Storia di un diario e della sua trasformazione in ricerca sulle memorie del quotidiano. Architetto dagli interessi trasversali, Emma Cavigliasso si occupa anche di progetti editoriali e grafici. Insieme a queste attività, da quasi dieci anni svolge la sua pratica fotografica che si caratterizza sia per essere dichiarazione dell’atto stesso del fare fotografia, sia per i soggetti che mostra: momenti e dettagli della vita di tutti i giorni. Una pratica che svela la sua ricerca sulle possibilità dello sguardo e della stessa fotografia. In questo dialogo abbiamo considerato alcuni aspetti: l’interesse per l’ordinario e il presupposto del diario, lo studio della luce naturale, il ruolo della rarità e dell’intervallo, l’inclinazione musicale, la disposizione e l’incontro con la vastità. Il nuovo progetto di Emma è Soglie, fotolibro pubblicato nel 2020.
Particolari. Situazioni. Modi in cui le cose sono e si trovano intorno a noi. C’è veramente molto che ci sfugge: le cose sono lì, ma spesso noi le guardiamo solo frettolosamente e, forse, neppure così. Le tue fotografie consentono invece di prestare loro la dovuta attenzione, di prendersi un tempo per osservarle e riconoscerne la naturale evidenza di cose del mondo.
Le possibilità di cui parli sono legate a una attività nata dalla mia esigenza di tenere un diario per conservare degli istanti, per me. Effettivamente sì, è come dici. Mi interessano gli innumerevoli aspetti di quell’assoluta ordinarietà delle cose del mondo che improvvisamente hanno una loro estetica, una loro bellezza, una loro curiosità. C’è ben più di una ragione per cui vale la pena soffermarsi su di essi: per esempio, rendersi conto all’improvviso che una situazione, totalmente quotidiana, vale la pena di fermarla e registrarla; che un dettaglio è ben più prezioso di quanto non ci sembri.
C’è un elemento in particolare che sono convinto sia decisivo, poiché profondamente legato al tuo modo di osservare le cose: la rarità.
In un certo senso sì, lo è. Sembra un controsenso, ma ciò che cerco di raccogliere nel quotidiano non è affatto raro, non è irripetibile. Anzi, la possibilità della reiterazione per me è piuttosto un riferimento: ci sono delle situazioni che si ripetono e che per questo suscitano la mia attenzione. Da qualche anno studio la luce naturale che entra in casa mia, come cambia durante le stagioni. Seguendone la ciclicità, ormai ho imparato ad aspettarmi certi eventi in precisi momenti dell’anno. Per esempio, c’è un triangolo di luce che si forma sul muro, nelle prime ore del mattino in corrispondenza degli equinozi, di primavera e di autunno. Rarità, perché ogni volta è un segno di nuovi cicli luminosi che si presentano nel quotidiano per poco, anche solo un attimo.
La luce è un punto di riferimento davvero importante. Ho l’impressione che spesso tu la consideri non tanto perché ci consente di vedere le cose, ma perché permette di sottolinearne la presenza.
La ricerca sulla luce naturale è una delle attività che mi entusiasma di più nel fare fotografia. La studio non solo in rapporto alla composizione, ma anche alla interazione con le situazioni che sto fotografando. Essa permette di sottolineare le presenze, certo. Ma c’è di più, a volte essa arriva quasi a costituire le cose – sto pensando a un’immagine del progetto Soglie che mostra alcuni bicchieri e una brocca davanti a una finestra, e questi oggetti trasparenti sembrano esserci proprio perché c’è la luce che li sta creando. Poi avviene anche in un altro senso, perché inevitabilmente la luce proietta forme luminose oppure ombre nell’interazione con i soggetti che colpisce, e questo crea delle immagini preziose proprio per la rarità di cui parlavamo prima.
La possibilità di portare in primo piano un soggetto con i tuoi scatti è considerabile anche come un invito a osservare l’ordinario attraverso la restituzione di alcuni suoi momenti. Opportunità che rivela un altro elemento che caratterizza la tua pratica fotografica: l’intervallo, ossia la tua richiesta di prendere una pausa.
Per riuscire a conservare quei momenti è importante un lavoro sia sulle forme che incontro sia su quelle che posso riuscire a restituire. Questa attività creativa richiede un posto per l’intervallo: quando scatto una foto sono assorbita dal legame che si crea con ciò che voglio catturare. C’è un tempo che intercorre tra l’attimo in cui noto qualcosa e l’azione dello scatto: possiamo chiamarla pausa di registrazione, ed è di fatto una pausa da qualunque altra attività io stia facendo. La mia fotografia infatti è quasi sempre frutto di un incontro fortuito. Ma c’è anche un altro motivo per cui penso vi sia posto per le pause, e questo riguarda le inquadrature: le mie fotografie non sono mai vertiginose, difficilmente hanno punti di vista arditi. Al contrario, trasmettono una certa calma.
Forse, contribuisce a questa serenità anche una inclinazione musicale che sembra alimentare naturalmente il tuo lavoro. Sto mettendo in relazione le tue fotografie e la musica considerando in particolare due elementi: il ritmo e l’armonia. Il primo rimanda alla ripetizione e alla vitalità, la seconda è legata alla misura e all’equilibrio.
Considero entrambi in stretta relazione alle possibilità stesse del fare fotografia, all’intenzione che guida l’atto fotografico in una direzione o in un’altra, nel tentativo di dare forma a una composizione. Essa nasce in modo istintivo dalla relazione tra il mio stato d’animo rispetto a quello che vedo e che voglio trasmettere e ciò che riesco effettivamente a far rientrare nell’inquadratura. Quella naturalezza è all’origine della possibilità stessa di fare fotografie perché è basata su un punto di vista che è sempre piuttosto bilanciato. Probabilmente, proprio questo modo di pormi lascia emergere una musicalità, armonie e ritmi.
Vorrei soffermarmi un momento su questi ultimi aspetti legati alla disposizione: come ti poni e come sono disposte le cose che per qualche ragione attirano il tuo interesse e che perciò scegli di fotografare.
Facendo fotografia inevitabilmente ci si dispone rispetto a un soggetto o, a ben vedere, rispetto alla realtà. Questa disposizione è legata a una ricerca sulla composizione. Per quanto mi riguarda, avviene in modo totalmente spontaneo, e anche consapevole che nel momento in cui mi preparo a scattare certe cose possano anche sovrapporsi o mutare repentinamente, favorendo così anche un cambiamento della prospettiva del mio fuoco.
Se dovessi individuare alcuni aspetti del tuo modo di porti rispetto alle cose, quali sceglieresti?
Il più delle volte c’è il tentativo di pormi frontalmente rispetto a quello che voglio fotografare, di essere parallela al mio soggetto. Ma questo non basta. Perché faccio altrettanto attenzione a come le cose che sto fotografando si stanno disponendo davanti a me, a come possono entrare nell’inquadratura. Osservo e mi dispongo considerando come di fatto tutto sia continuamente in movimento.
Questa riflessione permette di riconoscere anche come tu rinnovi la tua pratica fotografica coltivandola tanto sul piano operativo quanto su quello spazio-temporale.
Negli anni ho maturato la necessità di tenere da parte alcuni attimi quotidiani, per mia memoria, di poterli conservare chiedendomi che cosa resta dello scorrere del tempo. Così ho iniziato a prendermi cura di quei momenti scegliendone uno ogni giorno che fosse possibile restituire come un ricordo attraverso una fotografia. Il primo passo è stato perciò la graduale formazione di un diario degli istanti che avrei voluto non dimenticare. Prima era un blog, poi collezioni e serie di fotografie sono state disseminate in diverse sedi in rete, fino a diventare in tempi recenti una raccolta continuamente aggiornata e disponibile su Instagram. Prendendo sempre più consapevolezza del mio interesse – quasi un’ossessione – per la memoria, per questa possibilità di fare tesoro di numerosi sguardi che raccolgo, si è anche compiuto un passaggio dal diario personale a una vera e propria ricerca sulla straordinarietà dell’ordinario.
Una ricerca che ti ha portata alla elaborazione del tuo primo fotolibro, Soglie, che hai realizzato attraverso una campagna di raccolta fondi pubblicandolo nel 2020.
Da qualche anno ho iniziato a interessarmi alla possibilità di fare un altro tipo di esperienza della fotografia: solitamente, infatti, associamo le fotografie alla loro esposizione su parete o proiezione comunque singola. Quello che ora sto esplorando è invece la costruzione di una narrazione tramite le immagini. Il formato libro è stato perciò un punto di riferimento importante per questo progetto. Soglie offre un filo narrativo, del tutto autobiografico e personale, reso possibile dalla sequenza delle fotografie che raccoglie. Esse offrono la rappresentazione di stati liminali, dimensioni di confine tra un limite e un altro, possibili momenti di passaggio da una situazione a un’altra. Gli scatti mostrano diversi soggetti che ho fotografato a Parigi nel 2019, l’attenzione per più contesti e il costante interesse per i dettagli.
Però, benché in alcuni casi sia anche così, non si tratta soltanto di isolare alcuni dettagli. Voglio dire, tu sembri essere anche molto interessata a mantenere attiva una indagine sulle relazioni: tra cose e spazi, tra posizioni e punti di vista, tra distanze e prossimità.
Vi sono casi in cui le mie fotografie offrono una immagine complessiva della situazione che ha attratto il mio sguardo; in altri casi mi concentro su singoli elementi. Per entrambi la possibilità di registrare qualcosa, di tenerne traccia, è il primo passo per quella che poi sarà una successiva individuazione di legami possibili. L’indagine sulle relazioni che proponi per me si traduce anche nella possibilità di selezionare le immagini e di concentrarmi non solo su ciascuna di esse, ma anche su una narrazione resa possibile proprio dalla loro raccolta e dai rapporti che tra esse si possono stabilire. Soglie mostra questa possibilità.
Mostra anche quanto quella potenzialità narrativa che lo caratterizza sia determinata dalle immagini nonostante esse siano tutt’altro che trasparenti.
A differenza di un testo – in cui il messaggio al lettore mira a essere diretto e chiaro, o almeno quello dovrebbe essere l’intento –, in una serie di fotografie il racconto può assumere un’interpretazione che è relativa alla tua personale visione, al tuo punto di vista: e questo è possibile in virtù della natura stessa delle immagini. Esse offrono numerose possibilità interpretative a chi le osserva.
Il tuo modo di metterti in rapporto con i soggetti che fotografi cambia in base ai contesti. Le fotografie che fai nei viaggi mostrano quanto sia importante e influente per la tua ricerca l’incontro con la vastità, dal quale sembra originarsi anche la tua consapevolezza dei limiti della cornice fotografica.
Mi sono accorta che nei viaggi il mio sguardo cambia completamente. Quello che di solito può essere un riferimento molto presente nelle mie esplorazioni del quotidiano, il dettaglio, nel caso dei viaggi è affiancato e a volte anche sostituito dal contesto. Sono d’accordo con te, nel viaggi l’incontro con la vastità ha una importanza fondamentale. Se nel quotidiano lavoro sulla raccolta di istanti che svaniscono, nel momento in cui invece sono immersa in un contesto diverso subentrano altri fattori: la novità del luogo, i diversi ritmi di vita, l’entusiasmo della scoperta; e improvvisamente mi interesso anche molto di più alle persone. Non sono poche le occasioni in cui mi sono ritrovata a far i conti con l’impossibilità di riuscire a fotografare come avrei voluto, proprio perché si presentava un limite: l’evidenza che la vastità sfugge dalle cornici.
‒ Davide Dal Sasso
Fonte: Artribune