AGI – Nel corso della pandemia il 16,5% della popolazione italiana ha manifestato sintomi di depressioni, ma fra i più giovani si sale al 34,7%, più del doppio. È quanto emerge dalla ricerca “Gli italiani e il Covid-19. Impatto socio-sanitario, comportamenti e atteggiamenti della popolazione Italiana”, realizzato da Fondazione Italia in Salute e da Sociometrica. Il dato preoccupante, si legge nel rapporto, è confermato da un’altra differenza che si riscontra nel numero proporzionale di persone che avverte disagi psicologici: è il 27,1% nella media della popolazione, arriva al 40,2%, quasi il doppio, fra i giovani.
Il malessere si trasforma in un cambiamento di comportamenti: uscire di meno, vedere meno persone; fare meno cose, e questo disagio non si “compensa” con meccanismi di “addiction”. è evidente, per altro, il nesso causale: sono proprio quei comportamenti impediti o resi più difficoltosi, o auto-censurati che provocano il malessere. E di questo sembrano averne piena consapevolezza. Appunto senza “fughe” altrove. L’unico fattore che sembra meno impressivo sui giovani sono le difficolta del sonno che restano in linea con la media generale.
Sul vaccino, gli italiani mostrano un atteggiamento molto differenziato: il 7,5% non intende farlo, il 9,9% attende di capire di più, mentre il 7,6% vorrebbe poter scegliere quale vaccino fare. è quanto emerge dalla ricerca “Gli italiani e il Covid-19. Impatto socio-sanitario, comportamenti e atteggiamenti della popolazione Italiana”, realizzato da Fondazione Italia in Salute e da Sociometrica. Secondo l’indagine, un italiano su quattro “non vede l’ora” di fare il vaccino e il 40,5% attende tranquillamente il proprio turno. Le persone che pero’ hanno patologie di vario tipo vogliono tutte essere vaccinate, e anche dal punto di vista sociale ci sono significative differenziazioni, perché sono le persone più istruite a essere più favorevoli ai vaccini.
Dall’indagine viene fuori inoltre che il 63,3% degli italiani (circa 2 su 3) evita di prendere qualunque mezzo pubblico e il 59,3% ha ridotto spontaneamente qualunque tipo di viaggio e spostamento. Il 71,0% della popolazione ha ridotto spontaneamente qualunque uscita con altre persone e in una misura pressochè pari, il 69,4%, ha rinunciato a frequentare o a invitare qualunque tipo di persone a casa propria.
La frequenza dei luoghi pubblici, dei negozi e dei ristoranti, anche se parzialmente aperti, è stata cancellata dal 53,5% della popolazione. Anche la pratica sportiva ha avuto un crollo, perchè il 29,1% della popolazione vi ha rinunciato spontaneamente.
E sono soprattutto i residenti al sud che hanno avuto l’impatto psicologico e comportamentale più profondo, sebbene sia stato diffuso dovunque in Italia. Ad esempio, a evitare i mezzi pubblici c’è il 70,4% dei residenti al sud contro il 54,1% dei residenti nel nord ovest; a evitare qualunque spostamento fuori comune è il 62,5% dei residenti al sud contro il 54,6% sempre del nord ovest; a non invitare persone a casa è il 75,4% nel sud contro il 61,4% del nord ovest.
Viceversa, chi non ha cambiato nulla spontaneamente nei suoi comportamenti è il 7,2% nel nord est, il 6,1% nel nord ovest e solo l’1,4% nel sud. Si direbbe che a far cambiare di più i comportamenti è stata soprattutto la comunicazione più che il fenomeno in sè, visto che l’epidemia, almeno inizialmente, si è sviluppata soprattutto nelle regioni della Lombardia e del Veneto.
In un anno di pandemia, 35 milioni di italiani hanno avuto problemi a utilizzare servizi e prestazioni sanitarie per patologie non-Covid. Secondo l’indagine, oltre la meta degli italiani, esattamente il 52%, durante quest’ultimo anno ha dovuto fronteggiare ritardi, spostamenti e/o cancellazioni da parte del servizio sanitario. Le cancellazioni e rinunce hanno coinvolto circa 10 milioni di persone. Di queste circa 400mila hanno rinunciato (o visto cancellare) interventi di ricovero; 600mila non hanno potuto fare interventi chirurgici e circa 1 milione di persone non hanno avuto le prestazioni di day hospital.
La percentuale, che di per se e altissima, in quanto coinvolge la meta della popolazione, “diventa ancora piu pesante – se possibile – per alcune fasce di eta dei pazienti e per alcune aree del Paese. Infatti, se guardiamo all’eta degli intervistati, scopriamo che il massimo dei disagi nell’utilizzo dei servizi sanitari si registra nella fascia tra i 46 e i 55 anni e tendenzialmente nelle fasce piu alte dell’età“, si legge nel rapporto. Il servizio a cui hanno dovuto rinunciare maggiormente sono le visite specialistiche, cancellate o a cui hanno dovuto rinunciare circa 7 milioni di italiani. Da segnalare che la cancellazione o rinuncia delle visite specialistiche ha riguardato in specifico l’83,9% degli over 65 anni.
Le cancellazioni e le rinunce legate a prestazioni sanitarie per patologie non-Covid in un anno di pandemia “si sono registrate soprattutto nelle regioni nord- occidentali, che comprendono la Lombardia, dove sono arrivate a incidere sul 45,1% della popolazione”. Quanto ai ritardi, “che comunque non hanno scongiurato la prestazione, i ritardi piu rilevanti si registrano nelle regioni del sud”, si legge nel rapporto.
Source: agi