AGI – I media internazionali stanno seguendo con attenzione la crisi di governo in atto in Italia in piena pandemia. Nei mesi scorsi nonostante la crisi sanitaria del Covid-19 o proprio a causa dell’emergenza coronavirus diversi Paesi nel mondo sono stati teatro di proteste e contestazioni che hanno portato a rimpasti di governo e cambi ai vertici delle istituzioni. Le sfide socio-economiche causate dalla pandemia e il malcontento dei cittadini per le risposte date dalle autorità sono stati spesso la causa di crisi di governo mentre in altri casi hanno influito sui risultati elettorali nei Paesi che sono andati alle urne.
Nel Brasile del presidente di estrema destra e negazionista del Covid, Jair Bolsonaro, i rimpasti di governo sono regolarmente all’ordine del giorno nonostante la pandemia: le dimissioni a catena lo hanno indebolito ma il capo di stato resiste. In uno dei Paesi più colpiti al mondo dal coronavirus, nel 2020 hanno lasciato l’incarico due ministri della Sanità, diversi ministri dell’Educazione, tra cui un suo fedele alleato, Abraham Weintraub, e cinque ministri della Cultura. L’uscita di scena più clamorosa la scorsa primavera è stata quella del ministro della Giustizia, Sergio Moro, che ha accusato il presidente di ingerenze nella gestione delle indagini della polizia, provocando l’avvio di un’inchiesta giudiziaria. Dal suo insediamento, nel gennaio 2019, ben 10 ministri hanno lasciato il governo.
In Francia il secondo turno delle elezioni municipali dello scorso giugno ha segnato una netta sconfitta per En Marche, il partito del presidente Emmanuel Macron, indebolito dall’emergenza sanitaria e dalle critiche per la gestione, che hanno fatto precipitare la sua popolarità. Come conseguenza della sconfitta elettorale, dell’affermarsi degli ambientalisti e della rimonta della destra tradizionale, il 3 luglio il popolare premier Edouard Philippe – eletto sindaco della sua città, Le Havre – ha rassegnato le dimissioni dall’incarico, affidato a Jean Castex, il responsabile del ‘déconfinement’ dopo la prima ondata. Il rimpasto di governo era in realtà nell’aria da settimane oltre ai crescenti dissensi tra Philippe e Macron, oscurato dal popolare ex primo ministro. Nel governo formato subito dopo il deconfinamento sono entrati 11 volti nuovi, con un gabinetto costituito da 17 donne e 15 uomini, che secondo i media segna una “svolta a destra” del presidente francese per la secondo parte del suo mandato di 5 anni.
E’ stato un 2020 caotico per Israele, che ha dovuto decretare tre lockdown, sullo sfondo di una crisi politica ed istituzionale in atto in realtà già dal 2019. L’ultimo sviluppo, che porterà nuovamente Israele alle urne il 23 marzo – per la quarta volta in due anni – è stato lo scioglimento della Knesset il 23 dicembre per la mancata adozione della legge di bilancio. In realtà si è trattato dell’atto di decesso del governo di emergenza nazionale formato il 20 aprile per far uscire lo Stato ebraico da un’impasse politica mai vista prima. Il litigioso governo arrivato al capolinea era formato da Benjamin Netanyahu del Likud e da Benny Gantz di Blu e Bianco.
In Kirghizistan il fragile sistema sanitario è collassato per la pandemia, conseguenza anche della dilagante corruzione che affligge il Paese. Per questo il 15 giugno il premier, Mukhammedkalyi Abylgaziev, ha rassegnato le dimissioni, sostituito da Kubatbek Boronov. Ma a scatenare caos politico, proteste popolari e scontri lo scorso ottobre sono state le contestate elezioni parlamentari, che hanno visto prevalere i partiti filorussi che sostengono l’allora presidente in carica, Sooronbay Jeenbekov. La Commissione elettorale ha poi annullato l’esito delle urne e il Paese è stato teatro di un progressivo dissolversi dell’autorità centrale con numerosi politici dell’opposizione, detenuti per corruzione, liberati dalla folla. Il presidente Jeenbekov è stato arrestato e ha rassegnato le dimissioni. Le funzioni di presidente sono state assunte da Sadyr Japarov, dopo essere stato nominato primo ministro. Le elezioni presidenziali di domenica scorsa sono state vinte da un personaggio controverso: Sadyr Japarov, nazionalista e populista che fino a pochi mesi fa era in carcere per il rapimento di un governatore kirghizo. La sua elezione, seppur segnata da elementi di criticità, è vista come la via di uscita all’instabilità politica, una costante nella storia recente.
Mesi di instabilità, non solo politica in Libano, dove il 10 agosto il gabinetto del premier Hassan Diab ha rassegnato le dimissioni, dopo la tragica esplosione al porto di Beirut. Il Libano è anche alle prese con la peggiore crisi economica e finanziaria della sua storia moderna. La formazione di un nuovo esecutivo è cruciale per far fronte ad uno scenario nazionale così complesso ma c’è una situazione di stallo che dura ormai da mesi con il premier designato, Saad al-Hariri e il presidente, Michel Aoun, che si accusano a vicenda per la mancata nomina di un gabinetto. Da oggi entra in vigore un lockdown durissimo di 11 giorni mentre il numero di casi aumenta velocemente e i posti letto in ospedale sono esauriti.
E’ crisi politica in Nepal, dopo che il 20 dicembre la presidente, Bidhya Devi Bhandari, ha sciolto il Parlamento, su richiesta del primo ministro Khadga Prasad Oli. Il provvedimento, considerato per alcuni incostituzionale, condurrà il Paese asiatico verso nuove elezioni a primavera, in anticipo di circa un anno e mezzo rispetto alla scadenza naturale. Tredici ricorsi sono stati presentati alla Corte costituzionale e cortei di protesta si sono tenuti a Kathmandu, la capitale, e in altre città. Alla base della crisi che ha portato allo scioglimento della Camera ci sono tensioni interne al partito comunista al potere. Ora il Nepal è di fronte alla sfida dell’organizzazione del voto nonostante il Covid e in un contesto di crisi economica.
In Perù si è consumata una crisi politica lampo. E’ cominciato tutto il 9 novembre quanto il Congresso ha votato l’impeachment per il presidente Martin Vizcarra per “indegnità”. Vizcarra, che aveva guidato una campagna anti-corruzione, era coinvolto in uno scandalo di corruzione ma negava responsabilità. Il 10 il presidente del Congresso, Manuel Merino, si è insediato come presidente ad interim, per alcuni un “golpe mascherato”. Manifestazioni dei sostenitori del presidente deposto Vizcarra sono sfociate in violenze, con 14 feriti. Il 14 novembre, in migliaia, vestiti di nero, sono scesi in in strada, chiedendo che Merino “l’impostore” se ne vada. La polizia ha sparato durante la manifestazione di Lima: due morti e oltre 100 feriti il bilancio. Le ong per i diritti umani hanno denunciato la scomparsa di “decine” di persone. Dopo le dimissioni di Merino, il 17 novembre il Parlamento ha eletto il deputato centrista Francisco Sagasti, incaricato di formare un governo di larghe intese per una transizione pacifica e democratica che guiderà il Paese fino a luglio, quando passerà il testimone al vincitore delle elezioni generali del prossimo aprile.
Nel mezzo della crisi in Bielorussia, nella quale la Polonia si è proposta come mediatore tra il presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, e l’opposizione, il ministro degli Esteri polacco, Jacek Czaputowicz, in carica da gennaio 2018, ha rassegnato le dimissioni il 20 agosto. La sua è stata la seconda uscita dal governo in una settimana, dopo le dimissioni del ministro della Salute, Lukasz Szumowski, mentre il tasso di contagi è aumentato in modo esponenziale, mettendo in difficoltà l’operato del governo. In Polonia il voto dello scorso luglio ha riconfermato al potere il populista di destra Andrzej Duda, molto vicino alle posizioni di Donald Trump.
Vedi: Dal Brasile alla Polonia, le crisi politiche al tempo del Covid
Fonte: estero agi