Type to search

DA PICASSO A POLLOCK, LA RIVOLUZIONARIA RISCOPERTA DI EL GRECO

Share

Guardare i dipinti di El Greco nelle sale di un museo, a confronto con le opere dei suoi contemporanei, può essere un’esperienza disorientante: le figure allungate, i corpi deformati in pose contorte, i colori forti, acidi, con punte quasi fluo, la generale noncuranza verso l’imitazione della natura e della realtà sembrano fuori posto nel panorama dell’arte a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, perfino rispetto alle più ardite sperimentazioni manieristiche e del Barocco agli albori. Sarà per questo che il pittore cretese piacque tanto agli artisti del Novecento. Picasso lo adorava al punto da firmarsi, in giovinezza, con il suo nome: “Io, El Greco”, si legge su alcuni dei suoi disegni, e c’è chi giura che le stesse Démoiselles d’Avignon abbiano un debito con il maestro cinquecentesco.

Quanto El Greco sia davvero “moderno” e perché lo vedremo nella grande mostra che sarà allestita a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, dal prossimo 11 ottobre all’11 febbraio 2024, con oltre 50 capolavori e prestiti da alcuni dei più prestigiosi musei del mondo. Quello che sappiamo con certezza è che, come spesso accade ai talenti più originali, il pittore venuto dall’Oriente faticò non poco a trovare il successo nella sua epoca. Spinto dal desiderio di evolversi e consapevole del proprio valore, Domínikos Theotokópoulos – questo il suo vero nome – viaggiò in cerca di stimoli e di fortuna dalla natia Creta a Venezia, e poi a Roma, Madrid, Toledo, dove finalmente trovò una degna cerchia di estimatori e committenti. A pochi anni dalla morte, tuttavia, cadde nell’oblio.

Bisognerà aspettare i primi vagiti del Romanticismo perché qualcuno si interessi nuovamente alla pittura di El Greco. Se alla fine del Cinquecento Filippo II aveva fatto rimuovere una sua pala dall’Escorial perché non riusciva a raccogliersi in preghiera davanti a quelle figure inquietanti, portatrici di messaggi profondi e indicibili, nel XIX secolo El Greco divenne il precursore dell’artista romantico, nella sua ricerca della stranezza e dell’estremo. Il primo a prendere posizione a suo favore fu il francese Théophile Gautier, che nel 1843 lo definì “talentuoso”, “incompreso”, “geniale”. Ottant’anni dopo il critico e artista britannico Roger Fry lo avrebbe descritto come “un antico maestro, che non solo è moderno, ma di fatto sembra essere ancora molti passi davanti a noi e si volta indietro per mostrarci la via”.

La “Galérie espagnole” allestita al Louvre a metà dell’Ottocento fu per El Greco il trampolino del rilancio. Lì Édouard Manet si innamorò del suo anticonformismo e dei suoi colori. Qualche anni dopo, Paul Cézanne avrebbe guardato al pittore cretese per i suoi esperimenti di distorsione dell’anatomia umana e di rappresentazione dello spazio. “A dispetto dei secoli che li separano, Cézanne ed El Greco sono spiritualmente fratelli”, ha scritto lo storico dell’arte Jonathan Brown.

Ma la vera riscoperta sarebbe arrivata all’inizio del XX secolo, con le avanguardie. Tra il 1910 e il 1912 una selezione di opere del maestro cinquecentesco di proprietà del collezionista ungherese Marczell Nemes fu esposta a Budapest, Monaco e Düsseldorf. In Germania la febbre di El Greco deflagrò: gli artisti del Blaue Reiter – il gruppo del Cavaliere Azzurro, di cui faceva parte Kandinskij – videro in lui quella “struttura mistica interiore” che perseguivano nelle loro ricerche. Poco dopo le distorsioni di El Greco avrebbero ispirato gli espressionisti, da Max Beckmann a Oskar Kokoschka, e qualche decennio più tardi la sua influenza avrebbe raggiunto Jackson Pollock oltre l’Atlantico: pare che il gigante dell’Espressionismo Astratto possedesse diversi libri sui dipinti di Theotokópoulos e che prima del 1943 avesse realizzato ben 60 opere a lui ispirate. Circa cento anni dopo quella mostra da cui tutto era nato, il Museum Kunstpalast di Düsseldorf ha ospitato l’esposizione El Greco e il Modernismo (2012), sfoderando sorprendenti dialoghi tra il pittore cinquecentesco e artisti più recenti come Egon Schiele, Franz Marc, Max Ernst, Paul Cézanne, Pablo Picasso.

Già, Picasso. Impossibile immaginare la nuova vita di El Greco senza di lui. Contrariamente a quanto si credeva fino a un po’ di tempo fa, il loro è stato un dialogo lungo una vita, e non limitato alla giovinezza del genio del Novecento, che al Prado copiava e studiava i dipinti del maestro cretese nonostante i rimproveri del padre – “non sei sulla buona strada!” – e degli insegnanti – “sei dunque un modernista?”

Picasso considerava El Greco la quintessenza della pittura spagnola, pur sapendo che la sua ispirazione era composita e arrivava da lontano. È opinione comune che i toni freddi del Periodo Blu siano figli della passione per El Greco: nell’Autoritratto del 1901 l’artista andaluso ha gli stessi occhi infuocati del Ritratto di vecchio del Metropolitan Museum, a cui l’altro aveva affidato la propria immagine tre secoli prima. Ma anche nel Cubismo c’è un po’ di El Greco. Mentre stava lavorando alle Demoiselles d’Avignon (1906-7) – di fatto il manifesto della nuova avanguardia – Picasso aveva potuto osservare a casa dell’amico Ignacio Zuloaga L’apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse, opera visionaria e alquanto misteriosa del collega cinquecentesco, e le assonanze tra i due dipinti non mancano.

Insomma, c’è chi è convinto che Picasso abbia visto in El Greco un’anima cubista. “El Greco veniva da un mondo classico e bizantino. Picasso ha capito che lui dipingeva in modo tridimensionale”, ha sostenuto la studiosa Carmen Gimenéz, curatrice di due mostre che ultimamente hanno portato alla ribalta il legame tra questi artisti unici e inimitabili: la prima, intitolata semplicemente Picasso El Greco, si è tenuta al Kunstmuseum di Basilea nell’estate 2022; la seconda, Picasso, El Greco e il Cubismo analitico, si è conclusa proprio due giorni fa al Museo del Prado, dove ha celebrato i 50 anni dalla morte del genio del Moderno. Entrambe hanno messo in scena un confronto serrato tra i due maestri, opera dopo opera: San Martino e il mendicante (1597-99) con il Ragazzo che conduce un cavallo (1905-6), la Maddalena penitente (1576-78) e il Nudo seduto (1909.10), l’Adorazione del nome di Gesù (1577-79) e Il funerale del poeta e pittore Casagemas (1901), La signora in pelliccia (1577-78) e Madame Canals (1905), Cristo che si accomiata dalla Madre (1595) e La coppia (1967).

A Palazzo Reale, con la curatela di Juan Antonio Garcìa Castro, Palma Martìnez-Burgos Garcìa e Thomas Clement Salomon, il coordinamento scientifico di Mila Ortiz e il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia, El Greco dialogherà invece con i maestri del Rinascimento italiano, da Tiziano a Tintoretto, da Correggio a Parmigianino: portatori di suggestioni e conoscenze che ne nutrirono il talento in un momento decisivo, quando lasciando Creta divenne un artista europeo, un pittore in viaggio nelle zone calde dell’arte del suo tempo, un creativo moderno nel senso che diamo a questo termine oggi, nel mondo globale e labirintico che proprio nel Cinquecento affonda le sue radici.

 

Di FRANCESCA GREGO – fonte: http://www.arte.it/

IN COPERTINA El Greco, Annunciazione, Olio su tela, 114 x 67 cm, Museo Thyssen Bornemisza courtesy © Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid