Michaela Camilleri
Alfred Sauvy l’ha definita la lancetta piccola dell’orologio. Se la politica è la lancetta dei secondi, che corre via veloce alla ricerca del consenso, e l’economia è la lancetta dei minuti, il cui scorrimento è ben visibile, è la demografia a rappresentare la lancetta delle ore: apparentemente ferma ma in grado di segnare il passo. Seguendo la metafora dell’economista francese, possiamo prevedere più facilmente nel breve e medio periodo le tendenze demografiche, che operano lentamente, rispetto a quelle economiche e politiche. Nel suo lento muoversi, la demografia offre il tempo per adattarsi alle nuove dinamiche sociali, con effetti che si misurano negli anni a venire e che modificano radicalmente la vita quotidiana degli individui e della collettività. Ecco perché le tendenze demografiche riassumono in maniera incontrovertibile gli effetti di una molteplicità di forze e di tensioni che influenzano la vita delle persone.
Le ultime previsioni Istat sul futuro demografico del Paese confermano che difficilmente sarà possibile invertire la rotta, seppur con elementi di incertezza. Le linee di tendenza tracciate sulla mappa sono chiare: la popolazione residente è in decrescita, da 59 milioni all’1 gennaio 2022 a 54,4 milioni nel 2050; la popolazione invecchia e la fecondità si riduce, con un rapporto tra individui in età lavorativa e non che passerà da circa 3 a 2 nel 2022 a circa 1 a 1 nel 2050; la composizione delle famiglie si modifica, meno coppie con figli e più coppie senza, tanto che entro il 2042 solo 1 famiglia su 4 sarà composta da una coppia con figli, più di 1 su 5 non ne avrà.
E i comportamenti futuri non annulleranno le tendenze in atto. Le previsioni aggiornate al 2022 evidenziano che nello scenario più attendibile, quello mediano, il volto della popolazione muta radicalmente, e non solo per una questione dovuta all’estensione dell’orizzonte previsivo. In che misura possa accadere tale trasformazione dipende sì dall’incertezza associata alle varie ipotesi sul futuro comportamento demografico, ma non fino al punto di riportare in equilibrio la situazione attuale.
La popolazione scivola verso l’età senile: nel 2050 gli over 65 rappresenteranno il 34,5% del totale
Stabilmente sul podio mondiale dell’invecchiamento, oggi l’Italia presenta una struttura della popolazione per fasce d’età così articolata: il 12,7% ha fino a 14 anni di età; il 63,5% tra 15 e 64 anni; il 23,8% dai 65 anni di età in su. Le prospettive future comportano un’amplificazione di tale processo, che – come precisato nel già citato Report dell’Istituto – è governato più dall’attuale articolazione per età della popolazione che dai cambiamenti ipotizzati circa l’evoluzione della fecondità, della mortalità e delle dinamiche migratorie, in base a un rapporto di importanza, all’incirca, di 2/3 e 1/3 rispettivamente. Nel 2050 gli over 65 potrebbero rappresentare il 34,5% del totale e i giovani fino a 14 anni di età l’11,2%, registrando una moderata flessione in senso relativo ma non in assoluto. Infatti, a contribuire alla crescita assoluta e relativa della popolazione anziana concorrerà soprattutto il transito delle folte generazioni degli anni del baby boom (nati negli anni Sessanta e prima metà dei Settanta) tra le età adulte e senili, con concomitante riduzione della popolazione in età lavorativa. Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni scenderebbe al 54,3%. Come per la popolazione anziana, quindi, anche qui si prospetta un quadro evolutivo certo.
Il processo di invecchiamento della popolazione non sarà tutta via omogeneo sul territorio nazionale e avrà un effetto più marcato nel Mezzogiorno. Per quanto quest’area geografica presenti ancora oggi un profilo per età più giovane, l’età media dei suoi residenti transita da 45,3 anni nel 2022 a 49,9 anni nel 2040, sopravanzando il Nord che nel medesimo anno raggiunge un’età media di 49,2 anni, partendo nell’anno base da un livello più alto, ossia 46,6 anni. Guardando alle prospettive di lungo termine, le regioni del Sud rallenterebbero il loro percorso senza tuttavia fermarlo, raggiungendo un’età media della popolazione prossima ai 52 anni. A quel punto, invece, sia il Nord (50,2 anni) sia il Centro (50,8) avrebbero già avviato un percorso di frenata del processo di invecchiamento che, nel caso del Centro, potrebbe addirittura portare all’avvio di una fase di ringiovanimento della popolazione.
Si modifica la composizione delle famiglie: entro vent’anni il 37,5% sarà composto da una persona sola
Nel giro di venti anni si prevede un aumento di oltre 850mila famiglie: da 25,3 milioni nel 2022 si arriverebbe a 26,2 milioni nel 2042 (+3,4%). Si tratta di famiglie sempre più piccole, il cui numero medio di componenti scenderà da 2,32 persone nel 2022 a 2,13. Il concetto di famiglia suggerisce la presenza di almeno due persone, ma in realtà la quota di soggetti che vivono soli crescerà del 17%, facendo aumentare il suo contingente da 8,4 a 9,8 milioni nel giro di venti anni. Peraltro, gran parte dell’aumento del numero complessivo di famiglie è dovuto proprio alla crescita delle persone sole, soprattutto donne (+21%, da 4,6 a 5,6 milioni). Guardando alla composizione per età delle famiglie, si osserva come le persone sole aumentino in modo significativo soprattutto nelle età più avanzate: se già nel 2022 la quota di persone sole di 65 anni e più rappresenta circa la metà di chi vive da solo (48,9%), nel 2042 raggiungerebbe quasi il 60%.
Se, da un lato, l’invecchiamento della popolazione, con l’aumento dell’aspettativa di vita, genera un maggior numero di persone sole, dall’altro, il prolungato calo della natalità incrementa la consistenza delle coppie senza figli (da 5,2 a 5,7 milioni, con un incremento del 9% e una quota sul totale che salirà dal 20,6 al 21,7%), mentre l’instabilità coniugale determina un numero crescente di genitori soli (dal 10,7% del totale delle famiglie nel 2022 all’11,4% nel 2042). L’Istat prevede infatti una sostanziale diminuzione delle coppie con figli: oggi più di 3 famiglie su 10 hanno figli (31,9%), nel 2042 potrebbero scendere a 1/4 del totale delle famiglie (25,3%).
Tutti fenomeni che avranno un forte impatto sul contesto sociale (ed economico) e sugli stili di vita, da interpretare non solo in chiave negativa, come maggior costo in termini di maggiore spesa per la collettività per la protezione sociale, ma anche e soprattutto come opportunità. La bussola per questa grande traversata demografica non può allora essere quella di attrezzarsi, “aprire l’ombrello”, nel lasso di tempo che la lancetta piccola concede.
Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali