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Da Sudan a Myanmar, le crisi che minacciano il 2024

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Il 2023 è stato segnato da due conflitti, quello Russia-Ucraina e tra Israele e Hamas, che hanno polarizzato l’attenzione internazionale; nel frattempo, si sono manifestate altre crisi drammatiche passate inosservate e che rischiano di peggiorare durante il 2024.
La controffensiva ucraina non è riuscita a ribaltare le sorti del conflitto che ora si trova in una preoccupante situazione di stallo. In Medio Oriente, lo scoppio di una guerra ad alta intensità e senza precedenti nella Striscia di Gaza ha sorpreso tutti, generando una tragedia umanitaria: 20mila palestinesi uccisi, un quarto della popolazione che muore di fame e la maggior parte dei residenti sfollati.
Nel 2023, anche se hanno fatto decisamente meno notizia, Sudan e Myanmar sono stati teatro di due guerre civili rovinose, causa di diffuse atrocità e crimini di guerra. Entrambi i Paesi sono sprofondati in una spirale di crisi umanitarie. Sempre durante l’anno che sta per concludersi, l’Africa sub-sahariana è stata segnata da una serie di golpe militari – Gabon e Niger, in passato Burkina Faso, Mali e Guinea – oltre ai crescenti flussi migratori dal Continente – – come conseguenza dell’instabilità sociale e delle pressioni economiche post-pandemia.
Il 2023 è stato anche l’anno da caldo record e fenomeni meteorologici estremi a ripetizione, a riprova della gravità e dell’accelerazione dei cambiamenti climatici in tutti i continenti. Uno degli episodi più violenti è stato, lo scorso settembre, il manifestarsi di forti piogge in Libia, che hanno portato al cedimento delle dighe e inondazioni improvvise che hanno travolto Derna, uccidendo più di 11mila persone nel Nord-Est. Secondo le previsioni del Washington Post, anche nel 2024 alcuni di questi scenari proseguiranno e molte delle crisi già in atto sono destinate a peggiorare. Le 10 nazioni della “watchlist” stilata dal Comitato internazionale della Croce Rossa rappresentano l’86% di tutte le persone bisognose di aiuti umanitari a livello globale. Dietro l’instabilità politica che consuma queste società si nasconde lo spettro di un pianeta che si surriscalda, poiché siccità e altri shock climatici colpiscono alcune delle comunità più vulnerabili del mondo. Tre decenni fa, il 44% dei conflitti avveniva in stati vulnerabili dal punto di vista climatico, mentre ora quella cifra è del 67%. In effetti, secondo fonti concordanti, sono già in atto 300 micro conflitti in tutto il mondo per il possesso o il controllo dell’acqua, l’oro blu. Un esempio più significativo è la diga Renaissance in Etiopia, che gestisce il flusso delle acque del Nilo (Bianco) che attraversa il Sudan, ma soprattutto che condiziona la portata idrica in Egitto.
Questa la mappa delle principali crisi dell’anno nuovo:
– IL CONFLITTO RUSSIA-UCRAINA: l’amministrazione Biden ha mantenuto con successo la linea del sostegno occidentale a Kiev. Ma nel 2024, anno elettorale negli Usa e in Ue, il suo raggio d’azione sarà limitato e anche la capacità di Washington di finanziare Kiev è in dubbio. Il conflitto Russia-Ucraina si trascinerà anche durante l’anno nuovo, col rischio di un ulteriore stallo e lo spettro di una spartizione del Paese, con una vittoria sperata dal presidente Vladimir Putin durante la prossima primavera.
– IN MEDIO ORIENTE LA GUERRA A GAZA, MA NON SOLO: in assenza di una cessazione delle ostilità la guerra potrebbe sconvolgere la regione, attirando fazioni anti-israeliane con base in Libano e Siria e generando un flusso senza precedenti di rifugiati palestinesi in Egitto. Le autorità israeliane promettono una lunga campagna destinata ad aggravare ulteriormente le condizioni di vita dei civili, dipendenti dall’assistenza umanitaria internazionale che ha difficoltà di accesso alla Striscia di Gaza. In base alla sua annuale “watchlist di emergenza” pubblicata questo mese, l’International Rescue Committee ha classificato il conflitto in Israele e nei territori palestinesi occupati come la seconda crisi più evidente da tenere d’occhio nel 2024. Conflitti senza fine perdureranno anche in Siria e in Yemen, con conseguenze sempre più drammatiche per i civili.
– LA GUERRA CIVILE IN SUDAN: secondo la stessa fonte, in cima alle priorità c’è la molto meno discussa guerra civile in Sudan, dove otto mesi di combattimenti tra l’esercito nazionale e le forze paramilitari di supporto rapido hanno lasciato più del 50% della nazione bisognoso di aiuti umanitari e costretto circa 6 milioni di persone ad abbandonare le proprie case. Circa 19 milioni di bambini sono senza istruzione, poiché il conflitto ha provocato la chiusura di migliaia di scuole. “Il Sudan è diventato la più grande crisi di sfollati del mondo. La capacità di fornire aiuti è ostacolata dalla mancanza di accesso e di fondi umanitari. La polarizzazione etnica, tribale e regionale dell’attuale guerra sta ulteriormente minacciando il già limitato accesso agli aiuti.
– L’AFRICA, IL CONTINENTE PIU’ CALDO: nel 2023, a causa di conflitti di diversa entità, sul Continente ci sono stati oltre 40 milioni di sfollati e rifugiati; un dato che non sembra destinato a diminuire nel 2024. Secondo una ricerca del Centro africano per gli studi strategici, sono 149 milioni gli africani che vivono una grave crisi alimentare, di cui l’82% vive in Paesi in guerra. Un numero aumentato del 150% rispetto al 2019. Oltre allo scenario della guerra civile in Sudan, è l’Africa ad ospitare la maggior parte dei potenziali punti caldi, a cominciare dalle tre nazioni della cosiddetta “cintura golpista”, ovvero quelli guidati da giunte militari: Burkina Faso, Mali e Niger. L’esercito burkinabe è in difficoltà di fronte a un’ondata di militanza islamica, con diverse fazioni che controllano più della metà del Paese. In Mali e Niger, dove si manifestano dinamiche simili, la crescente insicurezza alimentare e l’esaurimento degli aiuti esteri stanno facendo precipitare milioni di persone verso un pericolo maggiore.
Altri due Paesi da tenere particolarmente d’occhio saranno la Somalia, dove gli insorti jihadisti di Al-Shabaab – gruppo fondato nel 2004 – continuano ad operare, con l’obiettivo di creare uno Stato islamico-fondamentalista nel Corno d’Africa. Preoccupa molto anche l’Etiopia, lontana dai riflettori, già teatro di un lungo conflitto con la confinante Eritrea, dal 2020 di una guerra civile interna con la regione del Tigray e di un conflitto nell’Oromia.
Le altre aree del Continente particolarmente calde sono la Repubblica centrafricana, l’Est della Repubblica democratica del Congo, nel cuore dei Grandi Laghi, e la Libia. Non di meno la Nigeria e il Camerun, nel mirino degli estremisti di Boko Haram, e nel caso del Camerun di forti tensioni tra anglofoni e francofoni.
– IN ASIA OCCHI PUNTATI SU TAIWAN, CINA E MYANMAR: in Asia, le elezioni a Taiwan potrebbero essere segnate da nuove provocazioni da parte della Cina, in un momento in cui l’amministrazione Biden sta cercando di portare una certa stabilità nelle sue relazioni con Pechino. Ma l’incendio più grande potrebbe avvenire in Myanmar, dove la giunta al potere si sta riprendendo da un’offensiva lanciata da una coalizione di milizie ribelli e vede una crescente diserzione tra le sue fila. La traiettoria attuale, tuttavia, “non punta verso un crollo del regime a breve termine sul campo di battaglia, in assenza di sviluppi imprevisti”, ha osservato Morgan Michaels, ricercatore presso l’International Institute for Strategic Studies. Secondo lo studioso, “il Myanmar si sta invece dirigendo verso una nuova fase del conflitto, caratterizzata da un regime indebolito ma ancora pericoloso, da una violenza più intensa e da una maggiore incertezza”.
L’attenzione dovrebbe rimanere alta anche sull’Afghanistan, tornato nella morsa dei talebani da agosto 2021, che impongono misure sempre più drastiche ai danni delle donne, mentre il Paese sta sprofondando nella povertà e nella fame.
– FOCOLAI DI TENSIONE IN SUDAMERICA: punto nero della regione è l’isola di Haiti, dominata dalle bande criminali, in bilico sull’orlo del collasso dello Stato. Altro scenario incandescente è la contesa territoriale sulla Guyana Esequiba, regione che costituisce i due terzi dello Stato della Guyana, ricca di petrolio e risorse minerarie. Un recente referendum tenutosi in Venezuela con esito positivo rivendica la sovranità su quel territorio, al centro di una disputa che dura da quasi 200 anni, pertanto il presidente Nicolas Maduro vorrebbe annettere la Guyana Esequiba, mentre la Guyana ovviamente si oppone. Il Brasile, che confina con entrambi i Paesi, ha già aumentato i propri militari lungo le frontiere, temendo una possibile escalation e l’inizio di un conflitto armato. Punto interrogativo sulla Colombia, sempre in preda ai cartelli della droga e zona di transito di ingenti flussi migratori verso gli Usa; sul Cile in cerca di una nuova Costituzione e sulla situazione socio-economica dell’Argentina governata dal neo presidente populista e liberista, il controverso Javier Milei, che dopo un lungo regno disastroso dei peronisti sta imponendo il suo piano di austerity, contestato a suon di pentole, le cacerolas. (AGI)
VQV/ALL