Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)
La Pubblica Amministrazione, nonostante il difficile momento vissuto dal paese e la disponibilità di risorse economiche accessibili a costi contenuti, continua a non saldare i suoi debiti con le imprese italiane. É questo il clamoroso dato emerso in questi giorni e denunciato dalla CGIA di Mestre: decine di migliaia di aziende che lavorano con lo stato aspettano ancora di essere pagate. L’emblematica cifra del maltolto si aggira intorno agli 11 miliardi di euro.
Un tema, quello dei debiti della PA, che ormai da troppi anni ha un peso gravissimo nella nostra economia e, soprattutto, nella vita e nella sopravvivenza di quelle realtà, spesso medio-piccole, che decidono, coraggiosamente, di fare impresa in Italia. Insomma, una questione annosa, che il governo si era impegnato a risolvere con il Decreto Rilancio il quale, tramite Cassa Depositi e Prestiti, ha messo a disposizione delle Aziende Sanitarie Locali (ASL), delle Regioni e degli enti locali 12 miliardi di euro per liquidare i debiti commerciali maturati prima della fine del 2019. Peccato che, secondo quanto riferiscono alcune indiscrezioni, al 7 luglio (termine ultimo per richiedere questi vantaggiosi prestiti), la Pubblica Amministrazione ha richiesto un solo miliardo. Un vero e proprio buco nell’acqua, come conferma anche l’articolo 55 del Decreto Agosto, che riapre i termini per la richiesta di fondi a CDP. Un’operazione che, ASL, Regioni ed Enti Locali, potranno fare dal 21 settembre al 9 ottobre: staremo a vedere se, almeno questa volta, ci sarà un impegno serio per dare ossigeno alle imprese che attendono di essere pagate dallo stato.
Una situazione, lo dicevamo, che – come chiarisce il segretario di CGIA Mestre Reato Mason, colpisce più duramente le PMI, già seriamente prostrate dalla chiusura causa Covid: “Dalla segnalazione riportata dalla Corte dei Conti si starebbe consolidando una tendenza in atto da alcuni anni che vede le Amministrazioni pubbliche saldare con puntualità le fatture di importo maggiore e ritardare intenzionalmente la liquidazione di quelle di dimensione meno elevate. Una modalità operativa che, ovviamente, penalizzerebbe le piccole imprese che, generalmente, lavorano in appalti o forniture di importi nettamente inferiori a quelli “riservati” alle attività produttive di dimensione superiore. Senza liquidità molte PMI non hanno futuro e, paradossalmente, rischiano di chiudere per troppi crediti inesigibili”.
Anche in questo caso, quindi, la lentezza pachidermica del mostro burocratico danneggia e crea difficoltà a centinaia di migliaia di imprese italiane, di quelle realtà che costituiscono l’ossatura dell’economia nostrana. Prova ne sono, ad esempio, i tempi di pagamento dei Ministeri. Il più ritardatario è il Viminale, che impiega una media di 62 giorni per saldare i pagamenti, seguono, sul poco onorevole podio, il Ministero delle Politiche Agricole (61 giorni di ritardo) il Ministero dell’Ambiente (+53 giorni).Da registrare, inoltre, i ritardi nei pagamenti dei Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti (+ 49 giorni), dei Beni Culturali (+30 giorni), della Difesa (+16 giorni), dell’Economia e delle Finanze (+14 giorni) e dello Sviluppo Economico (+12,5 giorni).
L’ammontare totale dei debiti della PA, secondo gli ultimi dati disponibili forniti dalla Banca d’Italia (Relazione annuale 2018”, presentata il 31 maggio 2019) ammonterebbero a 53 miliardi, una cifra abnorme e spropositata. La Pubblica Amministrazione italiana, dunque, al di là dell’alternanza dei governi e delle maggiorane politiche, continua a caratterizzarsi per limiti, errori e storture, che la relegano tra le peggiori del consesso internazionale.