggio”.
L’associazione è nata proprio dall’osservazione delle donne colpite dal cancro: «Comunicando la diagnosi di tumore, ci siamo accorti che la prima domanda era sempre la stessa: perderò i capelli? – spiega la psicologa Di Mattei –. La perdita della propria femminilità, unita alla perdita del seno, è vissuta come devastazione, al punto che alcune donne pensano addirittura di rinunciare alla chemio… Noi medici eravamo soliti rispondere sbrigativamente che i capelli sarebbero ricresciuti, non ci accorgevamo che il corpo che cambia è un vero spartiacque. Insomma, c’era bisogno di un aiuto strutturato, così ci siamo inventati una serie di programmi di cura degli effetti collaterali estetici, morali e psicologici, mettendoci tutti a disposizione in modo gratuito». La diagnosi è l’imbocco di un tunnel pieno di incognite, solitudini, paure senza risposta, «far parte di un gruppo allora è vitale, capisci che intorno hai una rete di altre pazienti e di professionisti, e il cammino si fa insieme. Proprio come a Compostela», conferma Paola Taranto, psicologa.
Veronica Zuber, chirurga generale, è passata alla senologia «perché la donna che si ammala di tumore al seno ha particolarmente bisogno di una cura a 360 gradi: fare un ottimo intervento chirurgico è fondamentale, però ho capito che la mia realizzazione non è solo trattare l’organo mammella ma tutti gli aspetti di questa complessa malattia. Quando entro in sala operatoria mi piace conoscere non soltanto il caso clinico, ma sapere se la persona che ho davanti è una mamma, un’insegnante, una cassiera… Per questo fare il Cammino insieme alle pazienti è un arricchimento importante».
Salute allo Specchio si avvale anche di chef, nutrizionisti, dermatologi, parrucchieri, truccatori, tutti rigorosamente volontari. « Alla fine tutte le attività diventano materiale per la ricerca scientifica», sottolinea Di Mattei. « Pensi che in passato l’attività fisica durante la chemioterapia era sconsigliata, invece ora si è visto che limita l’affaticamento cronico. E i dati ci dicono che le persone che fanno fitwalking con Silvia Ciceri migliorano sensibilmente il benessere… ». Non è romanticismo, è scienza. « Dal cielo poi ci è piovuta un’altra Silvia, istruttrice di yoga: ai suoi corsi ci iscriviamo anche noi medici!».
Silvia Lucchini vive il «doppio binario», perché «yoga e ma-lattia sono andati a braccetto». Quattro anni fa, mentre affrontava gli esami per diventare istruttrice, si è scoperta un tumore tra i più aggressivi, aggravato dalla giovane età. « Nonostante tutto sono riuscita a diplomarmi », si racconta nel Cammino, «in seguito mettermi a disposizione di Salute allo Specchio è stato automatico». La parola yoga significa unione «e in questo caso specifico chi cura e chi è curato lo praticano insieme, è un altro potentissimo messaggio». Dopo Santiago, un’ultima tappa porta a Finisterre, per gli antichi la fine della Terra, per noi la meraviglia di una spiaggia candida lambita dall’Atlantico e coperta di conchiglie, le famose “vieiras” cucite sui mantelli di milioni di pellegrini. Da mille anni tornare a casa con la conchiglia di San Giacomo è la prova del Cammino giunto al cippo del “km 0”. « Ma la vera meta è il Cammino stesso», ricorda Silvia Ciceri, già pronta a ripartire per il suo decimo pellegrinaggio. Il Cammino, avverte, non è una vacanza, «è l’occasione che ti dai per tirar fuori da te la persona che non sapevi di essere». Provare per credere. Il Cammino è adattamento (diluvi improvvisi e squarci di sole ti sfiancano, ma non te la prendi), è disponibilità (tutto ciò che possiedi è nel tuo zaino e te lo porti dietro), è energia (sei fuori allenamento, ma a sera scopri di aver fatto 25 chilometri), è positività (gli ostacoli sono solo alternative da accogliere), «in sintesi è semplicità. Hai con te l’essenziale e scopri che non ti serve altro. Quando torni a casa questa calma ti resta attaccata per giorni, continui a pensare alle cose fondamentali, non ti arrabbi per le banalità».
Era il 2017 quando ha proposto il fitwalking a Salute allo Specchio. « Avevo scoperto di avere un grosso tumore proprio quando dovevo partire per una maratona – racconta –, l’ho fatta lo stesso e poi ho iniziato le terapie. Da allora ogni giovedì l’appuntamento è con la squadra delle pazienti», sorride.
L’esperimento è riuscito ma non finisce qui, assicurano le specialiste del San Raffaele, «l’obiettivo è portare l’anno prossimo a Santiago un numero maggiore di pazienti. Se si comprende che non è un viaggio di piacere ma una vera terapia salvavita, lo sponsor lo troviamo». L’avventura è finita, si torna a casa. Alla vita normale. C’è tempesta e atterriamo a notte fonda. Veronica tra sei ore sarà in sala operatoria, «ho quattro mastectomie». Le Silvie consolano il gruppo: ci si rivede a yoga, e giovedì a fitwalking. Noi svuotiamo gli zaini e le conchiglie ci parlano di paradisi lontani. È vero, Santiago ti accompagna fino a casa e ci resta, ma poi hai bisogno di sapere che presto o tardi tornerai.
Fonte: Avvenire