Questo fa con la campagna lanciata per recuperare in po’ di voti e sopravvivere alle prossime europee. Sulla pelle di bambine e bambini
Roberto Rampi
Istigazione all’odio razziale. Non trovo un altro modo per definire la campagna (elettorale) che i capi del partito che fu la Lega hanno lanciato per provare a recuperare un po’ di spazio politico e un po’ di voti e sopravvivere al passaggio elettorale europeo.
Come passa il tempo. Cinque anni fa alle stesse elezioni fu proprio il record di voti della Lega ad aprire la fase che spinse Salvini a far saltare il governo giallo verde e a cercare le elezioni per una investitura popolare.
Del resto non è stato il primo a subire la sbornia post europee. Ma questa è un’altra storia. Anche se dovrebbe far riflettere l’andamento oscillatorio per picchi e tracolli che ha caratterizzato la politica italiana degli ultimi vent’anni abbondanti. E far riflettere sul futuro. Ma torniamo ai nostri demagoghi. Che han deciso di tentare di raschiare qualche voto sulla pelle di bambine e bambini provando a far diventare un problema quello che un problema non è e non è mai stato: la scelta legittima, se non persino doverosa, di usare la piccola autonomia della comunità scolastica di poter individuare alcuni giorni di chiusura per venire incontro alle esigenze di una parte rilevante della popolazione scolastica e permettere di celebrare un rilevante momento di festa.
Una presa d’atto: di fronte a numerose assenze non ha senso far lezione. E l’autonomia sul calendario nasce anche per questo: dà strumenti di comunità, un angolino di federalismo che la Lega, che compie quarant’anni, avrebbe più logicamente dovuto cercare di accrescere e invece, per come si è trasformata prova persino a ridurlo.
Una trasformazione che ha ormai una lunga storia. Senza più l’ispirazione originaria la dimensione islamofobica sembra essere il nuovo terreno scelto da questi sciagurati politicanti per animare il dibattito. Con un cinismo impressionante. Il nostro Paese sta imparando poco a poco a conoscere la cultura e le tradizioni islamiche. Un processo importante che viene turbato in maniera rilevante dall’associazione tra Islam, estremismo e terrorismo che certa stampa e certa politica alimentano. Con l’invenzione della “guerra di civiltà”, un concetto totalmente campato per aria se guardiamo alle storiche relazioni tra i popoli mediterranei, la cultura del libro, la tradizione greco antica che ci arriva proprio attraverso i dotti islamici, algebra, astronomia, medicina, arte, architettura. Una lunga storia comune, due sfumature della stessa civiltà. E chi più di tutti dovrebbe lavorare per capire come far emergere questi elementi di vicinanza, proprio nella scuola, il luogo ideale per costruire insieme unità nella diversità, si inventa invece motivi di scontro e divisione. Bambini e bambine non percepiscono le fratture delle differenze. La differenza è arricchimento. E nella scuola sta nascendo in linguaggio comune scritto con molteplici alfabeti dove le diverse feste e le diverse lingue sono occasioni di crescita, per sviluppare strumenti di relazione personali e collettivi. Una straordinaria occasione. Che merita cura e attenzione.
La scelta della polemica sulla chiusura per la fine del Ramadan a Pioltello prima, l’idea delle classi speciali e delle suddivisioni impossibili, i manifesti con le donne velate sono tutti mattoncini di un percorso ragionato, spregiudicato, pericoloso, che decide, invece che farsi carico di preoccupazioni e incomprensioni per accompagnare e aiutare a coprire, di alimentarle, buttando benzina sul fuoco.
Quello che formulo oggi dalle pagine di questo giornale, che su questo fronte ha coraggiosamente scelto di posizionarsi sin dall’inizio con nettezza e senso di priorità, è un atto d’accusa.
Che potrebbe diventare una campagna e una formale costituzione in giudizio: loro sono responsabili per le violenze verbali e fisiche che si dovessero scatenare in questo Paese, e che già si stanno scatenando, verso persone individuate a torto o a ragione come islamici. Sono responsabili degli insulti manifesti o velati che bambine o ragazze dovranno subire nelle loro aule, nelle scuole, nei mercati, sul lavoro, nella loro vita quotidiana. Sono i mandanti di questa violenza, sono i cattivi maestri. E noi li chiameremo a rispondere politicamente di fronte al tribunale della storia.
Fonte: L’Unità